VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
21a puntata
E’ terminata l’Emergenza BERETTA e siamo tutti pronti alla
lettura di un nuovo capitolo del romanzo di Favio Bolo. Anche la casa editrice
ci sta pressando per poter realizzare un’edizione speciale del libro con i nostri
commenti (che scriveranno comunque loro) e le nostre dediche autografe (che
scriverà il Capo). A noi verrà il 5% del prezzo di copertina. SKA ha detto che
è un buon affare: - TAZZA, qualsiasi cosa succeda tu continua a leggere. Altri
due colpi così e possiamo permetterci il riscaldamento nella casetta!
25
Chiamo Serena, da un altro telefono pubblico
e le spiego la situazione.
-Ma… proprio qua? - domanda.
-Sì! Avrei bisogno pure di un’arma.
-Per fare cosa?
-Semplice precauzione. Quando hai una pistola
in tasca è più semplice discutere.
Niente pistola. Solo un vecchio e malandato
fucile da caccia con delle cartucce di trent’anni fa.
Questo
va bene solo come clava…
Alle 16 in punto sento suonare il campanello
del primo cancello di Carpaneta.
-Telegramma! - strilla una voce in falsetto.
-E’ lui. Apri.
Dopo alcuni minuti vediamo arrivare un tizio
basso e grasso che guida un vecchio Ciao. Parcheggia e si toglie il casco
mostrando un viso tondo e rubizzo imperlato di sudore. Ha pedalato per aiutare
quel rudere di motorino a fare la salita. Ha i capelli unti e neri appiccicati al cranio, per il sudore e
lo sporco.
-Ciao! Sono Ken.
-Gatto, - rispondo sgarbatamente.
Questo
scherzo della natura si scopava Zanzara?
-Lo sai dove siamo? - domando a bruciapelo.
-Dove mi hai dato appuntamento.
-Sì! Poi?
Mi fissa perplesso, poi guarda Serena.
-Potrei avere un bicchiere di acqua? - le
domanda.
Serena lo fa accomodare nel salone e porta
un vassoio con bibite e una brocca di acqua fresca.
Vedo Ken bere come un disperso nel deserto
arrivato a un’oasi.
-Che cazzo vuoi, coglione? - lo aggredisco.
-Aiuto. Mi sono sopra. Controllano tutti i
miei contatti di Perugia. Mi vogliono morto, come Zanzara.
-Nessuno ti vuole morto e nessuno ti vuole
tra i piedi. Tornatene dove sei stato fino ad ora.
-Non ho un soldo.
Tiro fuori dalle tasche un fascio di
biglietti da 50 Euro.
-Tieni. Sono 1000 Euro. Levati dai coglioni.
-Senti, bello, io non sono venuto a prendere
la carità da chi ha fatto uccidere la mia donna. Io non voglio soldi da te.
-Cazzo vuoi, allora?
Arriva Serena con un vassoio con dei caffè e
pasticcini a smorzare la tensione.
Ken ci si avventa. Lo vedo mettere in bocca
due pasticcini per volta.
-Hai fame? - chiede timidamente la padrona
di casa.
Il lercio annuisce col capo e la bocca
piena.
Serena torna in cucina e ricompare con un
altro vassoio pieno di panini imbottiti di formaggio e due birre fresche.
Mi arrendo ai sacri doveri dell’ospitalità e
partecipo alla merenda fuori programma.
Dopo quattro panini Ken decide di far
riposare le mascelle.
Mi accendo una sigaretta.
-Allora; cosa vuoi da me?
-Un aiuto.
-1000 Euro e sparisci.
-Non puoi lavarti la coscienza con 1000
Euro.
-2000.
-Non voglio soldi, ma vendetta.
-Vendetta?
-Chi ha ucciso Zanzara deve pagare.
-Belle parole. Chi l’ha uccisa, secondo te?
-Lei, - e mi mostra una serie di foto.
-La troiona rossa… - mormoro stupito.
-La conosci?!
-Era della squadra speciale, ma pensavo
fosse solo una zoccola per agganciare i bersagli, mai me la sarei immaginata un
agente operativo. Come fai ad avere queste foto?
-Un mese prima Zanzara mi aveva chiesto di
piazzare delle telecamere invisibili al portone di ingresso del palazzo e sul
pianerottolo dell’ufficio.
-Perché?
-Misura precauzionale, mi disse.
-Tu lo sapevi che lavoro faceva Zanzara?
-Certo! Mica sono stupido: l’ho capito da
solo. Zanzara non mi ha mai parlato di cosa andava facendo, neppure io gliel’ho
mai chiesto.
-La troiona… capito!
-Parlami di lei.
-L’ho vista solo una volta, il giorno prima
degli omicidi. Altro non so. Piuttosto: come mai ti stanno dando la caccia?
-Loro sanno.
-Cosa?
-Di me e di Zanzara. E temono che io sappia
o abbia qualche cosa che non dovrei.
-Cosa sai?
-So tanto di treni svizzeri, incursioni in
siti ultra protetti e che la S.E.A., la società di copertura del vostro ufficio
non risulta mai iscritta alla Camera di Commercio e in qualsiasi altro
database. Hanno fatto una pulizia completa.
-Nessuna traccia.
-No! Una ne hanno lasciata.
-Quale?
-Tu.
-Io?
-Sì! Proprio tu. E’ strano, eh?
Con la mano sinistra nascosta dietro la
schiena afferro un pesante soprammobile e sto per colpirci, con tutta la forza
che ho, il cranio di Ken. Ma lui arretra e mette una mano in tasca.
-Però tu non c’entri nulla. Lo so per certo,
- prosegue mostrandomi una chiavetta usb che ha tirato fuori dai pantaloni.
-Qui c’è tutta la tua storia, dall’attentato a oggi. Ti ho seguito passo per
passo. Ho violato anche l’inviolabile. Ma tu sei pulito. Sei una vittima.
Riesco a ricollocare il soprammobile al suo
posto. Per un attimo ho temuto che Ken volesse farmi la pelle.
-Non so cosa ti sei messo in testa, -
replico, -ma ora è tutto finito. Quella storia è chiusa. Sono stati fatti degli
errori e abbiamo pagato. L’unico consiglio che posso darti è quello di
scomparire per sempre dall’Italia e renderti irreperibile. C’è un mandato di
cattura su di te, lo sai?
-Non ho più niente da perdere. Voglio solo
la mia vendetta.
-No. Non ha senso. Il passato è passato.
Fuggi in Africa e comincia una nuova vita. Quello che proponi sarebbe la morte
certa per te e per me.
-Non se ne parla. Ora devo nascondermi per
qualche giorno: loro sanno che sono a Perugia.
-Coglione!
-Scusate se mi intrometto, - interviene
Serena, -ma un soluzione, temporanea, ci sarebbe. Da quello che ho capito anche
lui era implicato nella tua indagine. Proporrei di farlo stare qualche giorno
qua. Nessuno penserà a cercarlo nella tana del lupo.
-Chi è il lupo? - chiede Ken.
-Il suo uomo era la mia indagine, - spiego.
-Tutto è successo perché stavo indagando su lui.
-Prendiamoci un caffè e spiegami meglio, -
si siede sul divano.
Ripercorro la storia con tanti omissis.
-Abbiamo distrutto tutte le prove, -
concludo. -Nulla è successo. E’ una storia che non si deve riaprire.
-Infatti: io la voglio chiudere, ma a modo
mio.
Battibecchiamo ancora per una decina di
minuti. Quando capisco che non sente ragioni ed è deciso a farsi vendetta da
solo, lo assecondo.
-Va bene! Prendiamoci una pausa di
riflessione. Ora hai un posto sicuro dove nasconderti. Aspettiamo qualche
giorno e stiliamo un piano di guerra.
-Così mi piaci!
-Però… sono io che comando!
-Non mi piaci più.
Lo lascio a Carpaneta con la promessa di
farmi rivedere appena avrò studiato un piano che abbia qualche possibilità di
riuscita.
La sera, a cena con Antonella, parlo di quello
che è successo nel pomeriggio. Gli omissis aumentano in maniera considerevole.
-Non ci ho capito un cazzo, - conferma con
linguaggio forbito, -cosa avresti intenzione di fare?
-Stancarlo. Prendere tempo e, alla fine,
proporgli l’unica possibile alternativa.
-Quale?
-Prendi i soldi e scappa.
-Ti costerà.
-Meglio un buco in più sul conto corrente
che nella pelle. Se quel coglione si mette in azione, oltre a beccarsi qualche
pallottola, farà decidere a chi di dovere di chiudere definitivamente la
faccenda. Eliminando anche l’ultimo problema rimasto: io.
-Cosa c’era di tanto pericoloso in
quell’indagine?
-La sicurezza dello Stato, te l’ho detto.
Meglio non sapere altro.
Passano i giorni, ho notizie di Ken solo
telefonicamente. E’ tranquillo, si gode la pace di Carpaneta, aiuta Serena in
qualche lavoretto e si ingozza come un maiale all’ingrasso.
Ricevo anche l’inaspettata visita del
commissario Mistretta.
-Dottor Rossi, ancora smemorato? - mi
chiede.
-Purtroppo non miglioro.
-Purtroppo devo comunicarle che l’inchiesta
sull’omicidio di Marta è sempre aperta e, almeno una volta a settimana, da Roma
mi chiedono notizie sulla salute della sua memoria. Comincio a credere che mi
usino come una minaccia nei suoi confronti.
-Non la capisco.
-Non si preoccupi. Lei continui a pensare a
ciò che è successo quella sera. Mi basta un nome, poi ci penso io.
-Non posso aiutarla.
-Non può… la capisco. Ma… se un giorno
dovesse miracolosamente trovare un indizio utile nei suoi ricordi, me ne renda
partecipe. E’ il minimo che mi deve. Senza me lei sarebbe passato direttamente
dal letto dell’ospedale a quello di una cella del carcere di Capanne. E lì
dentro succedono tanti incidenti strani…
Dopo alcuni giorni sento il bisogno di
recarmi a Carpaneta, più per verificare la strana convivenza tra Ken e Serena
che per controllare gli istinti omicidi del coglione.
Li trovo che stanno sistemando una immensa
catasta di legna.
-Dopo tre giorni di taglio, all’altra
collina, abbiamo deciso di sistemare la legna per il prossimo inverno, - chiarisce
Serena.
-Sono venuti estranei a lavorare? - chiedo
allarmato.
-No, abbiamo fatto tutto noi e Gneo e
Pompeo, i due asinelli di Giorgio, - replica Ken.
-L’hai messo al lavoro? - chiedo a Serena.
-Certo! Qui mica si mangia gratis.
-Fa anche bene alla linea, - aggiunge il
fuggiasco. -In dieci giorni sono calato due chili.
Troppi
ne devi togliere, ancora…
-Ma… hai qualche novità? - mi domanda.
-Nulla. Mi sto muovendo, in punta di piedi,
negli ambienti dei Servizi per avere qualche notizia sulla troiona, ma devo
essere cauto: una parola sbagliata e mi fanno la pelle.
-Ok. Continua! - Poi, rivolgendosi a Serena:
-Non è l’ora della merenda?
Passiamo in cucina dove lo vedo divorare
letteralmente una fila di pane farcita di formaggio.
Mentre Serena sta preparando i caffè, con la
bocca piena, mi supplica: -Portami una sera a cena fuori, ti prego! Non ce la
faccio più di mangiare insalate e formaggi. Voglio fare strage di fiorentine.
-Improponibile. In un locale pubblico rischi
di essere riconosciuto. Non possiamo esporci.
-Giusto. - Poi aggiunge, -Portami del salame
o mortadella di contrabbando altrimenti, se non mi uccidono loro, mi stende la
cucina vegetariana di Serena.
Mentre beviamo il caffè li osservo con
occhio critico. Avevo già notato una certa simpatia reciproca tra i due, ora
vedo che siamo passati alla complicità. Battutine, scherzi, qualche frecciatina
ma, soprattutto, risate tra i due.
Comincio a sperare che la situazione si
evolva in altro modo.
La speranza termina un pomeriggio che Serena
mi convoca a Carpaneta. Non mi spiega il motivo e comincio a temere che tra i
due sia già terminato l’idillio.
Invece mi accoglie una sgradita sorpresa.
Nel salone, insieme a Ken, trovo Domiziana e
Agata.
-Perché voi siete qua?
-Silenzio, soldatino! A cuccia, - fa Domiziana
indicandomi una poltrona vuota.
-Ken, non dire nulla, - ordino al coglione.
-Veramente ho già raccontato tutto ieri
sera, - mi illumina.
-Coglione! Ora siamo fregati! - Indicando
Agata, -Lei è dei Servizi!
-A cuccia, soldatino! - interviene Domiziana.
-Zitto e ascolta cosa abbiamo da proporti.
Serena mi porta un caffè e un portacenere,
capisco che mi è concesso fumare.
-Abbiamo saputo della tua disgraziata e
fallimentare indagine su Giorgio, - inizia la slovena. -Ti dovresti dare del
coglione cento volte. Ma il punto non è questo.
-Ma cosa vuoi da me! I nostri ti hanno
salvato il culo già una volta, non lo ricordi?
-Veramente il culo me lo ha salvato Giorgio.
Torniamo a noi, taci.
Mi accendo una sigaretta.
-Sono qui per offrirti la possibilità di riscattarti.
Ho tutte le informazioni che cerchi, o che fai finta di cercare. So chi ha
ucciso la donna del tuo amico, il tuo capo e ha tentato di uccidere te. Ora,
soldatino, cominci a collaborare sul serio e ti organizzi per far sparire
queste persone.
-Facile a dirsi! E… da dove arriverebbero
queste tue informazioni?
-Indovina? - interviene Agata.
-E perché dovrei collaborare per eliminare
queste persone?
-Per il semplice fatto che da Roma può
partire l’ordine di chiudere l’indagine sull’omicidio di Marta con le prove che
hanno. Ti ci vedi a fare l’ergastolo a Rebibbia?
-E’ un bluff!
-Fossi in te questa mano non l’andrei a
vedere… - ancora Agata.
-Cosa ci guadagnate?
-Il tuo amico la sua vendetta, io voglio il
vero assassino di Marta. Vivo.
-Non so chi sia…
-Lo sai, soldatino, lo sai… Finora hai
taciuto per non rimetterci la pelle… ma ora le cose sono cambiate.
-Anche chi ti fornirà tutte le informazioni
e l’appoggio di cui avete bisogno ci guadagnerà qualcosa, - prosegue Agata.
-Cosa?
Non mi risponde. Tira fuori dalla borsa una
busta con delle foto.
-Andiamo per ordine, - inizia. -Queste sono
le foto dei “fratelli”: tre killer della ‘ndrangheta che fanno anche lavori
part-time, -me le porge.
Tre visi da latitanti.
-Cosa c’entrano?
-Il più vecchio è il basista, non spara più.
I due più giovani lavorano in coppia, di solito in moto. Hanno una percentuale
di successi incredibile: 100 su 100. Tu sei l’eccezione che conferma la regola.
Il
rumore del motore di una motocicletta…
-Quella mattina sono stati loro a spararti,
- conclude Agata.
-Non me ne frega un cazzo. Ho chiuso coi SIG
e con le indagini.
-Allora ti si apriranno le porte del
carcere, - la conclusione di Domiziana.
-Perché mi fate questo?
-Perché siamo buone e vogliamo qualcosa da
te. Potevamo mandare Ken allo sbaraglio, da solo e senza nessuna prospettiva di
riuscita. Comunque lui avrebbe sistemato solo la rossa, forse. A Roma avrebbero
pensato subito a te.
-E a voi non ne sarebbe venuto niente, -
concludo.
-Esatto. Vedo che cominci a capire, - ora è
Agata.
-Spiegatemi bene tutto. Convincetemi.
-Ergastolo per te, senza ombra di dubbio. Se
te lo faranno scontare da vivo. Ti basta?
-Cosa volete, in sostanza?
-Fai fuori i tuoi killer, aiuti Ken a far
fuori la sua preda, probabilmente dovrai eliminare anche quella che ha ucciso
il tuo capo. Poi ci dovrai fare il favore di eliminare un altro bersaglio: un
pezzo grosso.
-Non sono un sicario.
-Il pezzo grosso è il mandante degli omicidi
e del tuo ferimento.
-Cosa avete intenzione di fare?
-Diciamo che è prevista un’imminente
ristrutturazione dei servizi segreti. Ma prima bisogna fare un po’ di pulizia,
- interviene Agata.
-E avete pensato a me. Qualche esecuzione
prima di arrivare al bersaglio grosso: quello che vi interessa. Se qualcosa
dovesse andare storto prima, il problema è solo mio. Nessuno si scopre le
chiappe.
-Bravissimo, - ancora Agata. -Se riesci ti
salvi dal carcere, se non ce la fai… noi non ti conosciamo.
-Sarei… un vuoto a perdere.
-Più o meno.
-E… nella remota ipotesi che riuscissi? Cosa
mi succederebbe, dopo?
-Saggia domanda, - replica Domiziana.
-Ho già preso accordi per farvi trasferire e
nascondere in Africa, in una missione della Don Nello Benizzi Foundation, -
stavolta è Serena.
-Anche tu?
-Tempo un paio di anni, - prosegue Agata,
-appena le cose si saranno normalizzate, potrete tornare in Italia liberi,
puliti e senza nessun pericolo.
-Chi me lo garantisce?
-Ti devi fidare di noi. Meglio due anni in
Africa a spalare merda di cammello che una vita immerso nella merda
dell’Ucciardone, - risponde Domiziana.
-Dromedari… in Africa ci stanno i dromedari,
- ribatto.
-Sempre merda è.
-A me piace l’Africa, - finalmente
interviene Ken,
-Zitto, coglione! - Poi, proseguo: -Perché
ci devo andare di mezzo io?
-Saresti l’unico con una valida motivazione
e il solo sospettato, - spiega Agata. -Per arrivare al pezzo grosso dobbiamo
–necessariamente- sacrificare dei pesci piccoli per non destare sospetti. Mi
capisci? Potevamo anche fare il lavoro da soli ma, se ti avessero eliminato
prima di arrivare al nostro bersaglio, ci saremmo scoperti.
-Ora, - stavolta è Domiziana, -hai un mese
di tempo per portare a termine la prima missione: i tre fratelli. Qui, - e mi
porge un’altra busta, -ci sono tutte le informazioni che ti servono. Un mese. A
partire da oggi. Domani ti porteremo le armi. Per ogni altra tua necessità…
basta chiedere.
-Dobbiamo agire in due?
-Sì! - Agata. -Li disorienterai e, comunque,
da domani dovrai sparire dalla circolazione.
-Per andare dove?
-Qua, - Serena. -Qua non ti cercherà
nessuno, come Ken.
-Non ho capito ancora cosa ci entri tu in
questa storia.
-Un favore ad un’amica, - risponde la
padrona di casa.
Mentre le due belle tolgono il disturbo
Domiziana mi ricorda l’ultima condizione:
-Soldatino, ricordati che l’assassino di Marta è mio. E lo voglio vivo.
La sera cerco di spiegare la situazione ad
Antonella. Non è semplice e lei non aiuta.
-Parla con il commissario Mistretta. Ti fai
mettere sotto protezione e, quando la Polizia avrà sistemato tutti, potrai
tornare libero.
-Semplice per te. Arrestano Agata, Domiziana
e Serena, gli fanno quattro domande e tornano libere. Non ho prove da fornire.
-Ken può confermare.
-Già… peccato che stia con loro e sia un
pregiudicato latitante. Sono con le spalle al muro.
-Potrei mobilitare la stampa.
-Non dire cazzate.
-Scappa all’estero e torna quando sarà
fallito il progetto.
-Vado a fare il latitante pure io…
-Fingiti pazzo.
La prima frase sensata della sera, merita
una profonda riflessione.
-Grazie, - le dico. -Potrebbe essere
un’idea. Comunque devo imbarcarmi su quella nave: volente o nolente.
-Come faremo ad incontrarci?
-Ho pensato anche a quello. Aspetta che ti
fornisca un telefonino pulito, non riconducibile a te. Lo userai solo ed
esclusivamente per comunicare con me.
Finiamo la serata nel migliore dei modi;
d'altronde domani entrerò in clausura.
Il Tesoriere della Colonia SKA sa far bene i conti! |
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