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UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)
Oggi è la classica giornata di merda: piove, piove e piove.
Siamo tutti rintanati nella casetta ad aspettare che
schiarisca il cielo per poter finalmente uscire a spasso nel bosco e goderci il
suo silenzio, invece del cupo russare di ORFEO e ZORRO.
A completamento della puzzolente giornata è intervenuto
anche il postino che, adducendo un fantomatico guasto al suo “Ciao”, non ha
consegnato la posta: niente giornali e niente Settimana Enigmistica.
Si potrebbe organizzare un torneo di burraco, ma PINELLA ed
EMILIA barano sempre facendosi cenni e fregando sul conteggio dei punti. Il
Risiko l’abbiamo prestato alle pecore del contadino e ancora non lo hanno
restituito. A scacchi nessuno sa giocare e con la pioggia la parabola della tv
riceve solo Radio Maria.
Rimane un’unica alternativa.
La prendo ed inizio la lettura.
CAPITOLO 10
-Al ritorno dalla visita pomeridiana in Colonia il
Capo trova una visitatrice ad aspettarlo a casa. E’ Maria Rita, la vicina che ha un appezzamento di
bosco triplo rispetto a quello di Casa Carpaneta, il massimo per le vostre
battute di caccia.
“Buonasera Silvio! Le volevo parlare del problema
dell’allaccio al collettore fognario.”
“Bella noia e… bella spesa!” risponde.
“Appunto per questo sono qua. Ho preso contatto
con una piccola impresa che potrebbe fare il lavoro di allaccio a prezzo
modico. Se il lavoro si facesse in comune i costi verrebbero quasi dimezzati.”
“Sentiamo…”
“Vede…” la vicina illustra al dettaglio il suo
progetto. “Praticamente se convogliamo i tubi di scarico possiamo allacciarci
con una sola utenza e fare solo uno scavo. Occhio e croce sono seimila Euro a
testa.”
“E’ sempre una bella cifra!” replica il Capo.
“Invece avevo pensato di fregarli allacciando un tubo cieco.”
“E come la mette con la prova?”
“Che prova?”
“Quando dichiara di aver completato i lavori
vengono dei tecnici del Comune a verificare il perfetto funzionamento. Versano
un colorante nello scarico del water e controllano che nel collettore arrivi il
liquido colorato.”
“Oh, cazzo!” commenta Silvio molto signorilmente.
“Domani torna l’impresario, se ci volesse
parlare…”
“Per firmare il contratto?”
“No, l’impresa viene per demolire quella piccola
rimessa al confine della recinzione. Lo scavo deve passare là sotto.”
“La vecchia rimessa dei cani da caccia di suo
suocero?”
“Esatto.”
“Oh, cazzo!” si ripete il gentiluomo.
“Perché?” domanda la vicina.
“Nulla… nulla.”
Appena Maria Rita se ne va sento il Capo
smadonnare sottovoce.
“Cosa succede?” domanda Susy.
“Domani buttano giù la vecchia rimessa dei cani da
caccia di Italo.”
“Bene! Era orribile.”
“Bene una sega! Sotto la catasta di legna fradicia
che ci sta dentro ho nascosto la valigetta con la droga!”
“Oh, cazzo!”
Dio li fa e poi li accoppia, ho pensato.
Rivedo il Capo in piedi alle tre di notte farsi il
caffè e vestirsi con una tuta nera e un passamontagna.
“Va a fa…fare u…una ra…rapina a q…q…quest’ora?”
domanda Paccolino svegliato dal movimento.
Lo vediamo uscire di soppiatto da casa armato di
una torcia a pile, cinese, di qualche decennio fa. Scavalca guardingo la
recinzione e si avvicina alla vecchia rimessa dei cani da caccia.
Ma non è solo…
Una decina dei gatti che dormono nel garage hanno
sentito gli strani rumori e si sono messi in allarme. Quando vedono che è il
Capo a passeggio nel bosco lo seguono in processione.
Ci ritroviamo in venti davanti alla rimessa dei
cani e mentre Silvio comincia a spostare, con molta attenzione per non fare
rumore, i ciocchi di legna infradiciati dai lunghi anni permanenza tutti
pensano che si tratti di un nuovo gioco e cominciano a saltare sulla catasta di
legna e a rincorrersi.
“Zitti, maledetti!” sibila il Capo.
Ma Ughetto, noto per la sua agilità e senso di
equilibrio, sposta una cassetta piena di detriti di mattoni che cade su un
bidone metallico vuoto facendo un rumore simile all’impatto di un tir contro un
cartellone pubblicitario.
Si accendono delle luci nella casa dei vicini e
una finestra si apre.
Il Capo si getta a terra, nascondendosi dietro una
vecchia panchina arrugginita.
“CHI E’?” sento gridare da una finestra.
Ho la prontezza di rispondere con uno di quei
miagolii che preannunciano la battaglia con un altro maschio. Serpotto, uno dei
gatti di qualche vicino che ha deciso di trasferirsi vita natural durante a
Casa Carpaneta, lo interpreta come una sfida e lancia il suo grido di
battaglia.
Arriva anche Paperino, che quando c’è da fare a
botte non si tira mai indietro e rincara la dose con un urlo belluino
gettandosi all’inseguimento di Serpotto.
Un casino della madonna.
“Ora vengo giù con la scopa!” la risposta del
marito della nostra vicina.
“Maledetti…” mastica tra i denti il Capo.
Ma la minaccia è senza seguito. Serpotto e
Paperino fuggono correndo nel bosco, gli altri gatti prudentemente tornano nel
garage.
Silvio aspetta una decina di minuti poi si rialza
e prosegue il suo lavoro. Dopo poco ha tra le mani la ventiquattrore
incriminata e torna nel garage a fumarsi una sigaretta.
Finito di asfaltare i polmoni apre la valigetta e
schiaccia i sacchetti di polvere bianca fino ad ottenere uno spazio vuoto
abbastanza grande per metterci un pesante pezzo di ferro arrugginito.
“E’ un ferodo dei freni di un locomotore”, mi
spiega, anche se non capisco. “Pesa una decina di chili; è quello che ci
vuole.”
Richiude la valigetta e la sigilla con del nastro
adesivo largo. Lo vedo dirigersi verso la fossa biologica, aprire il secondo
tombino di cemento con svariati moccoli, perché incastrato. Prende un tondino
di ferro con l’estremità piegata ad uncino, ci infila la maniglia della
valigetta e la cala, lentamente, dentro i liquami puzzolenti della fossa.
Quando la valigetta tocca il fondo sgancia l’uncino e lo tira su. Ma mentre
risolleva il pesante tombino di cemento urta un sasso che cade nella fossa e
alza uno schizzo di liquido che lo colpisce in pieno.
“Porc…” segue un monologo di venti minuti.
Finalmente risale a casa, dopo essersi ben pulito
nel garage, a farsi l’ennesimo caffè e continuare a stendere catrame nei
polmoni.
Oramai è mattino, Susy si alza.
Mentre prepara silenziosamente il suo caffè la
vedo arricciare continuamente il naso. Poi comincia ad annusare l’aria con
l’espressione torva e guardare il pavimento.
“Bisogna controllare bene sotto i mobili”, dice,
“qualche micio dovrebbe aver fatto la cacca in giro.”
“Sono io…” confessa il Capo.
“L’hai fatta tu?”
“No! Sono io che puzzo”, e racconta dell’avventura
notturna.
Fa in tempo a farsi una salutare doccia, prendersi
altri due caffè e altre due pillole coadiuvanti il cancro ai polmoni e saliamo
sulla Panda coi sedili rattoppati e ripuliti dalla pipì dello sconosciuto
felino imbrattatore.
“Saranno pure ripuliti, ma la puzza ti asfisia…”
nota con disgusto.
Dopo l’ennesimo caffè il Capo racconta a Danilo
dell’avventura notturna.
“Hai fatto bene a spostarla e metterla nella fossa
biologica. Quando ti faranno il nuovo condotto fognario che bypasserà la fossa
la dovrai fare riempire di calcestruzzo per sicurezza. La valigetta farà la
fine di tanti morti per mafia: sepolti nel cemento.”
ZORRO - Il Pessimista della Colonia |
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