mercoledì 8 gennaio 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO




7
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)




Ci risvegliamo dal pisolo dopo un paio di ore e, fatto un frugale spuntino a base di crocchette e completate le consuete abluzioni, riprendiamo il nostro posto sul solarium.
Ognuno torna alla sua posizione, manco fossimo a scuola coi posti assegnati ai banchi.
Schiarisco la voce e sto per riprendere la lettura del romanzo quando la voce di ARIES comunica che manca TOPAZIO: non si è ancora svegliato.
Lo sveglia PALLUCCHINO e appena tutti i posti sono completi riprendo la lettura.

CAPITOLO 7

- Il solito salto in Colonia per portare i viveri ai randagi, una doccia per preparare le già stanche membra alla dormita notturna e la frugale cena. Il Capo non vuole appesantirsi lo stomaco e rischiare di non dormire a causa della digestione difficoltosa.
E’ tra un boccone di caciocavallo e una forchettata di insalata che Susy sgancia la bomba.
“Mica avrai lasciato le tue impronte digitali da qualche parte negli ex bagni?”
Silvio impallidisce.
“Oh… cazzo!”
“Ieri sera, a C.S.I., hanno incastrato il rapitore di un bambino perché aveva lasciato l’impronta del pollice e dell’indice sulla tavoletta del cesso”, precisa.
“Oh… cazzo!” ripete il Capo. “La maniglia della porta! Ho tirato la maniglia della porta dei bagni con la mano nuda.”
“Sei fregato”, il commento di Susy.
“Puttana miseria. Ma… mica sono schedato?”
“Hai fatto il militare; ti avranno preso le impronte digitali.”
“Un millennio fa. No… non ricordo.”
Lo vedo allontanare il piatto, gli è passato l’appetito. Si fa un caffè, stavolta decaffeinato, e mentre fuma lo vedo immerso nei pensieri e nei ricordi.
Pensieri e ricordi che lo tormentano fino alle 23. Poi decide di andare a letto. Finisce di leggere le ultime venti pagine di un libro e spegne la luce con gli occhi gonfi di sonno.
Alle 2 di notte è in piedi, vicino alla macchina del caffè accesa.
“Le impronte digitali… che scemo! Non ci ho pensato”, lo sento borbottare.
Dura così fino alle 6 di mattino.
Alle 8 è puntuale (e assonnato) all’appuntamento con l’amico Danilo.
“E’ il settimo caffè della giornata”, gli dice. “Anche stanotte l’ho passata in bianco.”
“Prova a prendere quattro gocce di tranquillante, la sera. Ti faranno fare una bella tirata.”
La sera lo vedo ancora mangiare leggero, un petto di pollo al vapore e la solita insalata. Niente caffè, neppure decaffeinato. Susy ha preparato una pentola di camomilla concentrata. Ne beve due grossi bicchieri dove versa una trentina di gocce di tranquillante in entrambi. Lexotan: l’ha comprato senza ricetta medica corrompendo la sua amica farmacista.
“Me l’ha consigliato telefonicamente il veterinario per un gatto che soffre disturbi del sonno. Appena posso ti porto la ricetta. E ti lascio la colazione pagata al bar.”
“Vada per la colazione”, risponde l’amica Maria Pia, “la ricetta la aggiusto io, non ti preoccupare.”
Poi, guardandolo negli occhi, ridotti a una fessura, e facendosi seria: “Da quanti giorni non dormi?”
Finalmente quella notte dormo anche io. Fino alle 8 di mattino quando, non vedendolo ancora in piedi, mi accuccio davanti alla porta della camera da letto.
Susy si alza e fa: “Ssss… Lasciamolo dormire ancora dieci minuti.”
Poco prima di mezzogiorno è Susy che interrompe i suoi sogni.
“Ha chiamato Danilo. E’ preoccupato perché non sei andato all’appuntamento. Gli ho detto che ancora dormivi. Viene tra poco a portarti un libro.”
Appena uscito dalla doccia arriva Danilo.
“Ma che bella faccetta riposata! Tieni”, porgendogli un libro, “dentro ci sono i cinquecento, come d’accordo.”
Silvio lo sfoglia e vede diverse carte da 50 euro infilate tra le pagine.
“Ok”, dice. “Domani portamene trecento.”
Poi guarda la copertina del libro: “Relic. Com’è?”
“Bel thriller”, risponde l’amico.
“Stasera lo inizio a leggere.”
Durante la distribuzione del cibo in Colonia, stavolta la pasta è condita con il makarel (sarebbe lo sgombro al naturale, lessato in acqua salata e molto appetitoso), sentiamo passi umani scendere dal sentiero che porta alla casetta.
Le sentinelle sono attive, al loro posto, ma non lanciano il segnale di pericolo: segno che non ce n’è.
Silvio si volta per verificare: è il commissario Loris Mezzetti.
“Buon pomeriggio, Silvio!” saluta sollevando due capienti borse con le mani. “Stavolta ho pensato ai micetti.” Appoggia una borsa a terra e dice: “Qui ho portato qualche scatoletta e un paio di sacchetti di crocchette. Questa”, indicando quella più voluminosa, “gliela manda mia moglie. Ci sono un paio di copertine di pile che non utilizziamo più. Sono già lavate, forse possono servire per le cucce.”
“La ringrazio”, replica il Capo. “Anche a sua moglie.”
“Le ho raccontato di questo posto e di quello che lei fa per i gatti randagi. Si è quasi commossa. Ha detto che, appena può, viene a trovarla con una sorpresa per i mici.”
“E’ la benvenuta.”
“Posso?” chiede il commissario indicando una delle panchine artigianali libera.
“Prego, ho quasi finito. Come procedono le indagini?”
“Una rogna. Una maledettissima rogna. L’ultima, spero, prima della pensione.”
“Tra quanto ci va?”
“Alla fine di marzo. Potevano aspettare un mese prima di ammazzarsi, quelli!”
“E in un mese deve trovare l’assassino?”
“Mmm… non ne dovrei parlare, ma tanto vale… Non credo ci sia nessun omicida da ricercare. E’ lampante che i quattro si siano sparati e ammazzati tra loro.”
“Beh: caso chiuso, allora!”
“Non proprio. Ci sono dei nodi spinosi da sciogliere e qualcosa che manca.”
“Il movente? Un regolamento di conti?”
“Esatto. Diciamo che il movente è un regolamento di conti. Ma lasciamo perdere…”
Il Capo è curioso, ma non lo vuol dare a vedere. Cambia subito discorso.
“In questo mese di lavoro che le rimane potrebbe aiutare i mici nella caccia dei due cani assassini. Sempre di omicidio si tratta!”
“Ah ah! Passo alla sezione Omicidi della Polizia Veterinaria. Magari potessi! Novità sui serial killer canini?”
“Nulla. Ma, considerando il continuo andirivieni delle forze dell’ordine, in questi giorni, dubito si facciano vivi.”
“E sì! C’è un buon presidio in questi giorni.”
“Giorni fa sono venuti pure i carabinieri”, lo informa il Capo.
“Carabinieri? Qui?”
“Sì. Un carabiniere, per la precisione. Mi ha fatto quasi un interrogatorio sulla chiave degli ex locali della Colonia. Era piuttosto insistente e… poco simpatico.”
“Un carabiniere”, ripete il commissario. “Come si chiama?”
Vedo Silvio pensieroso.
“Non lo so, ma neppure gliel’ho chiesto. Era in borghese.”
“E cosa le ha detto, con precisione?”
Il Capo gli riporta grossomodo il colloquio.
“Sa”, conclude, “mi è sembrato strano non sapesse dell’esposto che ho fatto per la cattura dei due cani killer.”
“Se non l’ha fatto a lui è difficile che lo sappia.”
“L’ho fatto al brigadiere Caccialepri, alla caserma di Ponte.”
“Cacciamani vorrà dire. E’ una brava persona.”
“Cacciamani? Il carabiniere ha detto Caccialepri!”
“Mmm… un carabiniere in borghese che non si presenta col tesserino in mano e sbaglia il cognome di un suo collega. Silvio, si segni questo numero di telefono. Appena dovesse tornare quella persona mi chiami. Immediatamente e senza farsi vedere.”
“Perché?”
“Quello non era un carabiniere e io non mi sono sbagliato”, mormora il commissario Loris.
Silvio lo scruta chiedendo, con lo sguardo, chiarimenti. Che non arrivano.
Mezzetti cambia argomento in maniera repentina: “E’ molto legato a questi gatti?”
“Certamente!” risponde  il Capo. “Ma non solo a loro, anche a questa piccola struttura che ho creato dal nulla. Poi, molti di questi gatti li ho visti crescere da quando avevano poche settimane di vita, li ho vaccinati, curati e dato un nome al quale rispondono. Ho cercato di trovare loro una casa, ma… se stanno ancora qua vuole dire che non sono stato poi così tanto efficiente.”
“Una bella passione!”
“Credo che oramai la passione sia sconfinata nella mania. Non ci dormo pensando a quei due cani ancora liberi di venire a fare una strage e ho anche altre preoccupazioni.”
“Del genere?”
“Il frate maledetto: ho paura che prima o poi ricominci la sua opera di sterminatore di felini.”
“Si dovrebbe tutelare”, consiglia il commissario.
“Chi? Io o il frate?” la pronta risposta. “Se dovesse accadere qualcosa stavolta non ci sono santi che tengono. Vado nel convento a stanarlo e lo carico di legnate.”
“Un’affermazione pericolosa da fare davanti ad un tutore dell’ordine… “
“Perché? Lei cosa farebbe al mio posto?”
“Lo caricherei di legnate… “ afferma Mezzetti “ma fuori dal convento e senza essere visto da altri. In caso di denuncia sarebbe la parola del frate contro la sua.”
“Ottimo consiglio, grazie!”
“E si ricordi di bruciare il randello”, conclude mentre se ne va piuttosto pensieroso. Altrettanto pensieroso il Capo rimane in Colonia.
“Qua la faccenda si complica”, lo sentiamo mormorare mentre osserva il numero telefonico che gli ha lasciato il commissario. “E’ cominciata la caccia al tesoro.”
Finisce di sistemare i piatti e le ciotole, va a prendere l’acqua alla fontanella e, mentre si accende una sigaretta, si ferma sul muretto sopra al giardino dove una volta stava la Colonia.
“Guarda che schifo”, sussurra mentre gli si avvicina una giovane signora di cui non si accorge. “E’ un groviglio di rovi ed erbacce. Ci mancava pure il morto, poi. Era meglio se mi davano il permesso per recintare il tutto e continuarci a tenere i gatti”, continua.
“Sì. Ha ragione”, interviene la signora, facendo fare un sobbalzo di sorpresa al Capo. “E’ proprio uno schifo. Sembra un immondezzaio. Me lo ricordo, anni fa, curato e con i gatti che prendevano il sole sulle panchine di cemento.”
“Buonasera”, la saluta Silvio. “Un millennio fa, oramai…”
“Perché ha spostato i gatti?” gli domanda.
Il Capo è costretto a raccontare, per la milionesima volta, quanto successo anni fa. Ma, visto il gradevole aspetto fisico della giovane donna, lo fa ben volentieri.
“Non l’ho mai vista da queste parti”, commenta Silvio.
“Venivo spesso la mattina, a studiare. Mi sedevo a quel tavolino di pietra, all’ombra. I gatti mi facevano compagnia, non disinteressata, aspettavano che tirassi fuori dalla borsa il sandwich che portavo per fare merenda.”
Incrocio uno sguardo perplesso con Attila, delegata al controllo del campo sotto il giardino.
“Non me la ricordo”, penso tra me.
Dall’espressione di Attila capisco che neppure lei se la ricorda.
Mi allontano e chiamo Littorina. Le spiego la situazione.
“Te la ricordi quella là?”
“Mai vista”, risponde.
Pure Bartolomeo e Topazio confermano che è una perfetta sconosciuta.
Silvio e la sconosciuta continuano a chiacchierare sul muretto sopra al giardino.
“Fai veramente un bel lavoro!”, la sentiamo dirgli. “Se non ti dispiace qualche volta ti vengo a trovare mentre gli dai da mangiare. Vedo pure di portare qualche bocconcino prelibato.”
“Grazie!” risponde il Capo con gli occhi rapiti da alcune forme anatomiche della sconosciuta. “Ma non vengo tutti i giorni; qualche volta mi sostituisce mia moglie.”
“Non c’è problema. Sarò discreta. A proposito, mi chiamo Laura.”
“Piacere, Silvio.”
“Tieni”, fa armeggiando dentro il marsupio che tiene legato in vita, “ti lascio il mio numero di telefono nel caso avessi bisogno di una sostituta per portare la pappa ai mici.”
“Grazie”, fa di rimando il Capo, con l’espressione tra il perplesso e l’imbarazzato.
“Discreta? Gli lascia il numero di telefono? Puzza”, commenta Bartolomeo.
“Se lo sta intortando”, replica la Littorina. “Quella lo vuole agganciare.”
“Bisognosa di affetto, oppure solo di…” interviene Archimede, il latin lover della Colonia.
“Gatta ci cova…” esprimo il mio giudizio.
“Sì, ma che gatta!” ancora Archimede.
Silvio torna alla Colonia con una tanica piena di acqua in mano e mille strani pensieri in testa.
Si distrae solo quando Uebi fa il suo solito richiamo per giocare insieme a lui. Gli batte la mano sul tronco di una giovane quercia e Uebi si arrampica su. Poi comincia con le svenevolezze. Silvio lo accarezza e poi avvicina il viso al suo muso. Uebi lo lecca sulla guancia, poi porge il muso per essere ricambiato. Silvio lo bacia in cima alla testa.
“Ridicoli…” mormoro con una punta di gelosia.
A cena il Capo racconta a Susy della visita del commissario Mezzetti ma, stranamente, tace dell’avvenente signora.
Lo vedo incamminarsi verso il letto alle 22,30.
“Dieci minuti di lettura poi… a far compagnia agli angioletti”, dice.
Dopo un quarto d’ora spegne la luce e accomoda il cuscino.
Una mezz’ora dopo riaccende la luce.
“Sto pensando a quella tipa”, sussurra svegliandomi. “Mi sembrava quasi volesse…”
“Anche a me”, penso e mi accoccolo di nuovo sopra al piumone.
La luce rimane accesa. Apro un occhio per controllare cosa stia facendo e lo vedo con il libro che gli ha portato Danilo in mano.
“Formidabile!” mi illumina.
Poco dopo si corica anche Susy: “Buonanotte a tutti e due!” ci saluta.
Alle 3 lo sento muoversi sul letto. Si alza e lascia il libro, aperto, sopra il cuscino. Ha continuato a leggere.
Quando torna a letto lo vedo riprendere la lettura.
Alle 6 del mattino qualcuno comincia a bussare alla porta della camera. Dopo dieci minuti si sente pure raspare e dei tonfi, come qualcosa che sbatte contro la porta.
Il Capo si alza e la apre. Trova Yaris e Pipu che stanno giocando alla lotta e, ogni tanto, urtano la porta.
Lo vedo vestirsi mentre sibila tra i denti: “Maledetti…”
Lo seguo in cucina. Ci sono almeno una decina di gatti che aspettano la colazione. Prima di farsi un caffè è costretto ad accontentarli.
“Maledetti…” sibila ancora.
Quando si sveglia Susy il Capo è già di partenza.
“Vai a lavorare stamattina?” gli chiede.
“No: c’è il sole. Ne approfitto per iniziare a rinforzare la recinzione della Colonia.”
Alle 8 si vede, come al solito, con Danilo, al bar. Insieme andiamo a comprare dei nuovi pali di legno, della rete elettrosaldata, filo di ferro e dei picchetti fatti con il tondino di ferro.
Poi si va in Colonia a scaricare il tutto. Mentre stanno trasportando il materiale dal cassone del mezzo-camion di Danilo alla casetta notano una coppia che sta scambiandosi effusioni dentro un’auto parcheggiata lì vicino.
Danilo fa una battutaccia e il Capo gli racconta della bella signora incontrata il pomeriggio prima.
“Secondo me quella cerca rucola…” commenta Silvio.
“Può darsi”, risponde Danilo.
Non avendo capito chiedo lumi ad Archimede.
“Significa che cerca qualcuno per passare qualche ora in compagnia. In termine volgare cerca un bel…” spiega dall’alto della sua esperienza.
Cominciano a portare il materiale allo spiazzo del rifugio.
“Che cazzo è successo qui?” chiede Silvio appena vede il tavolo di plastica rovesciato e il contenitore delle crocchette che ci stava sopra rotto a terra.
Mi pongo la stessa domanda e penso subito al peggio: i cani sono tornati di notte.
Ma vedo Orfeo tranquillo e pure Lira, Oreste e Attila.
Noto pure che la ciotola di vetro, utilizzata per le crocchette a terra, è al bordo della recinzione. Capisco subito cosa sia successo e tiro un sospiro di sollievo.
“Sono tornati i cani!” fa Danilo allarmato.
“No”, risponde il Capo. “Non è opera di cani ‘sto casino. I cani non avrebbero mangiato le crocchette.” Poi raccoglie qualcosa in terra e lo mostra a Danilo. “Ecco chi è il visitatore notturno.”»
-Cos’era? domanda Oncia.
-Un grosso aculeo di istrice. Prima saltuariamente, poi con più frequenza, la notte veniva a mangiare le crocchette un grosso istrice che avevamo chiamato Odoacre. Silvio sospettava invece delle faine perché, oltre a finire le crocchette a terra, cercavano di portarsi via il loro contenitore. Più volte erano sparite ciotole e pentolini che riuscivano a passare tra le maglie della recinzione.
“Istrice”, conferma Danilo, “anche bello grosso.”
“E’ il terzo aculeo che trovo in un mese”, replica il Capo. “Qui, la notte, c’è un viavai di animali del bosco che vengono a bere e mangiare che non ti immagini. Bisognerebbe fargli pagare la consumazione, come al bar.”
Orfeo mi si avvicina e fa il suo resoconto notturno.
“Stanotte è venuto Odoacre, come al solito, ma stavolta ha portato pure gli amici. Hanno fatto un casino della Madonna per raggiungere la ciotola delle crocchette sopra al tavolo.”
“Vedo”, replico. “Se ci fosse stato ancora il vecchio Giangio tutto questo non sarebbe successo…”
“Non ho colpe”, la difesa di Orfeo.
“Lo so, lo so.”
-Chi è Giangio? domanda Pipu.
-Era, o forse è, non so che fine abbia fatto, un cane fuggito da qualche cacciatore che si era stabilito, tempo fa, alla Colonia Vecchia. Qualcuno gli aveva costruito pure una cuccia di fortuna. Stava tutto il giorno là, aspettando che Silvio portasse la cena per tutti, e ci proteggeva dagli altri cani abbaiando per avvertirci del pericolo e fronteggiandoli. Un bravo cane terrorizzato dagli umani, chissà quante bastonate aveva preso dal suo ex padrone.
-Che fine ha fatto? chiede Naif, altra cucciolotta.
-So che alla fine è stato catturato dalla Polizia Veterinaria; era un randagio e non poteva stare libero, anche se non dava fastidio a nessuno. Lo hanno portato al canile municipale, poi non ne ho avuto più notizie. Ma dubito che sia stato adottato.
-Me lo ricordo… mormora la Rosina della Colonia, una veterana trasferita per l’anzianità e le precarie condizioni di salute a Carpaneta.
-Iniziano a piantare i pali della recinzione, riprendo il racconto, ci appoggiano contro la nuova rete, molto più robusta, alta e rigida della precedente. Mentre sono in pausa sigaretta vediamo comparire Laura, la bella signora del giorno prima.
“Ciao Silvio! Sono venuta a dare un’occhiata”, in mano ha un libro.
“Ciao, sono Danilo, manodopera forzata alla Colonia. Cosa leggi?”
Danilo ha la passione dei libri e della scrittura. Da come soppesa Laura, e soprattutto il contenuto dei suoi pantaloni aderenti con lo sguardo, anche di qualcos’altro, credo.
“Ciao, mi chiamo Laura. Ho uno di quei thriller svedesi, ora vanno tanto di moda…”
Dalla rapida occhiata che Danilo e Silvio si scambiano capisco che (almeno) i suoi gusti letterari sono bocciati.
“Al lavoro!” intima Silvio, spegnendo la cicca. “Cominciamo a legare la rete ai pali.”
“Ecco il filo di ferro. Le pinze dove stanno?” chiede Danilo.
“Oh cazzo… le pinze. Le ho lasciate a casa.”
“Lo tagliamo coi denti il filo di ferro?”
“Vado e torno”, Silvio se ne va a prendere le pinze a casa.
Danilo continua a piantare pali e appoggiare lastre di recinzione mentre parla con la bella visitatrice.
Dopo una mezz’ora ritorna Silvio con pinze, tenaglie e un thermos di caffè.
Stavolta si è dimenticato i bicchieri di carta.
“Sveglia!!!” lo rimprovera Danilo.
Dopo un paio di ore sono riusciti a posare un bel tratto di recinzione, decidono di sospendere il lavoro. La visitatrice li saluta e se ne va.
“Puzza”, il commento di Danilo appena Laura si è allontanata.
“Puzza? Ma che ci hai combinato mentre ero via?”
“Niente, stupido! Dicevo puzza perché mi ha fatto un sacco di domande su di te. O è innamorata persa oppure…”
“… è un’altra che sta cercando quella roba”, termina la frase il Capo.
“Esatto. Comunque rimane il fatto che è una bella topa.”
Attila, che sonnecchiava sopra il tetto della casetta, al sentire topa entra di nuovo in fibrillazione. Si tira su e comincia scansionare il bosco intorno alla casetta.
“Più che topa, la definirei una bella lupa”, corregge il Capo.
Il termine lupa provoca lo scompiglio tra i gatti presenti: è un  fuggi-fuggi generale.
Imperturbabile rimango al mio posto, sopra la solita panchina.  Penso tra me che, arrivati ad una certa età, pure gli umani dovrebbero venire sterilizzati, anche senza la spuntatura dell’orecchio destro.
“Rimane il fatto che qui sono in troppi a cercare quella roba”, nota Silvio. “La Polizia, il finto carabiniere e ora questa, sbucata dal nulla”.
“Logico”, replica Danilo, “chi cerca i soldi, chi la droga e la Polizia tutte e due le cose. Stiamo in campana.”
A proposito di campane, quelle del convento annunciano che è mezzogiorno: si torna a casa (Carpaneta).

TOPAZIO - Il Poeta (dormiglione) della Colonia

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