giovedì 8 gennaio 2015

IL SOLARIUM LETTERARIO





VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
21a puntata




E’ terminata l’Emergenza BERETTA e siamo tutti pronti alla lettura di un nuovo capitolo del romanzo di Favio Bolo. Anche la casa editrice ci sta pressando per poter realizzare un’edizione speciale del libro con i nostri commenti (che scriveranno comunque loro) e le nostre dediche autografe (che scriverà il Capo). A noi verrà il 5% del prezzo di copertina. SKA ha detto che è un buon affare: - TAZZA, qualsiasi cosa succeda tu continua a leggere. Altri due colpi così e possiamo permetterci il riscaldamento nella casetta!

25

Chiamo Serena, da un altro telefono pubblico e le spiego la situazione.
-Ma… proprio qua? - domanda.
-Sì! Avrei bisogno pure di un’arma.
-Per fare cosa?
-Semplice precauzione. Quando hai una pistola in tasca è più semplice discutere.
Niente pistola. Solo un vecchio e malandato fucile da caccia con delle cartucce di trent’anni fa.
Questo va bene solo come clava…
Alle 16 in punto sento suonare il campanello del primo cancello di Carpaneta.
-Telegramma! - strilla una voce in falsetto.
-E’ lui. Apri.
Dopo alcuni minuti vediamo arrivare un tizio basso e grasso che guida un vecchio Ciao. Parcheggia e si toglie il casco mostrando un viso tondo e rubizzo imperlato di sudore. Ha pedalato per aiutare quel rudere di motorino a fare la salita. Ha i capelli unti e  neri appiccicati al cranio, per il sudore e lo sporco.
-Ciao! Sono Ken.
-Gatto, - rispondo sgarbatamente.
Questo scherzo della natura si scopava Zanzara?
-Lo sai dove siamo? - domando a bruciapelo.
-Dove mi hai dato appuntamento.
-Sì! Poi?
Mi fissa perplesso, poi guarda Serena.
-Potrei avere un bicchiere di acqua? - le domanda.
Serena lo fa accomodare nel salone e porta un vassoio con bibite e una brocca di acqua fresca.
Vedo Ken bere come un disperso nel deserto arrivato a un’oasi.
-Che cazzo vuoi, coglione? - lo aggredisco.
-Aiuto. Mi sono sopra. Controllano tutti i miei contatti di Perugia. Mi vogliono morto, come Zanzara.
-Nessuno ti vuole morto e nessuno ti vuole tra i piedi. Tornatene dove sei stato fino ad ora.
-Non ho un soldo.
Tiro fuori dalle tasche un fascio di biglietti da 50 Euro.
-Tieni. Sono 1000 Euro. Levati dai coglioni.
-Senti, bello, io non sono venuto a prendere la carità da chi ha fatto uccidere la mia donna. Io non voglio soldi da te.
-Cazzo vuoi, allora?
Arriva Serena con un vassoio con dei caffè e pasticcini a smorzare la tensione.
Ken ci si avventa. Lo vedo mettere in bocca due pasticcini per volta.
-Hai fame? - chiede timidamente la padrona di casa.
Il lercio annuisce col capo e la bocca piena.
Serena torna in cucina e ricompare con un altro vassoio pieno di panini imbottiti di formaggio e due birre fresche.
Mi arrendo ai sacri doveri dell’ospitalità e partecipo alla merenda fuori programma.
Dopo quattro panini Ken decide di far riposare le mascelle.
Mi accendo una sigaretta.
-Allora; cosa vuoi da me?
-Un aiuto.
-1000 Euro e sparisci.
-Non puoi lavarti la coscienza con 1000 Euro.
-2000.
-Non voglio soldi, ma vendetta.
-Vendetta?
-Chi ha ucciso Zanzara deve pagare.
-Belle parole. Chi l’ha uccisa, secondo te?
-Lei, - e mi mostra una serie di foto.
-La troiona rossa… - mormoro stupito.
-La conosci?!
-Era della squadra speciale, ma pensavo fosse solo una zoccola per agganciare i bersagli, mai me la sarei immaginata un agente operativo. Come fai ad avere queste foto?
-Un mese prima Zanzara mi aveva chiesto di piazzare delle telecamere invisibili al portone di ingresso del palazzo e sul pianerottolo dell’ufficio.
-Perché?
-Misura precauzionale, mi disse.
-Tu lo sapevi che lavoro faceva Zanzara?
-Certo! Mica sono stupido: l’ho capito da solo. Zanzara non mi ha mai parlato di cosa andava facendo, neppure io gliel’ho mai chiesto.
-La troiona… capito!
-Parlami di lei.
-L’ho vista solo una volta, il giorno prima degli omicidi. Altro non so. Piuttosto: come mai ti stanno dando la caccia?
-Loro sanno.
-Cosa?
-Di me e di Zanzara. E temono che io sappia o abbia qualche cosa che non dovrei.
-Cosa sai?
-So tanto di treni svizzeri, incursioni in siti ultra protetti e che la S.E.A., la società di copertura del vostro ufficio non risulta mai iscritta alla Camera di Commercio e in qualsiasi altro database. Hanno fatto una pulizia completa.
-Nessuna traccia.
-No! Una ne hanno lasciata.
-Quale?
-Tu.
-Io?
-Sì! Proprio tu. E’ strano, eh?
Con la mano sinistra nascosta dietro la schiena afferro un pesante soprammobile e sto per colpirci, con tutta la forza che ho, il cranio di Ken. Ma lui arretra e mette una mano in tasca.
-Però tu non c’entri nulla. Lo so per certo, - prosegue mostrandomi una chiavetta usb che ha tirato fuori dai pantaloni. -Qui c’è tutta la tua storia, dall’attentato a oggi. Ti ho seguito passo per passo. Ho violato anche l’inviolabile. Ma tu sei pulito. Sei una vittima.
Riesco a ricollocare il soprammobile al suo posto. Per un attimo ho temuto che Ken volesse farmi la pelle.
-Non so cosa ti sei messo in testa, - replico, -ma ora è tutto finito. Quella storia è chiusa. Sono stati fatti degli errori e abbiamo pagato. L’unico consiglio che posso darti è quello di scomparire per sempre dall’Italia e renderti irreperibile. C’è un mandato di cattura su di te, lo sai?
-Non ho più niente da perdere. Voglio solo la mia vendetta.
-No. Non ha senso. Il passato è passato. Fuggi in Africa e comincia una nuova vita. Quello che proponi sarebbe la morte certa per te e per me.
-Non se ne parla. Ora devo nascondermi per qualche giorno: loro sanno che sono a Perugia.
-Coglione!
-Scusate se mi intrometto, - interviene Serena, -ma un soluzione, temporanea, ci sarebbe. Da quello che ho capito anche lui era implicato nella tua indagine. Proporrei di farlo stare qualche giorno qua. Nessuno penserà a cercarlo nella tana del lupo.
-Chi è il lupo? - chiede Ken.
-Il suo uomo era la mia indagine, - spiego. -Tutto è successo perché stavo indagando su lui.
-Prendiamoci un caffè e spiegami meglio, - si siede sul divano.
Ripercorro la storia con tanti omissis.
-Abbiamo distrutto tutte le prove, - concludo. -Nulla è successo. E’ una storia che non si deve riaprire.
-Infatti: io la voglio chiudere, ma a modo mio.
Battibecchiamo ancora per una decina di minuti. Quando capisco che non sente ragioni ed è deciso a farsi vendetta da solo, lo assecondo.
-Va bene! Prendiamoci una pausa di riflessione. Ora hai un posto sicuro dove nasconderti. Aspettiamo qualche giorno e stiliamo un piano di guerra.
-Così mi piaci!
-Però… sono io che comando!
-Non mi piaci più.
Lo lascio a Carpaneta con la promessa di farmi rivedere appena avrò studiato un piano che abbia qualche possibilità di riuscita.
La sera, a cena con Antonella, parlo di quello che è successo nel pomeriggio. Gli omissis aumentano in maniera considerevole.
-Non ci ho capito un cazzo, - conferma con linguaggio forbito, -cosa avresti intenzione di fare?
-Stancarlo. Prendere tempo e, alla fine, proporgli l’unica possibile alternativa.
-Quale?
-Prendi i soldi e scappa.
-Ti costerà.
-Meglio un buco in più sul conto corrente che nella pelle. Se quel coglione si mette in azione, oltre a beccarsi qualche pallottola, farà decidere a chi di dovere di chiudere definitivamente la faccenda. Eliminando anche l’ultimo problema rimasto: io.
-Cosa c’era di tanto pericoloso in quell’indagine?
-La sicurezza dello Stato, te l’ho detto. Meglio non sapere altro.
Passano i giorni, ho notizie di Ken solo telefonicamente. E’ tranquillo, si gode la pace di Carpaneta, aiuta Serena in qualche lavoretto e si ingozza come un maiale all’ingrasso.
Ricevo anche l’inaspettata visita del commissario Mistretta.
-Dottor Rossi, ancora smemorato? - mi chiede.
-Purtroppo non miglioro.
-Purtroppo devo comunicarle che l’inchiesta sull’omicidio di Marta è sempre aperta e, almeno una volta a settimana, da Roma mi chiedono notizie sulla salute della sua memoria. Comincio a credere che mi usino come una minaccia nei suoi confronti.
-Non la capisco.
-Non si preoccupi. Lei continui a pensare a ciò che è successo quella sera. Mi basta un nome, poi ci penso io.
-Non posso aiutarla.
-Non può… la capisco. Ma… se un giorno dovesse miracolosamente trovare un indizio utile nei suoi ricordi, me ne renda partecipe. E’ il minimo che mi deve. Senza me lei sarebbe passato direttamente dal letto dell’ospedale a quello di una cella del carcere di Capanne. E lì dentro succedono tanti incidenti strani…
Dopo alcuni giorni sento il bisogno di recarmi a Carpaneta, più per verificare la strana convivenza tra Ken e Serena che per controllare gli istinti omicidi del coglione.
Li trovo che stanno sistemando una immensa catasta di legna.
-Dopo tre giorni di taglio, all’altra collina, abbiamo deciso di sistemare la legna per il prossimo inverno, - chiarisce Serena.
-Sono venuti estranei a lavorare? - chiedo allarmato.
-No, abbiamo fatto tutto noi e Gneo e Pompeo, i due asinelli di Giorgio, - replica Ken.
-L’hai messo al lavoro? - chiedo a Serena.
-Certo! Qui mica si mangia gratis.
-Fa anche bene alla linea, - aggiunge il fuggiasco. -In dieci giorni sono calato due chili.
Troppi ne devi togliere, ancora…
-Ma… hai qualche novità? - mi domanda.
-Nulla. Mi sto muovendo, in punta di piedi, negli ambienti dei Servizi per avere qualche notizia sulla troiona, ma devo essere cauto: una parola sbagliata e mi fanno la pelle.
-Ok. Continua! - Poi, rivolgendosi a Serena: -Non è l’ora della merenda?
Passiamo in cucina dove lo vedo divorare letteralmente una fila di pane farcita di formaggio.
Mentre Serena sta preparando i caffè, con la bocca piena, mi supplica: -Portami una sera a cena fuori, ti prego! Non ce la faccio più di mangiare insalate e formaggi. Voglio fare strage di fiorentine.
-Improponibile. In un locale pubblico rischi di essere riconosciuto. Non possiamo esporci.
-Giusto. - Poi aggiunge, -Portami del salame o mortadella di contrabbando altrimenti, se non mi uccidono loro, mi stende la cucina vegetariana di Serena.
Mentre beviamo il caffè li osservo con occhio critico. Avevo già notato una certa simpatia reciproca tra i due, ora vedo che siamo passati alla complicità. Battutine, scherzi, qualche frecciatina ma, soprattutto, risate tra i due.
Comincio a sperare che la situazione si evolva in altro modo.
La speranza termina un pomeriggio che Serena mi convoca a Carpaneta. Non mi spiega il motivo e comincio a temere che tra i due sia già terminato l’idillio.
Invece mi accoglie una sgradita sorpresa.
Nel salone, insieme a Ken, trovo Domiziana e Agata.
-Perché voi siete qua?
-Silenzio, soldatino! A cuccia, - fa Domiziana indicandomi una poltrona vuota.
-Ken, non dire nulla, - ordino al coglione.
-Veramente ho già raccontato tutto ieri sera, - mi illumina.
-Coglione! Ora siamo fregati! - Indicando Agata, -Lei è dei Servizi!
-A cuccia, soldatino! - interviene Domiziana. -Zitto e ascolta cosa abbiamo da proporti.
Serena mi porta un caffè e un portacenere, capisco che mi è concesso fumare.
-Abbiamo saputo della tua disgraziata e fallimentare indagine su Giorgio, - inizia la slovena. -Ti dovresti dare del coglione cento volte. Ma il punto non è questo.
-Ma cosa vuoi da me! I nostri ti hanno salvato il culo già una volta, non lo ricordi?
-Veramente il culo me lo ha salvato Giorgio. Torniamo a noi, taci.
Mi accendo una sigaretta.
-Sono qui per offrirti la possibilità di riscattarti. Ho tutte le informazioni che cerchi, o che fai finta di cercare. So chi ha ucciso la donna del tuo amico, il tuo capo e ha tentato di uccidere te. Ora, soldatino, cominci a collaborare sul serio e ti organizzi per far sparire queste persone.
-Facile a dirsi! E… da dove arriverebbero queste tue informazioni?
-Indovina? - interviene Agata.
-E perché dovrei collaborare per eliminare queste persone?
-Per il semplice fatto che da Roma può partire l’ordine di chiudere l’indagine sull’omicidio di Marta con le prove che hanno. Ti ci vedi a fare l’ergastolo a Rebibbia?
-E’ un bluff!
-Fossi in te questa mano non l’andrei a vedere… - ancora Agata.
-Cosa ci guadagnate?
-Il tuo amico la sua vendetta, io voglio il vero assassino di Marta. Vivo.
-Non so chi sia…
-Lo sai, soldatino, lo sai… Finora hai taciuto per non rimetterci la pelle… ma ora le cose sono cambiate.
-Anche chi ti fornirà tutte le informazioni e l’appoggio di cui avete bisogno ci guadagnerà qualcosa, - prosegue Agata.
-Cosa?
Non mi risponde. Tira fuori dalla borsa una busta con delle foto.
-Andiamo per ordine, - inizia. -Queste sono le foto dei “fratelli”: tre killer della ‘ndrangheta che fanno anche lavori part-time,  -me le porge.
Tre visi da latitanti.
-Cosa c’entrano?
-Il più vecchio è il basista, non spara più. I due più giovani lavorano in coppia, di solito in moto. Hanno una percentuale di successi incredibile: 100 su 100. Tu sei l’eccezione che conferma la regola.
Il rumore del motore di una motocicletta…
-Quella mattina sono stati loro a spararti, - conclude Agata.
-Non me ne frega un cazzo. Ho chiuso coi SIG e con le indagini.
-Allora ti si apriranno le porte del carcere, - la conclusione di Domiziana.
-Perché mi fate questo?
-Perché siamo buone e vogliamo qualcosa da te. Potevamo mandare Ken allo sbaraglio, da solo e senza nessuna prospettiva di riuscita. Comunque lui avrebbe sistemato solo la rossa, forse. A Roma avrebbero pensato subito a te.
-E a voi non ne sarebbe venuto niente, - concludo.
-Esatto. Vedo che cominci a capire, - ora è Agata.
-Spiegatemi bene tutto. Convincetemi.
-Ergastolo per te, senza ombra di dubbio. Se te lo faranno scontare da vivo. Ti basta?
-Cosa volete, in sostanza?
-Fai fuori i tuoi killer, aiuti Ken a far fuori la sua preda, probabilmente dovrai eliminare anche quella che ha ucciso il tuo capo. Poi ci dovrai fare il favore di eliminare un altro bersaglio: un pezzo grosso.
-Non sono un sicario.
-Il pezzo grosso è il mandante degli omicidi e del tuo ferimento.
-Cosa avete intenzione di fare?
-Diciamo che è prevista un’imminente ristrutturazione dei servizi segreti. Ma prima bisogna fare un po’ di pulizia, - interviene Agata.
-E avete pensato a me. Qualche esecuzione prima di arrivare al bersaglio grosso: quello che vi interessa. Se qualcosa dovesse andare storto prima, il problema è solo mio. Nessuno si scopre le chiappe.
-Bravissimo, - ancora Agata. -Se riesci ti salvi dal carcere, se non ce la fai… noi non ti conosciamo.
-Sarei… un vuoto a perdere.
-Più o meno.
-E… nella remota ipotesi che riuscissi? Cosa mi succederebbe, dopo?
-Saggia domanda, - replica Domiziana.
-Ho già preso accordi per farvi trasferire e nascondere in Africa, in una missione della Don Nello Benizzi Foundation, - stavolta è Serena.
-Anche tu?
-Tempo un paio di anni, - prosegue Agata, -appena le cose si saranno normalizzate, potrete tornare in Italia liberi, puliti e senza nessun pericolo.
-Chi me lo garantisce?
-Ti devi fidare di noi. Meglio due anni in Africa a spalare merda di cammello che una vita immerso nella merda dell’Ucciardone, - risponde Domiziana.
-Dromedari… in Africa ci stanno i dromedari, - ribatto.
-Sempre merda è.
-A me piace l’Africa, - finalmente interviene Ken,
-Zitto, coglione! - Poi, proseguo: -Perché ci devo andare di mezzo io?
-Saresti l’unico con una valida motivazione e il solo sospettato, - spiega Agata. -Per arrivare al pezzo grosso dobbiamo –necessariamente- sacrificare dei pesci piccoli per non destare sospetti. Mi capisci? Potevamo anche fare il lavoro da soli ma, se ti avessero eliminato prima di arrivare al nostro bersaglio, ci saremmo scoperti.
-Ora, - stavolta è Domiziana, -hai un mese di tempo per portare a termine la prima missione: i tre fratelli. Qui, - e mi porge un’altra busta, -ci sono tutte le informazioni che ti servono. Un mese. A partire da oggi. Domani ti porteremo le armi. Per ogni altra tua necessità… basta chiedere.
-Dobbiamo agire in due?
-Sì! - Agata. -Li disorienterai e, comunque, da domani dovrai sparire dalla circolazione.
-Per andare dove?
-Qua, - Serena. -Qua non ti cercherà nessuno, come Ken.
-Non ho capito ancora cosa ci entri tu in questa storia.
-Un favore ad un’amica, - risponde la padrona di casa.
Mentre le due belle tolgono il disturbo Domiziana mi ricorda l’ultima condizione:    -Soldatino, ricordati che l’assassino di Marta è mio. E lo voglio vivo.
La sera cerco di spiegare la situazione ad Antonella. Non è semplice e lei non aiuta.
-Parla con il commissario Mistretta. Ti fai mettere sotto protezione e, quando la Polizia avrà sistemato tutti, potrai tornare libero.
-Semplice per te. Arrestano Agata, Domiziana e Serena, gli fanno quattro domande e tornano libere. Non ho prove da fornire.
-Ken può confermare.
-Già… peccato che stia con loro e sia un pregiudicato latitante. Sono con le spalle al muro.
-Potrei mobilitare la stampa.
-Non dire cazzate.
-Scappa all’estero e torna quando sarà fallito il progetto.
-Vado a fare il latitante pure io…
-Fingiti pazzo.
La prima frase sensata della sera, merita una profonda riflessione.
-Grazie, - le dico. -Potrebbe essere un’idea. Comunque devo imbarcarmi su quella nave: volente o nolente.
-Come faremo ad incontrarci?
-Ho pensato anche a quello. Aspetta che ti fornisca un telefonino pulito, non riconducibile a te. Lo userai solo ed esclusivamente per comunicare con me.
Finiamo la serata nel migliore dei modi; d'altronde domani entrerò in clausura.

Il Tesoriere della Colonia SKA sa far bene i conti!

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