9 - LA NUOVA CASA
Si cominciano i grandi lavori per la sistemazione dei locali
della Colonia.
Appena aperta la porta, da anni chiusa e saldata, degli ex
bagni esterni al convento il Capo si mette le mani nei capelli e con tre parole
riassume lo sfacelo che vede.
“Cazzo, che troiaio!”
Non posso dargli torto.
A terra c’è di tutto: intonaco, polvere, foglie, bottiglie
di birra, siringhe usate, un lercio e ammuffito materasso, dei cesti di vimini
marciti, ciotole annerite dalla muffa e dalle incrostazioni, coperte ridotte a
brandelli e… diversi resti di gatti che
si sono addormentati là dentro per l’ultima volta.
“Qui ci vuole un lanciafiamme!” commenta. Poi cambia la
serratura della porta e richiude tutto, finestre rotte comprese con delle assi
di legno.
“Fino a nuovo ordine nessuno deve entrare qua dentro!” ci
intima.
Non è un problema: è settembre ed ancora fa caldo.
Per una settimana lo vedo lavorare e smadonnare dentro quei
locali. Riempie una decina di sacchi di immondizia e porta via tutti i rifiuti
ingombranti. Raccoglie i resti degli sconosciuti colleghi in un sacchetto a
parte e comincia la bonifica dei locali con ettolitri di candeggina.
Per una settimana neppure lui può entrare dentro tanto forte
è la puzza del cloro che fa bruciare pure gli occhi. Lo controllo, tenendogli compagnia, dal
muretto davanti alla porta dei locali. Tra un moccolo e un’imprecazione mi
rivolge spesso la parola e, pian piano, comincio a comprendere quello che dice
e ad instaurarci un singolare dialogo.
Dialogo che evolve quando è arrivato il momento di arredare
i locali ripuliti e disinfettati.
Arriva una mattina con una montagna di bancali che comincia
a sistemare nei due locali piccoli, quelli con le finestrelle. Mi dice che il
terzo locale, un budello lungo e buio, senza finestre, lo terrà chiuso e sarà
adibito a magazzino. Il pomeriggio arriva la ragazza magra che, ogni tanto, ci
porta da mangiare con dei cubi di polistirolo da adibire a cucce. E’ uno dei
rari momenti che si incontrano: tra lei e il Capo non corre buon sangue e,
finora, ogni incontro era terminato con un litigio per le cose più banali, ma
che riguardavano noi.
Naturalmente anche quel pomeriggio c’è stata una piccola
incomprensione e alla gentile richiesta del Capo: “Per favore, non cominciare a
rompermi i coglioni…” è seguito il solito litigio.
Ma alle 19 il nostro appartamento era pronto e arredato!
Un po’ spartano, forse troppo, diciamo minimalista
essenziale: 5 bancali (poco usati), 8 cubi-cuccia di polistirolo (praticamente
nuovi) ognuno con una fresca e linda coperta all’interno, un cesto di vimini
(riciclato dal Natale precedente) con un morbido cuscino appoggiato, 2 ciotole
inox per l’acqua, 2 sottovasi (nuovi!) per le crocchette, una scopa con il
raccogli-schifezze e il secchio con il mocio. Ultimo tocco d’autore una lunga
asse di legno per poter uscire da una finestrella senza dover spiccare balzi.
“Questa è per SMERALDONE”, mi dice mentre la appoggia alla
finestrella. “Comincia ad essere vecchio e sempre più malconcio, ho paura che
non ce la faccia ad uscire saltando.”
In effetti il Capocolonia apprezzò molto quel piccolo
accorgimento.
Anche noi apprezziamo la nostra nuova casa: la prima notte
si scatena subito una rissa per chi deve dormire nel cestino col cuscino. Tutti
vogliono stare là. SMERALDONE, a cui spetta l’onore di scegliere per primo la
cuccia, preferisce uno dei cubi di polistirolo: quello più appartato. Finisce
che il cestino diviene la cuccia di BERENICE, la gatta più anziana insieme alla
sorella MICIA che, però, continua a dormire nel suo rifugio segreto, lontano
dalla Colonia.
PACCOLINO, SMERALDINA e ALALA’ si accomodano, tutti insieme,
dentro un altro cubo.
La ROSINA grugnisce qualcosa e se ne torna alla sua solita
tana, mentre VOLPINO è latitante da giorni: teme di venire catturato e
sterilizzato.
La BOMBONA manco dice “Buonanotte!”: si accomoda dentro un
cubo e comincia subito a russare.
Scelgo il cubo più vicino ad una delle due uscite ma non mi
ci accomodo dentro, ci dormo sopra: qualcuno deve pur rimanere vigile e
controllare la situazione.
“9 cucce di cui solo 5 occupate: che spreco…” penso prima di
assopirmi.
Non potevo immaginare quello che sarebbe successo nel tempo.
La ROSINA alla Colonia Vecchia - maggio 2009 - |
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