giovedì 29 gennaio 2015

GATTARO (il)





MIKIpedia




Iniziamo la nuova rubrica con un termine molto utilizzato, ma di cui pochi conoscono il vero significato letterario e psicologico.

GATTARO (il)
- (reg.) abitante di Roma che accudisce e porta da mangiare ai numerosi gatti che popolano l’Urbe, spesso fra le rovine degli antichi edifici di età romana - recita un dizionario online
o, più semplicemente:
- (fam.) persona che nutre e accudisce i gatti randagi, soprattutto nelle grandi città  - un altro dizionario online.
Mah!
Definizione fredda, stringata ed errata del termine.
Il gattaro è vero che, sì, nutre ed accudisce gatti randagi, ma anche in altri luoghi oltre che a Roma o nelle grandi città. Forse nei piccoli borghi non esistono gatti randagi?
Ma non cominciamo subito a litigare coi sapientoni della Crusca che poi il Prof. PALLUCCHINO si incazza.
In sostanza il GATTARO è colui, solo ed esclusivamente in versione maschile (le gattare, pur svolgendo il medesimo compito presentano risvolti psicologici e patologie correlate ben più gravi), che occupa parte del suo prezioso tempo per giocare a fare il papà responsabile con un mucchio di quadrupedi pulciosi, indisciplinati e miagolanti. Tale presunta prole si presta volentieri al gioco, purché sia di breve durata giornaliera (giusto il tempo di aprire e versare sui piatti una decina di scatolette di cibo di qualità decente, riempire le ciotole con fragranti crocchette in busta sigillata e sostituire l’acqua delle scodelle con altra limpida e fresca). Solitamente il gioco papà/bebè pulciosi si interrompe se il GATTARO avanza assurde pretese quali: mettere l’antipulci ai suoi bambini, portarne qualcuno dai veterinari per un visitina di controllo o impedire loro di portare a spasso le prede ancora agonizzati a mò di trofeo.
Il GATTARO è una persona semplice, anche se riesce a vivere solo di complicazioni, parco nei consumi personali e non dedito ad abuso di droghe leggere o pesanti, malgrado le apparenze. Si nutre fondamentalmente di caffè, nicotina e Fernet, talvolta rompe la dieta con piatti di pastasciutta ben conditi o insalate che sanno di plastica riciclata.
Il GATTARO è una spugna; assorbe completamente le abitudini dei suoi protetti e le metabolizza, succede spesso di vederlo a fare pipì sui mucchi di sabbia da costruzione o in invitanti fioriere con la terra smossa.
Il GATTARO vive solo ed esclusivamente per i suoi amati pulciosi; col tempo tende ad annullare completamente la sua vita privata, cancellare i suoi affetti umani più cari e dimenticare le gioie terrene riservategli dalla natura, tipo ferie, sesso (coniugale ed extra), serate al tavolo di burraco, uscite spensierate sui cucuzzoli dei monti appenninici a cercare chissà cosa.
il GATTARO, col tempo, comincia a pensare e comportarsi come i felini che protegge; vive accoccolato accanto al termosifone acceso d’inverno, l’estate sotto i cespugli più ombrosi e freschi, spesso si arrampica sulle piante da frutto in attesa che un inesperto uccellino vada a beccare le ciliegie, scatta come una molla appena sente il rumore di una scatoletta di Gourmet Gold aperta nel raggio di due chilometri, prima guarda con sospetto i cani, poi comincia a detestarli, entra in auto solo ed esclusivamente dal finestrino lasciato aperto, spesso sbaglia anche auto e viene minacciato o percosso dal legittimo proprietario.
Il GATTARO non vuole noie o seccature; il mondo deve necessariamente adattarsi a girare intorno a lui mostrandogli solo la sua parte migliore.
Il GATTARO, col tempo, mentre sogna muove le sue zampette posteriori, la coda e fa strani versi con la bocca, talvolta russa, ma basta sverminarlo con regolarità un paio di volte all’anno.
Il GATTARO è colto; legge e scrive per compensare la sua visione del mondo bicromatica, lui conosce solo il bianco e il nero.
Se capisce di essere fotografato si muove in continuazione, come se le pulci stessero giocando a rugby in prossimità del suo pube.
Al GATTARO piace rovistare e rubare gli avanzi dai cassonetti della spazzatura, ecco perché a Perugia oramai tutti sono chiusi col lucchetto.
Il GATTARO ama bere dalle pozzanghere di acqua piovana, specie se torbide.
Il GATTARO è un simpatico ed innocuo animaletto, non maltrattatelo, ma adottatelo,se potete. Non è vero che sia poi così asociale anzi: è di estrema compagnia, soprattutto se lo lasciate dormire nel vostro letto la notte.

Classica espressione pensierosa del GATTARO

CHEESE! Scatti felini a Monte Malbe

The Wild Bunch

mercoledì 28 gennaio 2015

IL SOLARIUM LETTERARIO








VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
23a puntata






Continuo imperterrito la lettura anche per tenere compagnia ai solito paio di colleghi che beccano il raffreddore e devono rimanere al calduccio della loro cuccia dentro la casetta, tanto è tornata la tramontana e di stare sopra il tetto (pardon, solarium) non se ne parla.

27

Arriva il grande giorno.
Dopo due ricognizioni e la conferma delle abitudini dei fratelli siamo pronti a colpire. Il piano è semplice, quasi elementare, ma si sa: le cose più sono semplici e meglio riescono. L’unico inconveniente è la massiccia presenza di telecamere di sorveglianza nella via della gelateria e nelle strade adiacenti. Saremo scoperti in un paio di ore e dopo dieci minuti avremo tutti i Servizi alle calcagna. Ma è quanto ci basta per tornare nel rifugio di Carpaneta.
Alle 7,40 scarichiamo dal furgone un ciclomotore ed io, vestito da postino, aspetto il segnale di Ken nelle vicinanze della gelateria. Ken parcheggia nella stessa via del locale vestito da operaio di una fantomatica ditta di impiantistica telefonica e, arrampicandosi su una scala, finge di riparare una scatola di derivazione controllando l’ingresso della gelateria.
Alle 8,30 mi comunica che uno dei fratelli è arrivato ed è entrato nel locale.
Alle 8,42 arriva pure il secondo.
Alle 8,57 li raggiunge il fratello anziano, il basista.
Sono tutti: tocca a me.
9,03 parcheggio il motorino a fianco dell’ingresso della gelateria. L’Uzi silenziato che ho dentro la borsa da postino è già armato e senza sicura. Così pure la Glock infilata nella cintura, dietro la schiena.
Busso alla serranda della gelateria, il fratello giovane mi vede e con un cenno della testa chiede cosa voglia.
-Raccomandata!- rispondo, mostrando una lettera con la mano.
-Da qua!- mi dice senza alzare la serranda.
-C’è da firmare- rispondo mostrando un grosso blocco che non entra nelle maglie della saracinesca.
Spazientito, il sicario alza la serranda ed entro nel locale.
-Da dove viene?- domanda.
-Perugia- lascio cadere la busta a terra mentre sopraggiunge anche il fratello anziano.
Il giovane si china per raccoglierla mentre estraggo l’Uzi e freddo l’anziano con una raffica che lo centra in pieno scaraventandolo contro la vetrina del gelato.
L’altro rimane paralizzato, poi morto, raggiunto da una seconda breve raffica.
Mi precipito dietro al bancone ed entro nel laboratorio. Sorprendo l’ultimo fratello che sta cercando di afferrare qualcosa dentro al cassetto di un tavolo di acciaio. Una raffica e il rivestimento di piastrelle bianche del muro alle sue spalle si macchia di chiazze rosse.
Estraggo la Glock, gliela punto alla testa e sparo un altro colpo silenziato.
Torno nello spazio di vendita mentre Ken è davanti alla porta della gelateria a fare da scudo e copertura. Un colpo alla testa anche all’anziano e all’altro.
-Fatto. Via!- dico a Ken che vedo impallidire e quasi barcollare.
Gli assesto uno schiaffo. -Sbrigati, coglione!
Lo scaravento dentro alla cabina del furgone e mi metto al posto di guida, contrariamente a quanto progettato.
Per fortuna.
Ken vomita sul cruscotto appena superiamo il primo semaforo verde.
Nel parcheggio di un condominio vicino al raccordo Terni-Orte lasciamo il furgone e saliamo nell’auto che avevamo lasciato due ore prima.
Via! Di corsa, ma non troppo, verso Carpaneta. In prossimità di Todi Ken vomita una seconda volta.
-Coglione!- gli ripeto -La prossima volta vieni digiuno.
Quando usciamo dalla E45, proseguendo per una strada secondaria il coglione si rianima e riprende l’uso della parola.
-Non avevo mai visto uccidere…
-E ti volevi fare vendetta da solo. Comunque ora comincia il difficile.
-Che schifo la testa che scoppia…
Continuo a guidare in silenzio fino a che il coglione domanda: -Quanti?
-Quanti… cosa?
-Quanti ne hai uccisi in vita tua?
Borbotto una risata.
-Erano i primi. Non ero un agente operativo in quel senso.
-I primi?
Proseguo, in silenzio, fino a Carpaneta.

     28

Seguiamo gli avvenimenti ai telegiornali e nei quotidiani.
Per tutti è un regolamento di conti fatto da una cosca rivale. Ma sappiamo che loro sanno la verità e ora ci stanno dando la caccia.
Ce lo confermano Domiziana ed Agata durante una visita di controllo.
-Innanzitutto: complimenti!- l’esordio della bionda forestale. –Mai avrei scommesso che ce l’avreste fatta.
-Grazie per la fiducia- commento.
-Comunque, ora viene il difficile- prosegue -I SIG hanno sguinzagliato una squadra speciale e alcuni professionisti del settore sulle vostre tracce. Vi vogliono morti. Tutti e due.
-Polizia e Carabinieri?- domando.
-I Carabinieri li hanno sotto controllo e a loro sono affidate le indagini che porteranno ad un regolamento di conti interno ad una cosca. La Polizia è stata messa da parte dopo che un commissario della stazione di Perugia, Carmen Mistretta, vi ha riconosciuti e ha cominciato a fare ipotesi differenti sul movente degli omicidi.
-Come l’avete convinta a mollare?- chiedo.
-Trasferita. A Roma. Con effetto immediato e altro incarico più prestigioso, meno pericoloso e adeguatamente retribuito.
-Non ha protestato?
-L’unico suo commento è stato: “Sono cazzi vostri, pelateveli da soli.”
-Grande...
-Tra i killer che vi stanno cercando ce n’è una che vi interessa- interviene Domiziana, appoggiando sul divano una busta gialla.
La apro e trovo le foto della bionda dagli occhi di ghiaccio.
-La conosco- commento.
-Certamente- ancora Agata. -Lei ha ucciso il tuo capo, Ursula. E’ la migliore sterminatrice dei SIG. Sarà un osso duro.
-Forse- rispondo -Datemi qualche giorno per elaborare un piano.
Ma, invece di elaborare il piano, i miei pensieri vanno a quello che è successo a Terni. Stento a riconoscermi; mai avrei pensato che sarei stato capace di uccidere a sangue freddo. Faccio tutte le ipotesi e congetture plausibili per trovare una spiegazione. Forse sono davvero cambiato caratterialmente dopo l’attentato subito o, forse, sono stato spinto dall’istinto della vendetta o, più probabilmente, ho realizzato che, una volta entrato nella gelateria, o io ammazzavo loro o loro uccidevano me: semplice istinto di sopravvivenza. Ma un pericoloso tarlo si insinua nel mio cervello devastato.
come troverò la motivazione per uccidere anche gli altri?
Forse la possibilità maggiore è che gli altri uccidano me. E il coglione.
Bisogna buttarsi nell’impresa e, all’ultimo momento, far prevalere l’istinto di sopravvivenza.
se ci si arriverò all’ultimo momento
Ken ha cambiato atteggiamento nei miei confronti. Non sono più il socio che ha trascinato nella sua missione suicida: sono il capo, il maschio alfa.
Non si lamenta più se lo chiamo coglione e, talvolta, è intimorito dalla mia presenza e dai miei silenzi.
quasi quasi smetto di chiamarlo coglione, tanto non reagisce più
Infatti, due giorni dopo.
-Ho pronto il piano, coglione.
-Dimmi- domanda con rispetto.
-Antonella- mi spiego, -loro le staranno alle calcagna con la speranza che li porti a me. Noi ci dobbiamo mettere in coda e scoprire chi la controlla.
-E’ pericoloso- obietta -Ci riconosceranno.
-Non sarà un lavoro nostro.
Il giorno successivo nuova riunione operativa nel salone di Carpaneta.
-Qualcuno si deve scoprire- espongo -e verificare se Antonella è controllata.
-Io non posso- replica Agata.
-Serena neppure- aggiungo.
-Mica penserete che…- Domiziana.
-Esatto- concludo -Sei l’unica che non conoscono e neppure Antonella ti conosce. Sei perfetta.
-Da sola non ce la farò mai!
-Andrè- suggerisce Agata.
-Non se ne parla di metterlo in mezzo!- ribatte la slovena.
-Se vuoi l’assassino di Marta qualcosa dovrai pur fare- aggiungo.
Non so come ma dopo tre giorni le due belle tornano a Carpaneta con un completo reportage fotografico e delle preziose informazioni.
-Avevi ragione!- conferma Agata -Sono in quattro a stare dietro alla tua bella. E, tra questi, c’è pure chi ci interessa- mi porge la foto della bionda dagli occhi di ghiaccio.
-Ha preso un appartamento nel palazzo a fianco di quello di Antonella- continua Domiziana -E’ lei che inizia il pedinamento e lo termina.
-E queste sono le planimetrie del suo appartamento- conclude Agata.
-Ottimo! Ora mi serve solo un telefonino pulito.
Agata e Domiziana si osservano perplesse.
-Antonella farà da esca per un falso appuntamento con me. Invece io aspetterò il ritorno di “occhi di ghiaccio” nel suo appartamento. Trovatemi pure un passepartout.
E’ più facile di quanto pensassi. I predatori non concepiscono l’idea di diventare prede. La bionda dagli occhi di ghiaccio controlla costantemente Antonella, insieme ad altri quattro uomini dei servizi. Hanno una sede in un piccolo appartamento vicino alla stazione ferroviaria, a metà strada tra l’abitazione di Antonella e la redazione del suo giornale. Ma “occhi di ghiaccio” soggiorna nell’altro locale, davanti al palazzo di Antonella.
Una telefonata da un cellulare rubato e fisso un appuntamento con Antonella.
-Stai molto attenta a non farti seguire, io farò altrettanto. Se avessi il sospetto di qualche pericolo non mi presenterò e ti ricontatterò in seguito. Un bacio, ho voglia di te.
L’appuntamento è per la mattina di martedì, alle 10, in un bar poco lontano dal suo ufficio. Ma alle 10 io sono già dentro all’appartamento di “occhi di ghiaccio”, in sua attesa. Attesa che termina alle 19, quando Antonella, delusa, torna a casa.
Sento la serratura del portoncino scattare. Ken ha provveduto a riposizionare in modo corretto le semplici, ma efficaci, spie che permettono di verificare subito se qualcuno fosse entrato in tua assenza.
“Occhi di ghiaccio” si toglie subito il giubbotto e appoggia la pistola sul tavolo della cucina. Mentre è di spalle a versare dell’acqua in un bicchiere mi presento.
-Giornata dura, eh?
Si volta di scatto e porta una mano dietro alla schiena. Ma non ha il tempo necessario ad afferrare l’altra pistola. La freddo con tre colpi al petto e il quarto alla nuca. La mia firma; così non avranno dubbi.
Prima di lasciare l’appartamento mi intasco la pistola sul tavolo e quella che aveva alla cintura, dietro la schiena.
Dopo mezz’ora sono a Carpaneta.
-Sei un killer nato!- il commento di Agata, tre giorni dopo -Ora sei il ricercato numero 1 dai Servizi.
-Meglio prendersi qualche settimana di riposo- aggiunge Domiziana -Poi si passa alla rossa.
-Quella è tutta mia!- interviene Ken.
-Prego- lo invito.
Ma non è sua per niente, me lo sento. Qualcosa mi dice che dovrò assisterlo spiritualmente e materialmente per il buon esito della missione. Non ce lo vedo Ken a schivare materia cerebrale mentre fa scoppiare una testa. Poi, ultimamente, il feeling tra il coglione e Serena ha raggiunto l’apice. Ho il sospetto che si incontrino di nascosto la notte, dopo che sono andato a dormire. Ma sono cazzi squisitamente loro.
Per tenerlo in tensione e accrescergli la motivazione nomino spesso Zanzara.
Finalmente le due belle tornano a Carpaneta, speravo per cominciare a lavorare seriamente sulla rossa.
-C’è un problema- l’esordio di Agata. -La rossa è dei nostri.
-Significa?
-Occhi di ghiaccio era una sterminatrice dei SIG, la rossa è un’operativa saltuaria dei SIM.
-Un’operazione un po’ fuori dagli schemi- replico.
-Esatto. Ci manca un pezzo: il capo  missione. E non sappiamo dove andarlo a cercare.
-Non vi preoccupate: so io dove trovarlo- le stupisco -Ma avrete tutte le indicazioni a tempo debito. Ora come ora non costituisce un ostacolo ma… sarà un problema che dovrete risolvervi da sole. Io e Ken non ci possiamo entrare.
-Parla- intima Domiziana.
-Quando tutto sarà finito.
Se ne vanno deluse ed incazzate: qualcosa è sfuggito al loro controllo, o meglio al controllo di chi le sta manovrando.
-Non ci ho capito una sega- confessa il coglione.
-Non ti preoccupare. Non è mai capitato che i due Servizi lavorassero insieme ad una missione. Qualcuno ha coordinato il tutto e ha assunto il comando per annientare la nostra squadra.
-E tu sai chi è?
-Sì. E so pure dove trovarlo. Ma a noi non interessa.
-Perché?
-Vuoi commettere un altro omicidio? Lascia che si sporchino le mani anche loro.
Il fatto di sapere un qualcosa che loro ignorano aumenta le mie quotazioni e cambia il rapporto con le datrici di lavoro.
Riesco ad ottenere un nuovo permesso per una cena da Claudio, all’agriturismo, ma, anche questa volta, senza prestazioni extra di giovani o attempate cameriere.
Si continua a vivere di seghe.
Dopo una ventina di giorni le belle tornano a visitarci e Domiziana mi porge la solita busta gialla con foto e informazioni della prossima vittima.
-Tutta vostra. Preparatevi ad un’altra trasferta.
Leggo attentamente il rapporto che riguarda la rossa. Su una cosa non mi ero sbagliato: è una troia per vocazione.
Tutti i sabati e, talvolta, anche durante la settimana frequenta un club privè di scambisti sul litorale romano. Si mischia con chi le capita, meglio se di colore e ben armato, e spesso si fa pagare la prestazione. Intanto raccoglie informazioni su svariati personaggi, fa reportage fotografici che usa per eventuali ricatti. Non capisco se sia più un agente dei SIM o una manovale della malavita. Fatto sta che le piace assai scopare, preferibilmente con grossi calibri.
-La potremmo beccare direttamente dentro al locale, la freddiamo e scappiamo via – il piano consigliato dal coglione.
-Già. Peccato che il sabato ci saranno almeno un centinaio di persone là dentro. Se qualcuno reagisce, che fai? Una strage? – obietto – Ci vuole un altro piano.
- La aspettiamo fuori dal locale quando se ne va e la terminiamo! – altra ipotesi di Ken.
-Fuori da quei locali è pieno zeppo di telecamere di sorveglianza in presa diretta; si accorgerebbero subito di noi. Poi… se esce in compagnia? Altra strage? No.
L’idea mi balena nel pomeriggio, ma devo avere delle conferme da Agata e Domiziana che Serena convoca per il giorno dopo.
-Domanda numero uno – il mio esordio – cosa sa di quello che sta succedendo la rossa?
-Lo ignoriamo – la risposta di Agata.
-Passiamo alla numero due, allora: è in rapporti molto stretti coi SIG o lavora solo a gettone?
-Non lo sappiamo – ancora Agata.
-L’ultima: è per caso immischiata anche con la malavita?
-Certamente! – stavolta Agata mi soddisfa –Era una narcotrafficante e quando i SIG l’hanno beccata le hanno proposto di collaborare a una certa operazione. Ora le è rimasto il vizio della cocaina.
-Ottimo. Allora devo farne un’altra, di domanda.
-Spara – stavolta è Domiziana.
-E’ possibile che la rossa conosca l’esistenza di Ken o abbia visto delle sue foto?
Il silenzio come risposta.
-Benissimo, informatevi e tornate con qualche dose abbondante di coca.
Ancora due lunghe settimane di attesa. Per non annoiarmi collaboro alla gestione domestica: sono diventato uno taglialegna provetto e la cosa mi aiuta a sfogarmi fisicamente e a mantenermi in forma.
Faccio una incredibile scoperta: dopo una notte di ricarica della batteria e una gonfiatina agli pneumatici la vecchia Land di Giorgio si rimette in moto e, con passo lento ma sicuro, trasporta quintali di legna dalla collina alla legnaia.
Le due amiche tornano con i compiti fatti e una decina di bustine di cocaina.
- Sono per te? – domanda preoccupata Serena.
- No – rispondo – Per lui – indicando Ken – che le omaggerà alla troiona rossa.
- Per me? – Ken stupito.
- Zitto!
La rossa, che di nome fa Mariagrazia (tutto attaccato), sono diversi mesi che non collabora con i SIG ed è all’oscuro di tutto quello che sta succedendo. Non conosce Ken, neppure in foto, e tira come un’aspiraceneri.
Non solo: per sopravvivere batte anche nel suo appartamento di Fregene dove vive sola in compagnia di alcuni gatti.
Pettegolezzi interni raccontano che i SIG la stiano mollando definitivamente in quanto poco gestibile ed inaffidabile per via della coca.
Un quadro perfetto. Per Ken.
Dopo un paio di giorni illustro il piano a Ken.
- E’ abbastanza semplice e, volendo, divertente. Una sera vai in quel club privè e cerchi di agganciarla.
- In che senso?
- Le proponi una marchetta, ma a casa sua, per un giorno qualsiasi della settimana. Però rifiuta un paio di orari o date, fai vedere che sei impegnato o fuori Roma. Devi sembrare un oscuro uomo di affari.
- Capito.
- Falle decidere il prezzo, accettalo e proponigli pure un regalino, se sarà brava.
- Che regalino?
- Coca. Intanto falle vedere una bustina, ma solo vedere.
- E se la volesse come acconto?
- Mmm... la mossa migliore sarebbe che te la scopassi al privè e facessi finta di rimanerne molto soddisfatto.
- Me la devo scopare? – domanda stupito, quasi schifato.
- Se potessi me la scoperei volentieri io… con gli arretrati che ho! Sì! Te la dovresti scopare! Ma c’è un problema da non sottovalutare.
- Quale?
- Il calibro. Il tuo calibro.
- Che calibro?
- Il tuo cazzo, coglione! Va bene che paghi, ma mica puoi andare là con un pistolino ridicolo!
Ken mi osserva ancora più stupito, poi mi appoggia il braccio sulla spalla e mormora: - Ti faccio una confidenza: sai perché Zanzara mi chiamava Ken?
- No.
- Ken Parker, il fumetto: hai presente?
- Ho presente e non vedo attinenza.
- La copertina del primo numero e come veniva anche chiamato.
?
- Ken Parker, Lungo fucile.
- Sì. ho visto. Un vecchio archibugio ad avancarica. E allora?
- Indovina io dove lo tengo il Lungo fucile!
Sbarro gli occhi.
Ken si cala i pantaloni e le mutande e compare una proboscide da far invidia ad un elefantino.
- La potrei ammazzare con questo… - suggerisce.
- Va bene! L’importante è che ti fai portare al suo appartamento. Poi… la scopi, non la scopi, fai tu! Basta che l’ammazzi.
- Non la scopo; l’ammazzo solo.
- Bene. Ora controllo quello che ti serve e faccio richiesta alle due lesbiche.
Espongo il piano a Domiziana e Agata che lo approvano con riserva: non possono coinvolgere nessuno a Roma e saremo lasciati soli come cani.
Dico che la cosa non mi interessa, anche se sono convinto che saremo controllati da qualcuno dei loro in ogni nostro spostamento; semplicemente non vogliono far scoprire persone che potrebbero essere collegate a chi sa cosa.
In una decina di giorni ho tutto, indirizzi, piantine, orari, foto aggiornate, una calibro 22 silenziata e un paio di confezioni di preservativi.
La nostra base logistica sarà un piccolo monolocale in un residence quasi deserto sul litorale romano. Ci viene assegnata una Fiat Croma a gasolio che denuncia più anni di quelli che ha e un’ Alfa già parcheggiata nel garage sotterraneo del residence.
Finisco di istruire il coglione e gli spiego come funziona la calibro 22.
- Questa è per fare il lavoro. Le devi scaricare tutto il caricatore addosso, a distanza ravvicinata, escluso gli ultimi due colpi che glieli piazzi in testa. Non ti preoccupare, i 22 non ce la fanno a far scoppiare la zucca delle persone e rimangono dentro la scatola cranica facendo come la pallina del flipper. Non ti sporchi e non vomiti.
- Grazie – fa prendendola in mano.
Durante il viaggio verso Roma, il venerdì, gli ripeto fino alla nausea il piano e quello che deve e non deve fare. Comunque il coglione mi sembra caricato come una molla, ho solo la preoccupazione che se la svigni dopo aver sistemato la rossa, lasciandomi solo e nella merda. Non mi sfiora neppure un attimo il sospetto che non ce la faccia a portare a termine il compito. Nella malaugurata ipotesi dovrò intervenire. Come, non so.

I due raffreddati di turno: BAIOCCO e LIRA

lunedì 26 gennaio 2015

CHEESE! Scatti felini a Monte Malbe

Sono arrivate le nuove cucce della Gourmet!
RINGO e RANOCCHIETTO ne stanno collaudando una
sotto la supervisione di CANNIBALE

UNA NUOVA RUBRICA





LA CUCCIA DEL CAPO





Sempre più spesso arrivano dai nostri lettori richieste di spiegazioni o chiarimenti riguardo alcuni termini utilizzati nel comune linguaggio dei gattofili e gattari (anche nella declinazione femminile).
Me ne scuso; mi rendo conto che quello che a me sembra un termine comprensibile o un’esposizione chiarissima per alcuni non prettamente del ‘mestiere’ possa essere un indecifrabile geroglifico etrusco.
Mi sono rivolto al Professore PALLUCCHINO esponendogli il problema; come al solito ha avuto il guizzo e l’idea vincente per trovare il giusto rimedio.
- Un’enciclopedia! Anzi, un piccolo glossario che traduca in italiano corretto e comprensibile a tutti i termini troppo tecnici.
- Benissimo! – ho commentato – Mettiti subito al lavoro.
- Non posso – ha risposto – Ho già troppo da fare e poco tempo a disposizione. Troviamo qualcuno che potrebbe sostituirmi.
- Chi?
- Sei tu il Capo, decidi e scegli!
Un’istantanea riunione con TAZZA non ha portato a nessun nominativo utile e meritevole di gestire in autonomia una rubrica del blog; sembra di stare a scegliere il nuovo Capo di Stato.
Alla Reggia CANNIBALE ha fatto la proposta giusta.
- MIKI! Così la smette di fare il discolo e rompermi i coglioni quando dormo. E’ perfetto poi!
- Poi?
- Certo! Con MIKI responsabile abbiamo trovato pure il nome per la nuova rubrica.
- Sarebbe?
- MIKIpedia, Capo!
E MIKIpedia sarà!

MIKI - Cazzo dovrei fare?

domenica 25 gennaio 2015

ARRIVI & PARTENZE

PERICLE

Il valente informatico della Reggia stanotte ci ha lasciati in silenzio.
Inutile dire che me lo aspettavo, anche se ieri sera si era spazzolato due piattini di cibo e aveva preso il suo antibiotico.
Era messo maluccio: un vecchietto FIV+ con problemi respiratori e frequenti raffreddori che lo abbattevano per una decina di giorni. Da questa estate aveva cominciato a perdere peso, la malattia aveva cominciato il suo sporco lavoro.
Un vecchietto simpatico, gentile e pulito buttato in Colonia tre anni fa denutrito e pieno di pulci ma, stranamente socializzato. Timido con gli altri gatti, sfrontato con me: chiedeva sempre più cibo e lo accontentavo per rimetterlo in forze. Era quasi diventato una palletta a forza di mangiare ma i rapporti con i suoi simili non riuscivano a migliorare; stava sempre in disparte sul ceppo di qualche vecchio castagno abbattuto.
Dopo la sanguinosa incursione canina del febbraio 2012 era scomparso, tantoché lo avevo dichiarato disperso e quasi depennato dalla lista dei coloni.
Invece tornò dopo ventuno giorni, sporco, affamato e raffreddato. Fu necessario un ricovero dai veterinari per rimetterlo in carreggiata e il passo per arrivare alla Reggia risultò breve.
Qui ha passato i suoi ultimi due anni di vita da pascià, sempre sopra la mia scrivania o spalmato sul divano o su una sedia appoggiata a un radiatore del riscaldamento, quando questo veniva acceso.
Dispiace che se ne sia andato, come tutti gli altri gatti che ho assistito fino alla fine. Sono contento, per contro, che non mi abbia costretto all’ennesimo penoso viaggio dai veterinari per chiudere chimicamente la sua esistenza. Spero per lui che si sia goduto in pace e tranquillità questi due anni da gatto domestico, sogno spesso irrealizzabile di tanti suoi colleghi sfortunati come lui.
PERICLIN ! (il suo nome mi è stato ispirato dal libro di Pennacchi ‘Canale Mussolini’ col suo protagonista narratore: Pericle Peruzzi) sii orgoglioso di lasciare il tuo posto ad una collega della Colonia che da tempo aspetta di godersi i lussi della Reggia.
Vedrai, OFELIA ti ringrazierà.
Ciao PERICLIN !

E sempre: Maladeti Zorzi Vila !!! 


PERICLE alla Colonia Nuova - Gennaio 2012