11
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
(alla Colonia felina di Montelepre)
Siamo d’accordo di proseguire la lettura nel pomeriggio, in
attesa dell’arrivo del Capo con i vettovagliamenti, ma non trovo più il
manoscritto misterioso di ignoto autore.
???
Eppure l’avevo messo sotto la mia cuccia di polistirolo!
Cerca che ti ricerca mi accorgo che lo tiene in mano
PALLUCCHINO, il Professore della Colonia, e con una matita ci sta scrivendo
qualcosa.
“Cosa fai?” gli chiedo.
“Alcune correzioni: manca qualche virgola e ho messo pure
dei consigli a margine per rendere più fluida la lettura.”
“Ti sembra il caso di fare modifiche?”
“Perché no? Il manoscritto ci è stato dato col chiaro
intento di valutarlo. Alla fine della lettura scriverò pure un giudizio
globale.”
“Mah… Ora dammelo che gli altri stanno aspettando la lettura dell’11°
capitolo.”
CAPITOLO 11
-Passano i giorni e la vita scorre tranquilla. Il
Capo si è accordato con l’impresario sulla cifra da sborsare per la nuova
conduttura fognaria e i tempi di realizzazione.
“Poi”, sottolinea, “voglio che la fossa venga
riempita di calcestruzzo per evitare pericoli.”
“Naturalmente!” replica l’impresario. “Costerà
qualcosina in più…”
“Quanto in più?”
“Una botte di calcestruzzo, un braccio telescopico
per la gettata e la relazione tecnica.”
“E la fossa rimarrà sepolta piena di calcestruzzo?”
“Certo! Chi vuole che la sposti?”
“Ok.”
“Tra dieci giorni, appena avuta la licenza per i
lavori, cominceremo. In una settimana dovremmo finire.”
“Benissimo.”
Nel pomeriggio il commissario, anzi ex
commissario, Mezzetti si affaccia di nuovo in Colonia per portare crocchette e
qualche nuova notizia.
“Ha saputo, Silvio?”
“Cosa?”
“Della sparatoria alla stazione di Roma.”
“Ho sentito qualcosa al telegiornale.”
“Le due bande di narcotrafficanti si stanno
regolando i conti tra loro: ognuna è sicura che l’altra l’abbia fregata e si
sia tenuti soldi e droga.”
“Ma và! E la Polizia cosa fa?”
“Nulla! Ma lasciamo perdere… ” commenta serafico.
“Eppure io sono convinto che droga e soldi se li siano presi qualcun altro.”
“Per farci cosa?”
“Cosa farebbe lei con una valigia di soldi?”
“La bella vita”, risponde il Capo. “Ma la valigia
di droga?”
“Si rivende”, commenta Mazzetti.
“Sì! Per fare la fine di quei quattro.”
“Dia retta a me: le cose non sono poi così
complicate.”
“Cioè?”
“Qualcuno era al corrente dello scambio. Ha
manovrato il tutto per far si che si sparassero tra loro e rubargli soldi e
merce.”
“Chi?”
“Qualche nuova gang emergente. Di qui o di Roma.
Quello è un mercato che non perdona.”
“Ma…”
“Non è convinto?”
“Non lo so e non mi riguarda. Comunque terrei
sempre d’occhio i frati. Hanno dimostrato di essere più loschi delle sue gang.”
“Lo hanno già fatto per noi.”
“Non capisco.”
“Un nostro fidato informatore ha riferito che il
piccoletto è stato avvicinato da un emissario degli usurai promettendo la remissione
dei debiti di gioco e degli interessi maturati in cambio della droga sparita.”
“Ha accettato?”
“No. Ha riferito che è sembrato sincero e i
malavitosi sono convinti non sappia nulla di quella merce. Un altro avrebbe
colto al volo l’occasione. Si sarebbe liberato degli ingombranti pacchi e
avrebbe rimesso a posto la sua precaria situazione.”
“Mmm…”
“L’altro ieri il Padre Vicario ha pagato un
secondo acconto per sistemare le cose. Altri centomila Euro.”
“Ma dove li trovano tutti ‘sti soldi?”
“Le vie del Signore sono infinite. Sembra sia
intervenuto un facoltoso fedele desideroso di aiutare il Padre Vicario nei suoi
problemi e avere l’appalto per la costruzione della nuova chiesa dei Santi
Apostoli.”
“Non si chiama corruzione?”
“Affari loro. Lei è troppo prevenuto nei loro
confronti.”
“Sarà perché ho imparato a conoscerli.”
“Va bene. Torno a trovarla la prossima settimana
che mia moglie deve dare una ripulita ad un armadio e un paio di coperte per le
cucce ci possono scappare.”
“Ottimo! Loro sono i veri bisognosi.”
“Bene!” commenta Flash. “E’ ora che Silvio la
smetta di parlare male dei frati. La tregua che abbiamo raggiunto anni fa è pur
sempre una tregua. Se dovesse di nuovo scoppiare la guerra dovremmo sfollare
tutti a casa sua.”
-Altri trenta gatti qua? chiede, scandalizzata,
Oliva.
-Era solo un’ipotesi, le rispondo. Allora la
Colonia non era in grado di sopportare una nuova guerra contro i frati.
Vedo molti volti felini sollevati dalla notizia.
-Dopo pochi giorni iniziano i lavori di scavo qua
e a casa dei vicini. La vecchia rimessa dei cani da caccia viene svuotata della
legna e demolita. I due scavi si riuniscono in un piccolo collettore ed
iniziano i lavori per l’allaccio alla conduttura comunale.
“Appena saremo allacciati alla rete fognaria
faremo il bypass della fossa biologica”, illustra l’impresario.
Silvio segue distrattamente le ulteriori
spiegazioni: oramai si sente sicuro e tranquillo.
Io comincio a rompermi le palle di fare su e giù
da casa alla Colonia e viceversa. Oramai il Capo ha risolto i suoi problemi, è
tornato calmo e sereno come era una volta. Ha ripreso ad occuparsi di noi con
slancio ed entusiasmo. Ha pure terminato i lavori di recinzione della Colonia.
In un raro impeto di bontà umana ha graziato Odoacre dalle sue barbare scorribande
notturne: niente rete alta a maglie strette, può continuare a depredare con i
suoi invitati le nostre crocchette e rubare indisturbato tutto quello che può
passare tra la rete elettrosaldata. Impeto di bontà e perdono che non concede
ai frati del convento.
E’ tempo di prendere una decisione: rimango qua o
torno a fare il Generale in Colonia?
Decido per rimanere qua, tra i lussi di Casa
Carpaneta. Oramai la mia età e gli anni trascorsi da randagio in Colonia
cominciano a sentirsi ed è giusto sgravarsi dalle responsabilità. In poche
parole, come il commissario Mezzetti, vorrei andare in pensione, ma c’è ancora
un grosso problema da risolvere, anzi due: i cani inselvatichiti.
Poi devo assumermi anche la responsabilità di
nominare un successore come capo colonia.
Due vice già ci sono, ma sono due. Ho paura che
nominandoli entrambi capi si crei una frattura nella tradizionale scala
gerarchica che regola tutte le colonie feline del pianeta. Ma, nominandone solo
uno creerei un capo e uno scontento. Nominandone un terzo, al di fuori dei due
vice, creerei due scontenti. La questione è delicata. Decido di accantonare
l’idea del pensionamento, almeno fino a quando i cani saranno catturati, o
scomparsi da Montelepre e il problema della successione discusso con gli altri
randagi della Colonia. Continuo a fare il pendolare.
Una mattina che il Capo, obtorto collo, deve
andare al lavoro decido di fare una salutare passeggiata alla Colonia.
E’ qui che ricevo un’allarmante notizia da Orfeo.
“Generale, ha riferito Odoacre che i due cani sono
di nuovo nei paraggi. Li ha avvistati nel campo sotto la casa del contadino.”
“Bisognerà piazzare un paio di sentinelle pure
laggiù”, replico.
“Generale, oramai qua siamo tutti di sentinella.
Non si dorme più e alcuni cominciano a dare segni di cedimento. Non vorrei che
qualcuno si addormentasse al posto di guardia con il risultato di dover
fronteggiare una nuova incursione.”
“Siamo alla frutta…” commento.
“Signorsì, Generale!. Gli organici sono troppo
scarsi: non possiamo pattugliare tutta Montelepre.”
“Bisogna studiare una soluzione, velocemente.
Manda a chiamare Archimede e Littorina.”
Ci vuole un’ora per scovare Archimede che era
andato a dormire nel vecchio porcile dentro al convento. Quando sono presenti
gli illustro la situazione.
“Non possiamo fare di più”, concorda Littorina.
“Bisognerebbe chiedere aiuto a qualcuno”, il
consiglio di Archimede.
“A chi?” domando.
“La notte a Montelepre”, risponde Flash alle mie
spalle, sbucato dal nulla, “è popolata di mille animali notturni in cerca di
cibo. E’ pure difficile che la notte i due cani siano in movimento.”
“Spiegati meglio”, lo invito.
“Semplice: se si riuscisse a far trovare
facilmente del cibo alle varie volpi,tassi, istrici, ricci, faine, ghiri,
cinghiali, gufi e civette gli stessi potrebbero fare la guardia alla colonia e
voi dormire tranquilli, almeno la notte.”
“Cibo?” domanda Orfeo. “E come glielo troviamo?”
Un sorriso furbo solca il muso di Flash.
“Odoacre e i suoi amici vengono spesso qua la
notte”, continua. “Se venissero anche altri animali il controllo sarebbe
assicurato.”
“Troppo pericoloso”, ammonisco. “Tra poche
settimane cominceranno ad abbandonare qua le solite cucciolate di gattini. Se
facciamo arrivare volpi e faine sarebbero in grave pericolo. Anche i cinghiali,
poi… sono troppo grossi per passare tra le maglie della recinzione:
rischierebbero di danneggiarla seriamente. I tassi, invece, sono poco
socievoli: potrebbero nascere dei conflitti.”
“Rimangono ricci, ghiri, gufi e civette”, osserva
il certosino.
“Parliamone con Odoacre”, propone Archimede.
La notte rimango in Colonia, dopo tanto tempo
passato a Casa Carpaneta è difficile riabituarsi ai rumori notturni del bosco,
al russare di Orfeo amplificato dal dormire dentro la sua cuccia: un cubo di
polistirolo. Un rumore mi fa sobbalzare: qualcuno sta spostando la grossa
ciotola di ceramica posta sotto al tavolo. E’ Odoacre, in compagnia della sua
famiglia.
“Odoacre!” lo chiamo.
Appena mi sente si gonfia drizzando gli aculei
posti sopra la schiena. Il suo piccolo fugge via protetto dalla mamma.
“Non aver paura: sono Tazza”, lo rassicuro.
Odoacre abbassa gli aculei ma rimane guardingo.
“Mangiate pure con comodo”, replico, “poi dobbiamo
fare due chiacchiere.”
Il piccolo e sua madre si riavvicinano, richiamati
da alcuni strani versi di Odoacre. Insieme banchettano a base di crocchette,
dopo aver spostato, come al solito, la pesante ciotola in mezzo allo spiazzo
della casetta.
Quando hanno terminato comincio a parlare.
“L’umano che ci accudisce ha intenzione di alzare
una nuova recinzione. Più alta e a maglie strette.”
“Perché?” domanda l’istrice.
“I cani. Ha paura che tornino e uccidano di
nuovo.”
“Fa bene, allora!”
“Significa che tu, la tua famiglia e i tuoi amici
non potrete più entrare a mangiare le nostre crocchette.”
“Oh, cazzo!” il suo commento (quasi umano).
“Ma ho una proposta da farti”, proseguo. “Se tu e
gli altri animali notturni ci date una mano nel controllo del territorio io
posso convincere il Capo a rinunciare alla nuova recinzione.”
“Dovremmo fare la guardia di notte?” Odoacre si
dimostra molto perspicace.
“Esatto: la nostra sicurezza notturna in cambio di
cibo sicuro ogni giorno.”
“Non ce la faccio a pattugliare tutta la zona.”
“Fatti aiutare”, lo consiglio.
“Da chi?”
“Amici tuoi: altri istrici, ricci, ghiri, civette
e gufi.”
“Ricci e ghiri non ce li vedo bene qui. La gatta
rossa è troppo pericolosa”, riferendosi ad Attila, la cacciatrice ufficiale
della Colonia.
“Conosco una civetta, Rosalia”, commenta.
“Potrebbe collaborare ma devi rimediare del cibo anche per lei.”
“Ci posso provare”, rispondo.
Rimaniamo d’accordo di incontrarci di nuovo la
notte successiva per valutare ogni possibilità.
Puntuale la famigliola di roditori si ripresenta a
notte fonda per la solita scorpacciata di crocchette.
Terminate le crocchette e lavato accuratamente il
piccolo dentro una delle ciotole per l’acqua la signora Concetta e il piccolo
Igor tornano alla tana. Odoacre racconta della sua opera di reclutamento di
vigilantes.
“Allora: Rosalia, la civetta, viene con un’amica. Telemaco,
il pipistrello, viene con i suoi fratelli e mio cugino Gregorio porta i suoi
compagni di merende. In tutto saremo una decina a pattugliare la zona. Ci darà
una mano pure Pippo, il gufo.”
“Ottimo.”
“Ma c’è un problema…”
“Cioè?”
“Cibo: ci vuole cibo in abbondanza. Inoltre
Gregorio beve birra.”
“Birra? E dove la trova?”
“Lui ha la tana vicino all’isola ecologica giù ai
piedi della collina. Nelle bottiglie e nelle lattine da riciclare rimedia
sempre un paio di bicchieri di bevanda. Le civette, invece, gradirebbero i
vostri bocconcini di carne: pollo e tacchino, possibilmente. Per i pipistrelli
ci vorrebbero degli insetti. Pippo non ha problemi: mangia quello che trova.”
“Birra? Insetti? Ma dove la trovo questa roba?”
“Organizzati: nulla è gratis.”
La mattina riunione straordinaria dei randagi alla
Colonia.
“Birra: so dove procurarla”, rassicura Bartolomeo,
gatto faccendiere onnipotente.
“E gli insetti?” interviene Frittella.
“Il ristorante cinese è troppo distante”, commenta
Peroni, uno degli ultimi abbandonati che si dà arie da viveur.
Littorina mi suggerisce in un orecchio la
possibile soluzione.
“Bisogna pure accantonare un piatto di bocconcini
al pollo e tacchino, ogni giorno, per le civette”, aggiungo.
Dagli sguardi dei colleghi capisco che questa è
una dolorosa rinuncia.
“Forza ragazzi! Datevi da fare: da stasera si
potrà dormire tranquilli!” li incito.
PALLUCCHINO - Il Professore della Colonia |
Nessun commento:
Posta un commento