DIARIO DI BORDO
(1 - LA PROPOSTA)
Si erano incrociati un paio di volte al mattino, quando il
Capo era capitato in Colonia a dare un’occhiata e controllare la situazione.
Lui, ogni giorno, saliva correndo dal sentiero che arriva alla nostra casetta
dalla strada sottostante. Giovane, biondo, atletico, non male secondo le nostre
colleghe che aspettavano quel momento per tutta la mattina stese sul tetto
cianciando tra loro su quanto ben di Dio fosse sprecato.
E mentre lui macinava la salita a lunghe falcate canticchiava
“Viva Topolin!” in inglese come nella scena finale di “Full Metal Jacket”.
Come sottofondo ripetevo ad alta voce il commento del soldato Joker, ma
tradotto in italiano. Le feline estasiate dalla bionda creatura umana mi
rispondevano con sguardi di disprezzo.
Quando passava davanti alla nostra recinzione voltava il
capo e lanciava un gioioso “HI!” a tutti i presenti.
La prima volta il Capo pensò al solito squilibrato graziato
dalla Legge Basaglia, la seconda mi chiese: “Ma chi è ‘sto pellegrino?”
Non poteva immaginare.
La sua corsa mattutina si esauriva proprio all’inizio
della salita e si fermava qualche minuto ad ammirarci e farci complimenti.
Naturalmente anche numerose coccole alle gatte della Colonia, infoiate fradice,
che si litigavano a suon di culate le sue grattatine sulla testa.
Una mattina mi consegnò un quotidiano che il postino si era
dimenticato di lasciare e non avendo voglia di tornare su aveva gettato in
strada.
Ringraziandolo cominciai a farci conversazione, conosceva la
lingua felina oltre che all’italiano, l’inglese, il latino e il greco antico.
Le aveva studiate al seminario.
Era il nuovo novizio del convento. Neozelandese, cattolico
e in attesa di essere aggregato a qualche missione in Africa, ma l’avevano
sbattuto in quel buco di convento ad assorbire tutti i vizi possibili. Forse
era la prova finale.
Si era stabilita subito una certa empatia,
sicuramente anche perché avevamo un destino comune. Anche lui era stato
abbandonato da neonato alla Ruota degli esposti. Cominciammo a frequentarci col
tacito appuntamento mattutino interessandoci vicendevolmente delle nostre
esperienze di vita.
Una mattina lanciò l’idea.
“Quanti siete qua?”
“Una quarantina”, risposi.
“Ottimo!” replicò. “Si potrebbe organizzare qualcosa per
fare beneficenza.”
“A noi…” aggiunse SKA, il Tesoriere della Colonia, sempre a
caccia di soldi, peggio del governo.
“Cosa?” invece domandai.
“Che so… una bella partita!” propose .
“Il calcio non ci piace”, troncò il discorso CORNIOLA che
odia sprecare energie per qualsiasi cosa.
“Non parlavo di calcio, neppure a me piace. Intendevo un
incontro di rugby”.
Una ventina di perplessi sguardi felini lo inquadrarono,
cominciando ad appoggiare il Capo nella sua valutazione.
“Certo: rugby! Lo sport più nobile che esiste!”
“… naturalmente dopo il burraco”, aggiunse PINELLA.
“Mi spiace, ma credo che noi ne siamo completamente
digiuni”, lo informai.
“Per quello non c’è problema.”
La settimana seguente iniziò le sue lezioni. Teoria e
pratica, sul parcheggio sterrato del convento per la gioia di ORFEO che, da ex
parà della Folgore, poteva finalmente dare sfogo ai suoi biechi istinti
bellicosi.
Primo problema: ci vogliono diverse palle ovali, e delle
giuste dimensioni. Interpellammo pure INTREPIDO, il ricettatore di Monte Malbe,
ma ci rispose che i giocattoli non rientravano nella sua sfera di affari. Il
geniale ARCHIMEDE risolse il problema. Una trentina di pigne dei pini del
nostro bosco divennero, temporaneamente, splendide palle ovali.
Secondo problema: per fare un incontro ci vuole pure uno
sfidante. Dove la trovi una colonia felina numerosa e appassionata di rugby?
Ancora ARCHIMEDE ebbe l’idea vincente: “Coinvolgiamo i gatti della Reggia!”
“Già, così ne spacchiamo una decina e si liberano un po’ di
posti per noi!” l’opportunista MAGOO.
ARCHIMEDE - Il Latin Lover della Colonia |
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