BARTOCCIO
Ieri sera mentre sbranavi la mezza scatoletta di Gourmet
Gold al pollo, il piccolo vizio che ti avevo dato e che tu, ogni sera,
aspettavi impaziente.
Una concessione unica: sia io che tu sapevamo il perché.
E’ questa l’istantanea che voglio ricordare di te, insieme
alla tua breve, forse felice, sicuramente tribolata, storia alla Reggia.
La classica meteora, arrivata chissà da dove: un maschio
adulto, intero, selvatico e patito.
Brutto (cazzo quanto eri brutto!) e per dire io che un
gatto è brutto significa che avevi infranto ogni canone di estetica felina.
La facciona piena, rotonda, schiacciata, con due occhi a
palla socchiusi da pus e sangue. Il corpo smagrito e segnato da battaglie. Ma
nulla ti si poteva fare: eri inavvicinabile.
Ti chiamai BARTOCCIO, la tipica maschera carnevalesca
perugina, proprio per questa particolarità.
Hai cominciato a frequentare la Reggia forse incuriosito
dalla presenza di tanti altri gatti o, forse, più semplicemente perché era
facile reperire il cibo per sopravvivere.
Ti vedevo poco, quasi mai, ma sapevo che stavi nascosto da
qualche parte a spiarmi.
Poi hai cominciato una lenta opera di avvicinamento, hai
studiato e memorizzato gli orari e le abitudini e, la mattina e la sera, ti
presentavi fuori dal garage a reclamare un piattino di umido. Lo reclamavi
con quel tuo strano miagolio (brutto anche quello). Qualche volta facevo finta
di non sentirti, solo per vedere fino a che punto eri disposto a rischiare per
un pasto. Ma niente; se c’ero io tu non entravi nel garage.
Arrivato l’inverno però sei entrato. Hai capito che dormire
la notte al caldo di una comoda cuccia era meglio che stare fuori a prendere
freddo e pioggia.
Quanto avevi cominciato a diventare un gatto decente
con gli occhi che avevano smesso di
lacrimare, il pelo tornato lucido ed uniforme e avevi messo su anche un paio di
chiletti hai fatto il grande passo.
Ti sei stabilito nel garage, insieme agli altri gatti che ti
hanno accettato e tu non hai infastidito.
Il destino sembrava sorriderti per il futuro, dopo chissà
quanti patimenti, avrai pensato!
Ma il destino è bastardo: con un dito dà e con un braccio
prende.
L’ho capito da quanto dormivi, sempre con l’occhio vigile a
spiare le mie mosse e controllare che non mi avvicinassi troppo, e dalla
voracità con cui mangiavi.
Poi, quando hai saltato una stagione degli amori ho avuto la
conferma di ciò che già sospettavo.
Conferma che è arrivata con un rapido dimagrimento, malgrado
la quantità di cibo che mangiavi e richiedevi continuamente. Da qui il vizio
dello spuntino serale extra.
Quando il cranio ha cominciato a cambiare conformazione ho
capito che i giochi erano oramai fatti: la sentenza emessa, con condanna
inappellabile.
Ti sarai sicuramente domandato perché non abbia fatto nulla
per curarti; ora ti lasciavi accarezzare senza paure.
Per la tua malattia, purtroppo, non esistono cure. Esiste
solo la soluzione finale: l’abbreviamento delle sofferenze e avevo già preso
accordi in merito.
Stanotte ci hai lasciati, steso sul tuo cuscino nel posto
più caldo del garage.
Non abbiamo avuto tempo: la FIV è stata più veloce di tutti
e due e non ha rispettato neppure quello che sarebbe potuto essere il tuo
onomastico colpendo il Giovedì Grasso di Carnevale.
Consolati col fatto che rimarrai per sempre alla Reggia,
insieme a tanti altri amici sfortunati.
Ciao BARTOCCIO!
La tua unica foto: la malattia aveva già cominciato il suo sporco lavoro |
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