sabato 18 gennaio 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO

   


8
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)




Domani c’è la grande sfida; oggi è giorno di riposo.
Ne approfitto e continuo la lettura del manoscritto misterioso ai colleghi della Colonia per far smaltire lo stress pre derby. La popolazione felina sul tetto pardon, solarium, è numerosa.
Appena tutti si sono accomodati inizio la lettura.


CAPITOLO 8

-Durante il pranzo Silvio esprime le sue preoccupazioni.
“Ora c’è anche una sedicente amante dei gatti che sta cercando quella roba. Sono in tre a partecipare alla caccia al tesoro e tutti orbitano intorno a me e alla Colonia. Comincio ad avere qualche seria e insana preoccupazione”, dice a Susy.
“Devi essere forte e controllato: non fare passi falsi e nega sempre, anche l’evidenza.”
“Mo’ ti sei messa a fare l’avvocato?”
“Bisognerebbe”, prosegue Susy, “spostare il tiro delle loro ricerche.”
“Dove e come?”
“Dove? Verso il convento e i fratacci. Come: non ne ho idea.”
Vedo un lampo negli occhi di Silvio. La proposta gli è piaciuta e, dal sorriso crudele che mostra prima di infornare una forchettata di spaghetti, dovrebbe aver elaborato già un’idea.
Sento che la mette in pratica nel pomeriggio, al pasto dei mici della Colonia.
Riceve l’ennesima visita del commissario Mezzetti, stavolta come scusa ha portato un sacchetto con dei bocconcini in bustina.
“Mi ritiro”, dice sedendosi su una panchina di legno.
“Le hanno anticipato la pensione?” chiede Silvio.
“Magari! No, mi ritiro dall’indagine. Non credo di avere il tempo e, soprattutto, la motivazione di portarla a termine. Oramai la mia mente è persa ad assaporare l’ozio della messa a riposo.”
“Peccato”, replica Silvio, “in questi giorni ci ho pensato fitto a questa faccenda e mi sono accorto di aver dimenticato di dirle un particolare. Forse è irrilevante o, forse, già ne è a conoscenza.”
“Mi dica.”
“Forse so chi potrebbe essere entrato nei locali degli ex bagni.”
“Chi?”
“Il nano maledetto: il frate che hanno recluso qua al convento di Montelepre.”
“Mah…” risponde il commissario, “ho già parlato con il Priore: mi ha assicurato che, a quell’ora, tutti i frati erano dentro al convento, al refettorio.”
“Bugia, l’ennesima. Il frataccio ha la libera uscita la mattina presto: dalle 6 alle 8. Infatti, quella domenica, l’ho intravisto sulla collinetta sopra al parcheggio, intento ad osservare le operazioni dei poliziotti.”
“Verificherò, grazie”, poi ci pensa un attimo. “Perché ha detto che è recluso?”
“Sembra che abbia sputtanato la cassa del convento dove stava prima per giocare alle slot-machine. Dicono pure che abbia preso in prestito soldi, tanti, dagli usurai. Ora lo stanno cercando per fargliela pagare.”
“Interessante. E’ vero o è solo una cattiveria gratuita, visto quello che ha combinato?”
“Si informi.”
“Lo farò.”
Poi il Capo getta l’amo, quello giusto per la preda che gli interessa.
“Comunque non dovreste avere problemi a scoprire chi sia entrato negli ex bagni…”
“No?”
“Le impronte digitali. Chiunque fosse entrato dovrebbe aver lasciato delle impronte sulla maniglia della porta. Basta rilevarle e il gioco è fatto.”
“Già provveduto, grazie.”
Silvio interroga il commissario con un eloquente sguardo.
“Sarebbe un segreto di ufficio… ma tanto, per quel che vale. Il signore che ha scoperto le tracce di sangue e pure il poliziotto che ha aperto la porta hanno toccato, con le mani nude, la maniglia. Risultato: un mix di impronte illeggibili.”
“Non avete nessuna traccia, allora!”
“Errato. Una traccia ce l’abbiamo, anzi più di una. Dobbiamo solo scoprire a chi appartengono.”
Altro sguardo interrogativo di Silvio.
“Impronte di suole di scarpe”, chiarisce Mazzetti. “Chiunque è entrato nei bagni indossava un paio di scarponcini con la suola Vibram, numero 43.”
Automaticamente Silvio osserva le sue scarpe.
“No”, interviene il commissario, “non sono quelle delle sue scarpe: abbiamo già controllato. Lei ha un 44 e la suola è di produzione vietnamita, non ricordo la marca.”
“Cazzo…”
“Magari le ha pagate come un prodotto italiano ma, glielo assicuro, sono scarpe da quattro soldi.”
Visto che succede a fare il pidocchioso? ho pensato tra me.
“Avrei un’altra curiosità”, prosegue il Capo.
“Stop. Ho già parlato abbastanza, anche troppo.”
“Ochei…”
Ce ne torniamo qua, a casa, con Silvio molto più sollevato nello spirito.
“Sono fuori dalla lista dei sospetti. Capisci, Tazza?”
E vuoi sprofondare nella merda il nano sterminatore di felini… bella vendetta!
La serata la passiamo davanti al computer. Il Capo ha tracciato una riga colorata sopra ogni conto arretrato da pagare: ne rimangono pochi, lo vedo rilassato.
Talmente rilassato che si appoggia sul piano della scrivania e si addormenta con me accoccolato sulle sue ginocchia.
Lo (ci) sveglia Susy quando sale per andare a letto.
“Dai che ti fai una bella dormita, stanotte!” lo rassicura.
Infatti alle tre è già sveglio che gira per casa massaggiandosi una coscia.
“Un dolore tremendo, Tazza. Sembra che mi ci abbiano appoggiato un sacco di cemento mentre dormivo.”
Faccio finta di nulla e continuo a dormire sul divano.
Gli concedo la mattinata libera, tanto deve fare un giro dai clienti. Ne approfitto per sviluppare un’idea che mi era passata per la testa durante la notte.
Nel pomeriggio si torna in Colonia a nutrire la truppa.
Si riaffaccia il commissario Mezzetti.
“Ancora qua?” lo accoglie il Capo. “Mi sa che ha deciso di fare il gattaro quando andrà in pensione.”
“Forse… sono passato a dirle due cose.”
Silvio rallenta la distribuzione del cibo e drizza le orecchie.
“La prima: i due cani killer sono stati di nuovo avvistati a qualche chilometro da qua. Stavolta hanno devastato un pollaio e fatto strage di galline, stia accorto.”
“Domattina provo a terminare la recinzione, spero non sia troppo tardi. La seconda?”
“C’è del marcio in Danimarca… come diceva il buon Totò.”
Frase enigmatica che non ho ben compreso, ma neppure il Capo che guarda perplesso il commissario.
“Ho telefonato al Priore del convento per sapere quella storia del frate e dei debiti di gioco. Sono stato trattato quasi a pesci in faccia e, dopo una mezz’ora, mi è arrivato il rimprovero del Questore perché avevo disturbato il quieto vivere dei religiosi. La cosa non mi è garbata, come se avessero avuto da nascondere qualcosa.”
“Gliel’ho detto! Sono loschi quelli…”
“Infatti…”
Tutti i gatti smettono di mangiare e fissano attentamente il commissario. Anche Silvio rimane fermo, con un piatto di bocconcini in mano, in attesa di sentire la fine della frase.
“Infatti”, prosegue, “è vero quello che le hanno raccontato. Il frate ha accumulato una valanga di debiti di gioco e…”
“E…?” ripetiamo tutti in coro.
“E, dalle mie informazioni, sembra che tre giorni fa sia stato pagato un acconto agli usurai creditori.”
“Cioè?” domanda il Capo.
“Duecentomila Euro.”
“Fischia! Ma quanti cazzo di soldi ha perso quello stronzo?”
“Mezzo milione di Euro. E non solo con le slot, al frate piacciono pure le bische clandestine.”
“E dove li hanno trovati duecentomila Euro che stanno sempre a piangere miseria?” espone ad alta voce Silvio.
“Appunto…” il commissario.
“Appunto… cosa?”
“Torniamo a quella domenica. Quella maledetta domenica. Come vorrei essere già in pensione…”
“Si spieghi.”
“Sa chi erano quelli che si sono sparati?”
“Esponenti di due bande, ho letto sui giornali.”
“Non proprio. Diciamo che i giornali hanno scritto quello che qualcuno gli ha ordinato di scrivere.”
“Cioè?”
“Beh, non posso rivelare certi particolari ma i quattro erano qui per concludere un affare.”
“Che affare?”
“Droga contro soldi: uno scambio. Ma qualcosa è andato storto.”
“E si sono ammazzati tra loro.”
“Esatto. E la droga e i soldi… dove sono finiti?”
“Dove sono finiti?” domandiamo in coro tutti quanti.
“Mistero. Fitto. Ma qualcuno ha preso il tutto: droga e soldi.”
“Quanto?” altra domanda collettiva.
“Mistero. Questo non lo sappiamo ma…”
“Ma…?” sembra di stare alla Messa, con i fedeli che ripetono le parole del frate predicatore.
“Ma duecentomila Euro sono improvvisamente ricomparsi.”
“E ora?” il coro.
“Ora le indagini cominciano a prendere una certa direzione. Amen.”
Decido di mettere in opera subito il mio piano. Quando il Capo e il commissario salgono per andare a prendere l’acqua per le ciotole mi aggrego e appena Silvio apre l’auto per riporre il secchio vuoto delle crocchette mi intrufolo dentro.
“Tazza, esci!” dice il Capo, ma io faccio orecchie da mercante e mi sdraio sul sedile del passeggero.
Silvio mi lascia dentro l’auto e si incammina col commissario verso la fontanella dell’acqua.
Ne approfitto per fare una cosa, di nascosto a tutti.
Quando il Capo ha finito di sistemare tutto e sale in auto scendo veloce e torno verso la casetta.
“Tazza!” lo sento gridare, ma proseguo per la mia strada.
Poi sento che mette in moto e se ne va.
Giunto alla casetta ordino a tutti i mici: “Andatemi a cercare Flash! Subito.”
“Non c’e bisogno”, sento miagolare alla mia destra. “Sono qua.”
Flash è steso tra due grossi castagni, invisibile a tutti.
“Cosa vuoi?” chiede.
Mi avvicino e gli faccio segno di camminare con me, lontano dagli altri gatti della Colonia.
Quando siamo a distanza di sicurezza: “Ho bisogno di un favore: un grosso favore. Questa chiave deve essere nascosta dentro alla camera del frate assassino. Ma non troppo nascosta.”
“Nascosta in maniera che venga ritrovata?”
“Esatto.”
“Non posso aiutarti. Non mi fanno entrare negli alloggi del convento, mi scacciano sempre. E neppure so dove dorme il frataccio. Ma… c’è chi lo potrebbe fare senza problemi.”
“Chi?”
“Intrepido ed Elettra.”
-Chi sono? domanda Togo, un altro dei nuovi arrivi di Casa Carpaneta.
-Due dei tre gattini adottati anni fa dal vecchio Priore. Dormono dentro al convento.
-E il terzo?
-La terza: Alice. E’ scomparsa, credo sia morta.
Colgo un attimo di tristezza tra i gatti che sono stati trasferiti qua a casa da lungo tempo. Un altro dei loro non c’è più.
-”Va bene!”, rispondo a Flash. “Mi ci puoi pensare tu a passargli la chiave e confermarmi il successo della missione?”
“Con piacere. Estremo piacere”, replica il vecchio nemico, che ha capito perfettamente le mie intenzioni e afferra coi denti il rudimentale portachiavi fatto con una striscia di cuoio.
Torno alla casetta tra gli sguardi incuriositi degli gatti.
“Hanno smesso di menarsi quei due?” domanda Aries.
Lo fulmino con un’occhiataccia e chiamo a rapporto tutti i gatti della Colonia.
“Sentito?” faccio loro. “Sono ricomparsi i cani: doppi turni di sorveglianza.  e voglio delle vedette anche nel bosco dietro al muro di cinta del convento.”
“Ma così siamo tutti di vedetta”, osserva Topazio.
“Meglio vigili che sbranati. Chi riposerà dovrà farlo sopra le grosse querce vicino al giardinetto della Vecchia Colonia. Alla casetta voglio solo una vedetta, e vigile. non correte inutili rischi e lanciate subito l’allarme appena li avvistate.”
“Nun se po’ campà così…” sento mormorare Corniola.
Me ne torno a casa dopo queste –necessarie- istruzioni.
La sera Silvio non è rilassato, anche lui ha la preoccupazione per i cani. Prova a sdraiarsi sul letto e dormire, ma non ci riesce.
Si alza dieci volte e dieci volte prende un caffè.
“E’ inutile”, dice alla fine a Susy. “Non riesco ad addormentarmi al pensiero che i cani tornino a fare strage in Colonia. Faccio una cosa.”
“Cosa?” domanda Susy con la voce impastata dal sonno.
“Vado su a controllare.”
“Vai… vai… almeno si dorme”, la sento mormorare.
Scopro che la preoccupazione è contagiosa. Non me la sento di rimanere sul letto con Susy quando, magari, i miei discepoli sono in pericolo di vita. Decido di seguire il Capo.
Quando arriviamo notiamo uno strano movimento al piazzale del convento.
Ci sono diverse auto con i fari accesi e un paio di volanti della Polizia.
Ci scambiamo uno sguardo preoccupato.
“Un altro regolamento di conti?” ipotizza il Capo.
Scende armato di torcia, ma un uomo gli si fa subito incontro.
“Cosa vuole?” chiede sgarbato.
“Nulla da lei. Sono venuto a controllare la Colonia dei gatti. Ci sono dei cani feroci in giro.”
“A quest’ora?”
“E’ vietato?” il Capo comincia ad innervosirsi.
“Chi gliel’ha detto dei cani?”
“Un commissario di Polizia.”
“Mezzetti?”
“Esatto. E’ venuto nel pomeriggio ad avvisarmi che i cani erano ricomparsi.”
“Aspetti qua”, dice mentre chiama col telefonino qualcuno.
“Dov’è Mezzetti?” lo sentiamo chiedere, poi borbotta un qualcosa di incomprensibile.
“Ora arriva”, ci comunica.
“E lo sveglia per questo?”
“E’ già sveglio: è nel convento.”
Intanto, nella penombra del piazzale, scorgiamo Primula e Emilia di vedetta e Orfeo ci viene incontro, ancora tutto assonnato, a fare la consueta relazione.
“Tutto a posto Generale! Nessun cane avvistato. Odoacre e la sua famiglia sono scappati con la ciotola delle crocchette dopo che hanno visto il traffico di auto.”
Vediamo arrivare il commissario Mezzetti, col suo solito impermeabile. Forse è la sua divisa ufficiale.
“Silvio!” esclama. “Cosa fa qui, a quest’ora?”
“Non riuscivo a dormire per il pensiero dei cani. E lei?”
Il commissario prende in disparte il Capo e gli mormora: “Ho trovato un magistrato alleato, mi ha firmato il mandato di perquisizione. Se non trovo nulla domani sarò in pensione anticipata, o agli arresti domiciliari…”
“Cosa vorrebbe trovare?”
“I soldi. Magari, i soldi e la droga. Poi li sbatto in faccia al Questore. Ma finora… nulla.”
In quel momento gli squilla il telefonino e il commissario risponde.
“Arrivo subito!” lo sentiamo gridare con soddisfazione.
“Ci siamo…” poi mormora al Capo. “Niente pensione anticipata.”
Scambio uno sguardo interrogato col Capo.
Avremmo voglia di rimanere per vedere cosa succede ma il buon senso ci dice che è il caso di tornarsene a casa e provare a strappare qualche ora di sonno, tanto, con questo casino, i cani dovrebbero rimanere alla larga dalla zona.
Lo facciamo.
Poi, alla solita ora, scendiamo al consueto appuntamento con Danilo e il caffè del bar.
“Che avete combinato stanotte? Avete certe occhiaie!” fa notare l’amico.
Silvio gli racconta gli ultimi eventi.
“Sono fuori dalla lista dei sospetti, hai capito?” conclude.
“Sì”, conferma Danilo, “ma è il caso di continuare le nostre attività come se nulla fosse successo. Andiamo a terminare la recinzione alla Colonia.”
“Sarà dura: non mi reggo in piedi.”
“Resisti. Dobbiamo pure scoprire se nel convento hanno trovato qualcosa.”
Si torna in Colonia e si prosegue il lavoro tra gli improperi dei gatti che hanno passato la notte a fare le vedette e, ora, vorrebbero dormire.
“Nun se po’ campà così…” si ripete Corniola.
Nessuna notizia dal convento. Tutto chiuso, nessuno è entrato o uscito e la Polizia se n’è andata. Rimane la solita coppietta ad amoreggiare in auto vicino al sentiero che scende alla casetta.
Mentre Danilo sta piantando un palo prendendolo a martellate con una mazza da una decina di chili con Baiocco e Topazio che lo osservano con sguardo assassino sentiamo un fragoroso: “Bongiorno!”
Il Capo si volta di scatto e vede un ometto, piccolo e malvestito, con gli scarponi infangati e un fucile in mano.
“E’ to qui che i cani honno amazzato i gatti?” chiede.
“S… sssì” balbetta Silvio mentre avvicina la mano al manico di piccone e Danilo ha pericolosamente alzato la pesante mazza, non proprio sopra al palo.
“So l’contadino che c’armesso tutte le galine. Glie stò a dà la caccia ta quele du belve. Una l’ho chiappata l’altra sera. Ma solo de striscio…”
In quel momento una scena inaspettata: i due che amoreggiavano in auto compaiono alle spalle del contadino, lo disarmano, lo buttano a terra e lo ammanettano.
“Fermo! Polizia!” gridano.
La platea dei randagi, sopra il tetto della casetta, controlla la scena incuriosita. Solo il solito Corniola lascia un commento: “Bravi! Arestateli ta tutti! Anche ta ‘sti due che fonno rumore!” rivolgendosi a Danilo e al Capo.
“Fermi!” interviene il Capo. “Lo conosco! E’ il contadino della Pieve, qua sotto.”
“Non è il finto carabiniere?” chiede la poliziotta.
“No, no. Sta dando la caccia ai cani.”
“Col fucile?” l’altro poliziotto.
“Con che ce dovria gi’ a stanà quele belve? Co’ la cerbottana? Ma guarda tu la madonna quello che ha da capità ‘nto sto paese… t’aresteno pe le cazzate!”
Il contadino viene liberato, redarguito e, visto che non sembra aver capito che non si può andare in giro col fucile carico a caccia di cani randagi, identificato e denunciato.
“V’auguro de fa la stessa fine de le mi’ galine!” gli grida contro prima di andarsene.
“Avevi gli angeli custodi e non te ne eri accorto”, mormora Danilo.
“Mmm..mm… Fortuna che non ho fatto passi falsi.”
Come al solito la campana del convento annuncia il mezzogiorno. Si sospendono i lavori, si ripongono gli attrezzi e i due amici tornano a casa propria.
“Ehi!” fa Baiocco. “Si sono dimenticati di riporre questo!”
E’ una valigetta a scomparti dove sono riposti, ordinatamente, viti, bulloni, dadi e chiodi di varie misure.
“E’ del Capo?” domanda Emilia.
“Mmm… troppo ordinata, le viti sono riposte in maniera maniacale: da legno, piccole, medie, grandi, colore acciaio o dorate. Questa valigetta è sicuro di Danilo” osserva Topazio.
“Nascondiamola dietro alle cucce esterne, altrimenti la potrebbero rubare”, consiglia Ofelia. “Questo pomeriggio la rimettiamo in bella mostra e il Capo la riporrà insieme agli altri attrezzi.”
Ma il pomeriggio Silvio ritarda: si è svegliato tardi dal pisolo.
I randagi della Colonia sono nervosi e affamati. Quando arriva con il dovuto e meritato pasto viene quasi assalito. Fa in tempo a distribuire il cibo, ritirare i piatti utilizzati che già è buio.
“Notte ragazzi!” li saluta. “Occhio che i cani sono di nuovo a spasso!”
“Archimede!” chiamo il mio vice. “Fai un salto al convento e dì a Flash di capitare qua, domattina.”

OFELIA

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