venerdì 31 gennaio 2014

VOI NON CI VEDETE...


... ma noi stiamo qua!

IL SOLARIUM LETTERARIO




10
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)




Oggi è la classica giornata di merda: piove, piove e piove.
Siamo tutti rintanati nella casetta ad aspettare che schiarisca il cielo per poter finalmente uscire a spasso nel bosco e goderci il suo silenzio, invece del cupo russare di ORFEO e ZORRO.
A completamento della puzzolente giornata è intervenuto anche il postino che, adducendo un fantomatico guasto al suo “Ciao”, non ha consegnato la posta: niente giornali e niente Settimana Enigmistica.
Si potrebbe organizzare un torneo di burraco, ma PINELLA ed EMILIA barano sempre facendosi cenni e fregando sul conteggio dei punti. Il Risiko l’abbiamo prestato alle pecore del contadino e ancora non lo hanno restituito. A scacchi nessuno sa giocare e con la pioggia la parabola della tv riceve solo Radio Maria.
Rimane un’unica alternativa. 
La prendo ed inizio la lettura.

CAPITOLO 10

-Al ritorno dalla visita pomeridiana in Colonia il Capo trova una visitatrice ad aspettarlo a casa. E’ Maria Rita, la vicina che ha un appezzamento di bosco triplo rispetto a quello di Casa Carpaneta, il massimo per le vostre battute di caccia.
“Buonasera Silvio! Le volevo parlare del problema dell’allaccio al collettore fognario.”
“Bella noia e… bella spesa!” risponde.
“Appunto per questo sono qua. Ho preso contatto con una piccola impresa che potrebbe fare il lavoro di allaccio a prezzo modico. Se il lavoro si facesse in comune i costi verrebbero quasi dimezzati.”
“Sentiamo…”
“Vede…” la vicina illustra al dettaglio il suo progetto. “Praticamente se convogliamo i tubi di scarico possiamo allacciarci con una sola utenza e fare solo uno scavo. Occhio e croce sono seimila Euro a testa.”
“E’ sempre una bella cifra!” replica il Capo. “Invece avevo pensato di fregarli allacciando un tubo cieco.”
“E come la mette con la prova?”
“Che prova?”
“Quando dichiara di aver completato i lavori vengono dei tecnici del Comune a verificare il perfetto funzionamento. Versano un colorante nello scarico del water e controllano che nel collettore arrivi il liquido colorato.”
“Oh, cazzo!” commenta Silvio molto signorilmente.
“Domani torna l’impresario, se ci volesse parlare…”
“Per firmare il contratto?”
“No, l’impresa viene per demolire quella piccola rimessa al confine della recinzione. Lo scavo deve passare là sotto.”
“La vecchia rimessa dei cani da caccia di suo suocero?”
“Esatto.”
“Oh, cazzo!” si ripete il gentiluomo.
“Perché?” domanda la vicina.
“Nulla… nulla.”
Appena Maria Rita se ne va sento il Capo smadonnare sottovoce.
“Cosa succede?” domanda Susy.
“Domani buttano giù la vecchia rimessa dei cani da caccia di Italo.”
“Bene! Era orribile.”
“Bene una sega! Sotto la catasta di legna fradicia che ci sta dentro ho nascosto la valigetta con la droga!”
“Oh, cazzo!”
Dio li fa e poi li accoppia, ho pensato.
Rivedo il Capo in piedi alle tre di notte farsi il caffè e vestirsi con una tuta nera e un passamontagna.
“Va a fa…fare u…una ra…rapina a q…q…quest’ora?” domanda Paccolino svegliato dal movimento.
Lo vediamo uscire di soppiatto da casa armato di una torcia a pile, cinese, di qualche decennio fa. Scavalca guardingo la recinzione e si avvicina alla vecchia rimessa dei cani da caccia.
Ma non è solo…
Una decina dei gatti che dormono nel garage hanno sentito gli strani rumori e si sono messi in allarme. Quando vedono che è il Capo a passeggio nel bosco lo seguono in processione.
Ci ritroviamo in venti davanti alla rimessa dei cani e mentre Silvio comincia a spostare, con molta attenzione per non fare rumore, i ciocchi di legna infradiciati dai lunghi anni permanenza tutti pensano che si tratti di un nuovo gioco e cominciano a saltare sulla catasta di legna e a rincorrersi.
“Zitti, maledetti!” sibila il Capo.
Ma Ughetto, noto per la sua agilità e senso di equilibrio, sposta una cassetta piena di detriti di mattoni che cade su un bidone metallico vuoto facendo un rumore simile all’impatto di un tir contro un cartellone pubblicitario.
Si accendono delle luci nella casa dei vicini e una finestra si apre.
Il Capo si getta a terra, nascondendosi dietro una vecchia panchina arrugginita.
“CHI E’?” sento gridare da una finestra.
Ho la prontezza di rispondere con uno di quei miagolii che preannunciano la battaglia con un altro maschio. Serpotto, uno dei gatti di qualche vicino che ha deciso di trasferirsi vita natural durante a Casa Carpaneta, lo interpreta come una sfida e lancia il suo grido di battaglia.
Arriva anche Paperino, che quando c’è da fare a botte non si tira mai indietro e rincara la dose con un urlo belluino gettandosi all’inseguimento di Serpotto.
Un casino della madonna.
“Ora vengo giù con la scopa!” la risposta del marito della nostra vicina.
“Maledetti…” mastica tra i denti il Capo.
Ma la minaccia è senza seguito. Serpotto e Paperino fuggono correndo nel bosco, gli altri gatti prudentemente tornano nel garage.
Silvio aspetta una decina di minuti poi si rialza e prosegue il suo lavoro. Dopo poco ha tra le mani la ventiquattrore incriminata e torna nel garage a fumarsi una sigaretta.
Finito di asfaltare i polmoni apre la valigetta e schiaccia i sacchetti di polvere bianca fino ad ottenere uno spazio vuoto abbastanza grande per metterci un pesante pezzo di ferro arrugginito.
“E’ un ferodo dei freni di un locomotore”, mi spiega, anche se non capisco. “Pesa una decina di chili; è quello che ci vuole.”
Richiude la valigetta e la sigilla con del nastro adesivo largo. Lo vedo dirigersi verso la fossa biologica, aprire il secondo tombino di cemento con svariati moccoli, perché incastrato. Prende un tondino di ferro con l’estremità piegata ad uncino, ci infila la maniglia della valigetta e la cala, lentamente, dentro i liquami puzzolenti della fossa. Quando la valigetta tocca il fondo sgancia l’uncino e lo tira su. Ma mentre risolleva il pesante tombino di cemento urta un sasso che cade nella fossa e alza uno schizzo di liquido che lo colpisce in pieno.
“Porc…” segue un monologo di venti minuti.
Finalmente risale a casa, dopo essersi ben pulito nel garage, a farsi l’ennesimo caffè e continuare a stendere catrame nei polmoni.
Oramai è mattino, Susy si alza.
Mentre prepara silenziosamente il suo caffè la vedo arricciare continuamente il naso. Poi comincia ad annusare l’aria con l’espressione torva e guardare il pavimento.
“Bisogna controllare bene sotto i mobili”, dice, “qualche micio dovrebbe aver fatto la cacca in giro.”
“Sono io…” confessa il Capo.
“L’hai fatta tu?”
“No! Sono io che puzzo”, e racconta dell’avventura notturna.
Fa in tempo a farsi una salutare doccia, prendersi altri due caffè e altre due pillole coadiuvanti il cancro ai polmoni e saliamo sulla Panda coi sedili rattoppati e ripuliti dalla pipì dello sconosciuto felino imbrattatore.
“Saranno pure ripuliti, ma la puzza ti asfisia…” nota con disgusto.
Dopo l’ennesimo caffè il Capo racconta a Danilo dell’avventura notturna.
“Hai fatto bene a spostarla e metterla nella fossa biologica. Quando ti faranno il nuovo condotto fognario che bypasserà la fossa la dovrai fare riempire di calcestruzzo per sicurezza. La valigetta farà la fine di tanti morti per mafia: sepolti nel cemento.”

ZORRO - Il Pessimista della Colonia

giovedì 30 gennaio 2014

VECCHI, INDIMENTICATI AMICI


ERNESTO

“Ci sono gatti che ti rimangono nel cuore…” dice sempre il Capo. 
Sicuramente sarò uno di questi, ma il più tardi possibile; di solito i gatti del cuore sono tutti morti o scomparsi.
ERNESTO è stato senza dubbio uno dei gatti preferiti del Capo.
Certo, lo so! Non dovrebbero esistere preferenze o favoritismi, soprattutto in una colonia felina. Ma che ci volete fare, gli umani sono delle contraddizioni viventi e, purtroppo, il Capo appartiene a quel genere.
ERNESTO arrivò alla Colonia Vecchia alla fine di giugno 2007, già adulto, insieme ad altre due gatte, Caterina e Penelope, proveniente da una colonia felina del centro cittadino che aveva perso la gattara e non aveva più chi potesse accudirli.
Eravamo tutti curiosi di vedere come tre gatti metropolitani potessero adattarsi al silenzio ed alla lenta vita del bosco. ERNESTO e Caterina si adattarono perfettamente, Penelope sparì il giorno dopo il trasloco e non c’è neppure una foto che ce la ricordi.
ERNESTO legò subito uno stretto rapporto col Capo, era un bonaccione e quello che più gli interessava erano cibo e coccole. Era già sterilizzato e stabilì un’ottima convivenza con tutti gli altri componenti della Colonia.
Sparì misteriosamente il 15 dicembre 2009, quando eravamo nel pieno della Crociata Antifelini indetta dai loschi abitanti del convento. Non ne fu trovata traccia e, penso anche io, difficilmente possa avere preso un morbo fulminante o essere stato adottato senza averlo comunicato al Capo.
Di sicuro, da quel giorno, si ruppero tutti i residui e precari equilibri di pace e rispetto che vigevano tra il Capo e l’associazione a delinquere (come “affettuosamente” nomina i nostri vicini).
Iniziò la guerra, quella vera.
Ma ERNESTO non c’era più…

Ciao ERNESTO!

ERNESTO

mercoledì 29 gennaio 2014

FACCIAMO L'AFFARE?





LA CUCCIA DEL CAPO





Ieri sera ero a cena in un ristorante di Vicenza.
Finiti i primi, i secondi, i terzi, i contorni, etc, etc... è arrivato, finalmente!, il momento dell’agognato caffè.
“Almeno posso fumarmi una sigaretta!” ho detto alla proprietaria.
“Si accomodi pure nel patio esterno, se vuole, il caffè, glielo servo là!” ha replicato confermando la sua squisita gentilezza.
Ho accettato e sono passato nel patio esterno sedendomi su una poltroncina imbottita e rivestita di una graziosa stoffa damascata. Faceva parte di un trittico composto da divanetto e un’altra poltroncina. Mentre mi accendo la sigaretta il pensiero corre per i misteriosi meandri del mio cervello e si sofferma sull’eventuale presenza dei gatti della Reggia e di come sarebbero capaci di ridurre i tre mobili in poche ore.
Arriva il sospirato caffè portato dalla gentile ristoratrice.
“Non teme che qualche gatto le rovini il divano?” incautamente ho chiesto.
“Ci provasse! Poi lo faccio al forno!” Confermando il vecchio, e forse fondato, detto “vicentin magnagati”.
“Dopo il baccalà anche il gatto alla vicentina!” ho detto per scherzare.
Mi ha guardato interdetta, forse offesa, poi, capito che scherzavo, ha rilanciato:
“Sarebbe un’ottima idea! Piatto tipico delle feste!”
E’ toccato a me guardarla perplessa e, con espressione di massima serietà, le ho proposto:
“Avrei una certa disponibilità di materia prima: facciamo l’affare?”

ONCIA - "Paura... eh?!?"

martedì 28 gennaio 2014

lunedì 27 gennaio 2014

QUELLI DELLA NOTTE





DIARIO DI BORDO





“La gente della notte sempre la stessa
ci si conosce tutti come in un paese,
sempre le stesse facce mese dopo mese
e il giorno cambia leggi e cambia governi
e passano le estati e passano gli inverni,
la gente della notte sopravvive sempre“

Non è proprio vero quello che canta Jovanotti: ci si conosce tutti, ma non sempre si sopravvive.
Mi riferisco a Quelli della Notte, i nostri amici notturni della Colonia.
Cominciano a muoversi nel bosco appena scendono le tenebre e, come i vampiri, all’alba scompaiono nel nulla, si volatilizzano nascondendosi nelle loro sicure tane.
Alla Colonia Vecchia non li avevamo mai visti, per noi erano solo una leggenda silvestre.
Con la casetta in mezzo al bosco si sono materializzati e abbiamo incominciato, nostro malgrado, a conviverci.
La notte dei boschi di Monte Malbe si anima di vita; animali selvatici e sconosciuti hanno come punto di riferimento la nostra casetta. Le crocchette e gli avanzi del pasto pomeridiano sono catalizzatore per volpi, faine, istrici e tutti i piccoli animaletti notturni che d’inverno stentano a trovare il cibo per la sopravvivenza. Ci sono pure diversi gatti abbandonati ed inselvatichiti per cui la Colonia è un faro nella nebbia, soprattutto durante gli inverni nevosi. L’estate, invece, la Colonia è una calamita di visite notturne per l’abbondante acqua sempre a disposizione nelle vaschette esterne.
Anni fa avevamo un “cliente” fisso: ODOACRE, un istrice di dimensioni ragguardevoli che avvistato un torrido pomeriggio dal Capo mentre beveva avidamente scambiò per un bobtail.
Poi ODOACRE mise su famiglia e cominciò a portare pure la compagna CONCETTA e il figlioletto IGOR. La notte facevano un casino del diavolo svegliandoci sempre. Dicono poi che ODOACRE venne ritrovato cadavere vicino all’aia del contadino sotto la nostra casetta; non credo si trattasse di morte naturale. Le visite notturne e diurne della nostra famigliola amica cessarono.
Ora sostentiamo una famiglia di faine, alcuni gatti inselvatichiti, qualche volpe di passaggio e il mini cane del contadino che cerca pure di entrare dentro la casetta attraverso le gattaiole. BAIOCCO, con i suoi metodi spicci, gli ha insegnato che non è prudente mettere il naso dentro le case altrui.
Il Capo è sempre più perplesso sul consumo giornaliero di crocchette: i conti non gli tornano. Ha pure messo l’esca esterna per avere conferma dei suoi fondati dubbi: una ciotola con crocchette per cani che sono scarsamente apprezzate dai nostri amici notturni.
Allora si è auto convinto che esistono numerosi gatti selvatici che orbitano, nottetempo, intorno alla nostra casetta e cerca in ogni modo di convincerli a fermarsi per procedere alla loro sterilizzazione. Si stupisce pure di quando la mattina, non presto, ci trova tutti dormienti dentro la casetta.
“Ma che cazzo fate la notte, invece di dormire?” ci interroga severo.

Semplice…


domenica 26 gennaio 2014

IL GRANDE SOGNO





LA CUCCIA DEL CAPO





Ultimamente mi succede di avere il sonno agitato e fare sogni strani, ansiosi, surreali. Qualche volta do la colpa allo stress o ai troppi caffè della giornata oppure alla peperonata della cena, ma ancora il colpevole non è stato scoperto.
Stanotte l’ultimo incubo.
Mi accorgo che i termosifoni sono stranamente freddi e scendo a controllare il funzionamento della caldaia.
Sorpresa: la caldaia non c’è più e neppure il grande serbatoio d’acqua che accumula il calore. Manca pure il secchio metallico dove raccolgo la cenere. Al muro rimangono fissati i tubi di collegamento con le varie pompe e termostati come nelle vecchie fabbriche dismesse da anni.
Mi prende l’angoscia e chiamo subito la Polizia.
Arriva; è un gatto rosso che conosco da tempo.
“Buonanotte, Ispettore TAZZA; Polizia di Stato.”
“Ciao TAZZA!” dico amichevolmente cominciando ad avere le idee confuse.
“Buonasera a lei,” replica freddamente “declini le sue generalità e mi spieghi i fatti dettagliatamente.”
“Certo Ispettore… “
“Ancora per poco, spero, ho conseguito la laurea in scienze criminali feline e dovrebbero promuovermi commissario.”
“Auguri!” Spiego quello che è successo e cosa hanno rubato.
“Mi descriva gli apparati con precisione” chiede.
“Allora: il contenitore della cenere era un banale secchio metallico della vernice. Un 30 centimetri di diametro per 40 di altezza. Con un manico, pure di metallo. Il puffer… “
“Puffer?” domanda accigliato.
“Sì. Si chiama così l’accumulatore” prendo il libretto delle istruzioni e glielo porgo.
“Questo è il puffer e questa è… era la caldaia.”
“Bene, bene... ” annuisce leggendo “Due metri e quaranta per uno e venti di diametro. Capacità, circa 1500 litri. La caldaia, 720 chilogrammi di peso. Bene, bene... facciamo un sopralluogo all’esterno.”
Lo seguo lungo il perimetro di un fabbricato che sembra più un capannone industriale che la mia casa.
“Ecco da dove si sono introdotti” mostrandomi una larga finestra in alluminio forzata e lasciata accostata.
Continuiamo il giro del fabbricato e ci fermiamo davanti ad una serranda che è la stessa del garage dei gatti e della caldaia. E’ chiusa dall’interno e non mostra segni di scasso.
“Può aprirla?” chiede.
“Solo dall’interno” rispondo “ha un semplice ma efficace antifurto.”
“Bene, bene... ” annuisce di nuovo “Cos’ha fatto ieri sera?”
Glielo spiego, con la massima dovizia di particolari.
“Bene, bene... ” socchiudendo gli occhi “Andiamo a risolvere il caso, mi porti nel locale della caldaia.”
Ci andiamo e lo faccio accomodare per primo, per non contaminare la scena del crimine.
Miracolo!
“Ecco qua la sua caldaia e il suo… puffer!” esclama compiaciuto.
 “Manca il secchio della cenere!” gli faccio notare “Qualcosa hanno rubato, allora!”
“Quando l’ha vuotato l’ultima volta?” chiede infastidito.
“Ieri.”
“Dove?”
“Nel bosco.”
“Andiamo a cercarlo!”
“Ma è buio!” obietto.
“Non importa, io ci vedo lo stesso.”
E, infatti, dopo due minuti lo vede e me lo indica.
“Se l’era dimenticato, caso risolto.”
“Ma… come ha fatto!” chiedo meravigliato.
“Elementare, Capo! Secondo lei, come facevano a far passare due tonnellate e mezza di roba da quella finestrella? Il suo è stato il classico incubo da carenza di proteine della carne. Dia retta a me, lasci perdere zuppe di insulsi legumi ed insalate varie. Domani sera faccia una bella grigliatina di salsicce e bistecche di maiale, due puntarelle e quattro fegatini. Un paio di bicchieri di vino rosso... corposo mi raccomando! e se ne vada a letto sparato. Vedrà che bei sogni farà!”

L'Ispettore TAZZA socchiude gli occhi e risolve il caso.

sabato 25 gennaio 2014

LE AFFINITA' ELETTIVE





LA CUCCIA DEL CAPO





“Le affinità elettive, a livello umano, sono passioni incoercibili che determinano il destino delle persone: moti dell'anima contro cui nulla possono la ragione, l'intelligenza, la cultura se non assoggettarli, in qualche misura, al rispetto dei diritti altrui.”
Così ha scritto Goethe.
Succede, a livello umano, anche quando la controparte è felina.
Succede anche a me che mi sforzo di essere arbitro imparziale per trattare tutti i gatti che frequento con la stessa cura e attenzione.
Ho un debole –corrisposto– per i mici bianchi e neri. Forse sarà per il fatto di non averne mai avuti fino a quando ho cominciato a seguire la Colonia o forse perché in una vita precedente ero un gatto, bianco e nero.
Un’altra ipotesi potrebbe essere che i mici b/n sono tendenzialmente più comuni e sfortunati degli altri.
Più volte, in occasioni della scelta del gattino da adottare li ho sentiti definire “un mucchino” e visti scartare a favore di altri piccoli con il mantello più particolare.
Non ho mai fatto una statistica sulle preferenze di colore del pelo felino da parte degli adottanti e credo sarebbe un dato interessante su cui riflettere.
Ma torniamo al gatto b/n.
Il primo che ho ospitato a casa era una femmina proveniente dalla Colonia Vecchia: SILVESTRINA, la mamma di SAETTA, messa in sicurezza perché diventata pressoché cieca.
E’ stato un grande amore: ore e ore stesa sulle mie gambe fino a quando gli acciacchi della vecchiaia hanno avuto il sopravvento.
Poco dopo è arrivato YARIS, raccolto cucciolo nel parcheggio di un supermercato. Grande sintonia anche con lui malgrado continui a ricordargli che deve la sua fortuna al mio impellente bisogno di un caffè e alla presenza di un bar nel parcheggio. Si vendica svegliandomi tutte le mattine alle 5,30 bussando alla porta della camera.
Poi è arrivato ORAZIONE il Camionista, anche lui abbandonato in Colonia, FIV positivo e conclamato. Con due sguardi ci intendevamo. Al terzo capivo che aveva voglia di essere spazzolato.
A seguire l’enigmatico e disadattato alla vita di Colonia PERICLE, il gatto che vive sulla mia scrivania e oramai  fa parte dell’arredamento come la lampada o la tastiera del computer.
Poco dopo è stata la volta di PIPU, abbandonato ancora lattante in Colonia. Sarà per le nottate passate con l’occhio spento mentre lo allattavo ma si è eletto la mia guardia del corpo. E’ l’unico gatto che mi tiene compagnia mentre lavoro di motosega, sfidando il rumore infernale.
Mi hanno “regalato” anche RUDY, importato da Foligno; un gatto con problemi di socializzazione con gli altri simili e con gli umani. I problemi coi felini sono rimasti e posso vantarmi di essere l’unico umano a cui si avvicina per essere accarezzato.
Ultimamente è arrivato UAI FAI, anche lui messo abbastanza male e abbandonato in Colonia. Quando gli parlo mi ascolta molto interessato e, come i cani, mi slinguaccia il viso.
L’ultima, fresca fresca, è la piccola BITTER, coi suoi gravi problemi. Ieri sera mi sono seduto accanto a lei sul divanetto nella camera dove fa compensazione, prima dell’introduzione ufficiale alla Reggia. Per la prima volta l’ho vista strusciarsi, fare le fusa e tutte quelle mosse che dimostrano affetto e apprezzamento.
In Colonia cerco di mantenere un contegno più imparziale anche se quel paraculo di ARIES, per attirare l’attenzione, mi prende a scoppole sulla testa dal tetto della casetta.
Dopo aver fatto outing mi aspetto la rappresaglia dei vari gatti grigi, neri, tigrati e delle tricolori e certosini.
Sarò perdonato solo dai gatti bianchi: non ne ho.

PERICLE quando ancora stava alla Colonia Nuova - genn.2012 -

venerdì 24 gennaio 2014

UN ALTRO TRASFERIMENTO

Ieri il Capo ha organizzato la Tradotta degli Infermi.
Dalla Reggia ha prelevato il vecchio rudere PACCOLINO che necessitava di un'ulteriore ecografia all'addome e alla Colonia ha caricato l'unicorno MAGOO con il suo sempre più sospetto ascesso che non accenna a migliorare, malgrado il bombardamento antibiotico subito, e la piccola BITTER che, secondo lui, ha qualche malformazione genetica.
Mentre i due maschietti del gruppo sono rimasti in osservazione dai veterinari
la piccola BITTER è stata rilasciata e trasferita alla Reggia.
Come il gufo di Nostradamus il Capo aveva azzeccato la sua empirica diagnosi.
"ED (probabilmente C)!" ha diagnosticato la dottoressa dopo la radiografia.
"Sò cazzi..." ha aggiunto, riassumendo l'eventuale cura.
Ernia Diaframmatica Congenita: bassa aspettativa di vita e limitata attività fisica, senza subire alcun tipo di stress.
In termini comprensibili la piccola ha un'ernia all'altezza del diaframma che ha permesso all'intestino e ad altri organi di invadere ed occupare la cavità toracica. La funzionalità dei polmoni è ridotta al 25% ed è per questo che la micina, pur avendo 5-6 mesi non è cresciuta e non si svilupperà.
Poi ha quel respiro affannato, pesante ed addominale, quasi fosse affetta da polmonite. E' andata in crisi respiratoria subito dopo la radiografia. Deve rinunciare ad ogni normale attività per un gatto della sua età: correre, giocare e salire sugli alberi, in attesa di...
Di cosa?
Sarebbe possibile un intervento, delicato dal punto di vista chirurgico ed anestetico, con poche possibilità di superarlo e ancora di meno di poterci guadagnare una vita normale.
Il Capo ci penserà sopra e valuterà ogni possibilità, ha commentato. 
Io, e il resto dei Gatti di Monte Malbe, ci rimettiamo alle sue decisioni, non facili e auguriamo alla piccola BITTER una tranquilla e serena permanenza alla Reggia.
P.S. Un mare di baci dalla sorellina GINGER!


L'Unicorno MAGOO

giovedì 23 gennaio 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO




9
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)




“Ma chi l’avrà scritta questa storia?” chiede RALF.
“Il Capo, sospetto”, rispondo.
“Riconosci la calligrafia?” domanda PERONI.
“Stupido! E’ scritto al computer!” lo affetta ATTILA.
“L’ha scritto il computer? Però…” commenta il ritardato tigrato.
“Silenzio!”

CAPITOLO 9

-Al consueto appuntamento mattutino per il caffè Danilo chiede a Silvio: “Non ho ritrovato la mia valigetta con le viti e i chiodi. E’ rimasta, per caso, su in Colonia?”
“Non l’ho vista ieri pomeriggio”, la risposta del Capo.
“Eppure mi sembrava di averla portata, ieri…”
“Se l’hai lasciata là, ci sarà ancora: chi vuoi che te la prenda?”
“Speriamo: è una cosa a cui tengo moltissimo.”
“Però te la dimentichi…”
“Che vorresti dire?”
Stanno quasi per litigare, come i bambini. Mi metto tra loro cercando di consigliare, col pensiero, l’unica cosa logica da fare: andare in Colonia e verificare se stia là.
Non so come ma riesco nella trasmissione telepatica.
“Facciamo un salto in Colonia”, propone il Capo. “Così controllo pure se fossero tornati i cani.”
Si sale tutti alla Colonia.
Appena i gatti li vedono arrivare cominciano borbottii di scontento.
“Anche stamattina nun se dorme… nun se po’ campà così!” protesta Corniola appena smontato dal turno di guardia.
Danilo entra dentro lo spiazzo del rifugio e lancia sguardi verso la nuova recinzione.
Si paralizza quando nota una scia lucente di rugiada mattutina, composta da viti piccole dorate, viti medie di acciaio, chiodi a testa larga, dadi ottagonali e fiammanti bulloni testa 12.
“Ma che cazz…” fa in tempo a dire prima di realizzare che la scia è il contenuto della sua preziosa cassetta.
Il Capo vede la pista di pezzi metallici e, automaticamente, volge lo sguardo alla recinzione a valle.
“AHH! Maledetto!” grida quando scorge la cassetta porta viti ridotta in mille pezzi.
Danilo ha quasi un mancamento.
“ODOACRE! Maledetto di un istrice!” continua ad imprecare il Capo.
“Danilo… non te la prendere: la ricompro più bella e più grande e… di metallo.”
Per raccogliere tutte le viti, i chiodi e i pezzi di cassetta ci mettono mezz’ora.
Mezz’ora condita di moccoli e improperi verso il visitatore notturno.
“Ecco: ieri la mazza, oggi la litania di maledizioni… nun se po’ campà così”, commenta il solito insoddisfatto.
“Lo uccido. Lo uccido e lo faccio al forno!” si sfoga Danilo.
“E’ protetto: non si può”, replica il Capo.
“Stanotte monto la guardia io alla Colonia, col fucile.”
“Ehhh… per quattro viti! Quanti problemi! Andiamo a farci un altro caffè a casa, dai.”
“Se continua così, Odoacre rischia più di Gagarin…” mormoro a Littorina, “ditegli di darsi una calmata.”
“Sarà il caso”, aggiunge Orfeo. “Poi, il Capo non ha ancora scoperto che s’è fregato anche la torcia e la ciotolina a forma di gatto che usava per i cuccioli.
Sento un lieve rumore alle mie spalle e l’olfatto mi dice che c’è una visita per me.
“Ciao Flash!” dico senza voltarmi.
Si avvicina l’ex rivale certosino e mi fa cenno di seguirlo nel bosco.
“Missione compiuta”, conferma. “Ci ha pensato Intrepido.”
“Cosa è successo ieri notte?” gli chiedo.
“E’ venuta la Polizia. Elettra mi ha raccontato che hanno trovato la chiave in camera del nano e degli scarponcini in camera del priore. Li hanno portati via tutti e due.”
“Arrestati?”
“Non lo so, ma ieri pomeriggio sono tornati al convento. Erano incazzati neri.”
“Peccato…”
“Andiamoci piano con queste trovate”, consiglia, “che, se ci scoprono, avvelenano tutti. E ne sarebbero capaci… lo sai.”
“Hai ragione”, replico; la replica più costosa della mia vita.
Il tam-tam della notizia bomba arriva, ignoro per quali misteriose e tortuose vie, anche a Casa Carpaneta.
“Arrestati? Tutti e due?” il Capo è sbigottito. Corre in cantina e ne riemerge con una preziosa bottiglia di Moscato d’Asti.
“Bisogna festeggiare!” spiega a Susy. “Una notizia così vale più di un terno al lotto!”
“Ma sempre ai soldi sta a pensare?” medito, prima di fuggire via spaventato dal botto del tappo dello spumante.
Poi sento: “COME RILASCIATI? Chi hanno corrotto, stavolta?” Il Capo allontana il calice di spumante e si fa pensieroso.
“Ma… perché li avrebbero arrestati?” domanda.
“Non lo so”, risponde Susy.
La sua curiosità è premiata il pomeriggio, alla Colonia.
Mentre serve un prelibato primo a base di farfalline e salsa di acciughe e arringa i gatti minacciando che, se Odoacre non la smetterà con le sue scorribande notturne, sostituirà la recinzione con una rete alta a maglie fitte così nessuno potrà più entrare o uscire, una voce lo rimprovera.
“Ma li lasci in pace questi gatti! Sono il ritratto della libertà”, è il commissario Mezzetti.
“Buonasera! Di nuovo qua?”
“Solo un salutino. L’ultimo.”
“L’ultimo? Va in ferie?”
“Macché: prepensionamento. Mi hanno abbonato l’ultimo mese per togliermi l’indagine dalle mani.”
Il Capo si fa serio: “Non capisco.”
“Ho fatto una leggerezza. L’ho fatta in buona fede. E… detto tra noi, non credo neppure di essermi sbagliato. Ma…”
“Ma?” in coro, Silvio e tutti noi.
“Ma qualcuno la pensa in maniera differente. Ed ora: eccomi qua a fare una salutare passeggiata sul luogo del delitto.”
“Cosa è successo?” chiede il Capo accendendosi una sigaretta e facendo cadere a terra l’accendino, quello col gatto giallo stilizzato. Mentre lancia una serie di colpi di tosse catarrosa il commissario Mezzetti si china a raccoglierlo.
Fuma, fuma… coglione! penso tra me.
“E’ successo che, l’altra sera, il magistrato mi ha firmato il mandato di perquisizione del convento. Sono venuto con i miei agenti e abbiamo trovato quello che cercavamo.”
“Cioè?” ripete il coro.
“La chiave dei locali degli ex bagni nella camera del frate biscazziere e un paio di scarponcini numero 44 con la suola Vibram, sporchi di fango, in camera del Priore. Considerando la restituzione dei duecentomila Euro ho ritenuto le prove sufficienti per l’arresto dei due. Ma mi ero sbagliato.”
“Perché?”
“E’ intervenuto il Padre Vicario e ha dimostrato di aver versato lui quei duecentomila Euro per rimettere parte dei debiti del piccoletto, prelevandoli dalla cassa generale dei conventi. Volente o nolente il magistrato ha dovuto firmare la scarcerazione dei due religiosi.”
“E la chiave e gli scarponi?”
“Da soli non costituiscono una prova valida; nessuno può dimostrare che la chiave sia stata effettivamente utilizzata e gli scarponi siano gli stessi che hanno lasciato le impronte sul pavimento degli ex bagni.”
“Però hanno dichiarato il falso riguardo alla chiave”, sottolinea il Capo.
“Il Priore ha detto che non ce l’aveva lui, il piccoletto non è mai stato interrogato al proposito. Niente omissioni o falsità. Ho condotto male l’indagine, e ora pago le conseguenze.”
“Beh… andare in pensione un mese prima non sarà un grande dramma.”
“No. Ma l’orgoglio è ferito.”
“E ora: cosa succede?” chiede Silvio.
“Non lo so. L’indagine passa di mano e sicuramente verrà archiviata al più presto per far dimenticare l’errore dell’arresto e della perquisizione. Si sono sparati tra loro; è questo che conta. Nessuno ha più la convenienza di sapere perché e percome o di cercare quello che manca. Poi…”
“Poi?”
“C’è sempre quel particolare che non si può raccontare. Tenga, questo è suo”. fa restituendogli l’accendino. “Simpatico”, afferma, “e… singolare.”
“Grazie. Comunque non si abbatta e ci torni a trovare qualche volta. Anche per fare una semplice passeggiata o quattro chiacchiere.”
“I cani?” domanda il commissario.
“Nessuna notizia. A proposito…” il Capo gli racconta dell’episodio del giorno prima col contadino armato.
“Quello passerà dei guai di sicuro”, replica il commissario. “Girare armati e offendere le forze dell’ordine… sarà l’unico, oltre me, che pagherà per questa storia.”
“Peccato: è una brava persona. Forse un po’ sprovveduto, ma bravo.”
Si salutano, come vecchi amici.
Il Capo torna alla sua auto con lo spirito sollevato: non avrà più la Polizia tra i piedi. Poi, quando saliamo nella Panda, lo vedo pensieroso.
Si piega e comincia a cercare qualcosa con la mano sotto al suo sedile.
Ahia! penso tra me.
Mentre tasta tra l’imbottitura e l’intelaiatura del sedile dice: “Ma quello stronzo come faceva ad avere la chiave dei locali della Vecchia Colonia?”
Lo vedo scendere perplesso dall’auto e piegarsi per controllare sotto al sedile.
“Non c’è più…” mormora tra i denti. “Tazza: hai per caso visto la chiave che tenevo nascosta qua sotto?”
Faccio finta di non capire. D’altronde sono gli umani che hanno scritto vocabolari per tradurre il nostro linguaggio, mica noi per tradurre il loro!
“Mah…” conclude i suoi pensieri e lo vedo di nuovo preoccupato.
A casa delega la distribuzione del pasto ai mici della colonia casalinga a Susy mentre, armato di chiavi inglesi e cacciaviti, smonta il sedile del conducente della sua Panda. Lo tira fuori dall’abitacolo e comincia una meticolosa ispezione. Ispezione che continua dentro l’abitacolo e sotto l’altro sedile.
“Mah…” osserva.
Finisce la serata sotto la luce artificiale delle lampade del portico a smontare tutti i sedili dell’auto.
All’ora di cena desiste; della chiave nessuna traccia.
Appoggia i sedili sotto il portico e si va a fare la consueta doccia prima di placare i morsi della fame nervosa che gli è montata.
“Non capisco”, dice a Susy, a tavola, “come lo stronzetto avesse una copia della chiave dei locali della Colonia Vecchia.”
“L’avrà persa Lorella?” insinua Susy.
“Mmm… possibile. Quella va sempre di fretta. Ma non me ne ha fatto cenno.”
“Già, così invece di litigare, come al solito, facevi scoppiare la terza guerra mondiale!”
“E’ mica colpa mia se quella ha problemi!”
E’ risaputo che Silvio e Lorella non si sopportano, anzi, ogni volta che si incontravano alla Colonia Vecchia, finiva sempre con un litigio per le cose più banali. Il risultato è che Lorella ha quasi smesso di venirci a trovare, e se ci viene sempre in orari che è sicura di non incontrare il Capo.
Quanta pazienza ci vuole con gli umani… , la mia riflessione.
“Comunque”, prosegue Silvio, “non riesco a trovare la mia chiave.”
“Allora l’hai persa tu!”
“Impossibile! Come avrei fatto a perderla se quella domenica l’ho utilizzata per chiedere la porta?”
“Forse l’hai persa dopo…”
“Impossibile! Ricordo di averla nascosta sotto il sedile della Panda.”
“Allora è là.”
“Non c’è!”
“Cercala meglio, che quando nascondi le cose, poi, non le ritrovi mai.”
“Non è vero.”
“Non è vero come il vecchio libretto di risparmio che quando l’hai ritrovato ancora aveva il saldo in lire? Oppure come il passaporto o i codici segreti del conto on-line?”
“La chiave era sotto il sedile”, conclude il Capo.
“Allora l’avrà presa Tazza per farti un dispetto!”
Mi si impunta in gola il bocconcino di pollo e comincio a tossire come un tubercoloso in stadio avanzato mentre divento rosso, ancora più di quanto sono, dalla vergogna.
“Tazza! Senti che tosse!” mi richiama il Capo. “Sei pieno di vermi. Domani ci penso io…”
“NO! L’antivermi, NO!” lo supplico.
“E… la chiave come sarebbe finita in camera del frate maledetto?” domanda ancora a Susy.
“Ah… questo è un mistero. Domani, con calma, la ricerchi e… vedi di ricordarti di sverminare Tazzone.”
-Ti hanno sverminato, poi? chiede Spinello, un vecchio gatto di casa Carpaneta, a cui è impossibile dare qualsiasi tipo di medicina.
-No, mi sono salvato. Anzi: diversi di voi mi hanno salvato, non so chi di preciso. La mattina successiva, finito di nutrire i gatti e pulite le cassette igieniche, il Capo è andato per montare il sedile del conducente nella Panda e si è sentito l’urlo belluino:
“AHHH!!! MALEDETTI!”
Qualcuno, nella notte, aveva pensato bene di arrotare le unghie sul sedile. Il risultato erano una serie di squarci di tutte le dimensioni. Non contento, il colpevole o forse qualcun altro, ci aveva fatto anche una copiosa spruzzata di pipì. Risultato: la Panda rimaneva ferma in attesa della pulizia e della riparazione del sedile. Salta l’appuntamento mattutino con Danilo, ma l’amico viene lo stesso qua a casa e ascolta le ultime notizie dalla voce del Capo.
“Ci sono troppi misteri”, il commento di Danilo.

RALF - Il Cucciolotto (obeso) della Colonia