venerdì 28 febbraio 2014

GLI ADOTTATI - TEMPESTINA

C’è stata una furibonda riunione della redazione del Blog per la pubblicazione di questo pezzo.
Non tutti erano d’accordo per l’inserimento nella rubrica “Gli Adottati”.
Il solito, puntiglioso, PERICLE voleva addirittura aprire la nuova rubrica “I Fuggiaschi”.
“Per un caso non si può creare una nuova rubrica!” ha obiettato SAILA.
“Veramente, con GEDEONE, i casi già sarebbero due!” ha replicato il mago informatico.
“Ma GEDEONE è un’altra storia!” interviene CESARE.
“Sempre fuggiasco è!”
Prima di arrivare ai coltelli, CANNIBALE, con la sua infinita saggezza decretava l’inserimento di TEMPESTINA nella rubrica degli adottati.
“Smettetela! Ben due volte è stata adottata!” ha detto, chiudendo il discorso.
Ma veniamo alla micia in questione.
TEMPESTINA fu abbandonata alla Colonia Vecchia una calda domenica del 2007.
Era uno scricciolo tricolore pieno di pus agli occhi, raffreddatissima e infestata di pulci. Giocoforza il Capo dovette portarsela via (era il terzo micetto in meno di un mese scaricato in condizioni pietose che si portava a casa, un quarto non ce l’aveva fatta neppure ad arrivarci).
Fu curata e si rimise perfettamente, tanto da diventare dispotica con gli altri due piccoli colleghi. Era diventata la regina della casa.
Poi un giorno il Capo ricevette la visita della sua vicina e fu amore a prima vista, le salì in braccio e si scambiarono smancerie e bacini per tutto il tempo della visita, con lui che osservava la scena perplesso.
TEMPESTINA continuò a tiranneggiare tutti gli altri gatti di casa per un altro anno poi, nel 2009, il fattaccio.
Il Capo riportò a casa una micetta che aveva svezzato nella nursery, insieme ad un altro branco di gattini, poi riportata in Colonia. Una tricolore anche lei: ROMEA, si chiama. Adottata da un ragazzo finì a Rieti, ma solo per pochi giorni; fu riportata in Colonia perché il tizio non era in grado di gestirla (?). Nel frattempo la sorellina, SARACCA, era morta azzannata da un cane. Il Capo, che aveva già un debole per lei, decise di dare la svolta alla sua vita: l’adottò e se la riportò a casa.
ROMEA e TEMPESTINA si scoprirono incompatibili e, mentre TEMPESTINA era più forte e cattiva, ROMEA si dimostrò decisamente più intelligente, circuendo il Capo.
“Sta puttana!” sembra che esclamò TEMPESTINA mentre raccoglieva i suoi pochi stracci per trasferirsi dalla vicina. E così fu.
“Il primo caso di abbandono di umano da parte di un animale d’affezione” commentò il Capo, molto risentito “Chissà se posso denunciarla (TEMPESTINA, non la vicina)”.
E mentre sperava in un ripensamento e si aspettava di vederla, pentita, tornare alla sua casa, TEMPESTINA si insediava nella nuova reggia, a pochi metri di distanza e, ancora oggi, quando scorge il Capo a lavorare nel bosco lo saluta con un “Miao” carico di affetto e di vecchi ricordi ma che non concede speranze.
Quanto gli brucia al Capo… 

TEMPESTINA alla Reggia - giugno 2007 -

TEMPESTINA tassativamente al di là della rete di recinzione
Febbraio 2017

BARTOCCIO

BARTOCCIO

Ieri sera mentre sbranavi la mezza scatoletta di Gourmet Gold al pollo, il piccolo vizio che ti avevo dato e che tu, ogni sera, aspettavi impaziente.
Una concessione unica: sia io che tu sapevamo il perché.
E’ questa l’istantanea che voglio ricordare di te, insieme alla tua breve, forse felice, sicuramente tribolata, storia alla Reggia.
La classica meteora, arrivata chissà da dove: un maschio adulto, intero, selvatico e patito.
Brutto (cazzo quanto eri brutto!) e per dire io che un gatto è brutto significa che avevi infranto ogni canone di estetica felina.
La facciona piena, rotonda, schiacciata, con due occhi a palla socchiusi da pus e sangue. Il corpo smagrito e segnato da battaglie. Ma nulla ti si poteva fare: eri inavvicinabile.
Ti chiamai BARTOCCIO, la tipica maschera carnevalesca perugina, proprio per questa particolarità.
Hai cominciato a frequentare la Reggia forse incuriosito dalla presenza di tanti altri gatti o, forse, più semplicemente perché era facile reperire il cibo per sopravvivere.
Ti vedevo poco, quasi mai, ma sapevo che stavi nascosto da qualche parte a spiarmi.
Poi hai cominciato una lenta opera di avvicinamento, hai studiato e memorizzato gli orari e le abitudini e, la mattina e la sera, ti presentavi fuori dal garage a reclamare un piattino di umido. Lo reclamavi con quel tuo strano miagolio (brutto anche quello). Qualche volta facevo finta di non sentirti, solo per vedere fino a che punto eri disposto a rischiare per un pasto. Ma niente; se c’ero io tu non entravi nel garage.
Arrivato l’inverno però sei entrato. Hai capito che dormire la notte al caldo di una comoda cuccia era meglio che stare fuori a prendere freddo e pioggia.
Quanto avevi cominciato a diventare un gatto decente con gli occhi che avevano smesso di lacrimare, il pelo tornato lucido ed uniforme e avevi messo su anche un paio di chiletti hai fatto il grande passo.
Ti sei stabilito nel garage, insieme agli altri gatti che ti hanno accettato e tu non hai infastidito.
Il destino sembrava sorriderti per il futuro, dopo chissà quanti patimenti, avrai pensato!
Ma il destino è bastardo: con un dito dà e con un braccio prende.
L’ho capito da quanto dormivi, sempre con l’occhio vigile a spiare le mie mosse e controllare che non mi avvicinassi troppo, e dalla voracità con cui mangiavi.
Poi, quando hai saltato una stagione degli amori ho avuto la conferma di ciò che già sospettavo.
Conferma che è arrivata con un rapido dimagrimento, malgrado la quantità di cibo che mangiavi e richiedevi continuamente. Da qui il vizio dello spuntino serale extra.
Quando il cranio ha cominciato a cambiare conformazione ho capito che i giochi erano oramai fatti: la sentenza emessa, con condanna inappellabile.
Ti sarai sicuramente domandato perché non abbia fatto nulla per curarti; ora ti lasciavi accarezzare senza paure.
Per la tua malattia, purtroppo, non esistono cure. Esiste solo la soluzione finale: l’abbreviamento delle sofferenze e avevo già preso accordi in merito.
Stanotte ci hai lasciati, steso sul tuo cuscino nel posto più caldo del garage.
Non abbiamo avuto tempo: la FIV è stata più veloce di tutti e due e non ha rispettato neppure quello che sarebbe potuto essere il tuo onomastico colpendo il Giovedì Grasso di Carnevale.
Consolati col fatto che rimarrai per sempre alla Reggia, insieme a tanti altri amici sfortunati.

Ciao BARTOCCIO!

La tua unica foto: la malattia aveva già cominciato il suo sporco lavoro

mercoledì 26 febbraio 2014

VARIE ED EVENTUALI (tutto quello che si può rubare dal web)

OCCHI DI GATTO

IL SOLARIUM LETTERARIO





   13
UNA TRANQUILLA DOMENICA DI SANGUE
alla Colonia felina di Montelepre







Non è semplice proseguire con la lettura in queste prime giornate di tiepido sole.
Chi può se ne va in giro per il bosco a caccia delle piccole prede che escono dalle tane per godersi questo antipasto di primavera.
Così quando tornano alla casetta, chi con un topino, chi con una lucertola ancora rimbecillita dal letargo invernale, chi con una salsiccia secca (BARTOLOMEO ha di nuovo fatto affari col losco INTREPIDO), chi con un pugno di mosche, posso proseguire a leggere alla mia platea.

CAPITOLO 13

La notizia la ascoltano alla tele dal TG regionale durante il pranzo del giorno successivo.
“Improvvisa moria di pesci lungo le sponde del Rio Impetuoso all’altezza del rudere del molino Capotosti”, dice lo speaker. “Le autorità di controllo delle acque stanno indagando su un’eventuale rilascio di materiale inquinante da parte delle aziende agricole a monte del tratto del corso d’acqua.”
“Delinquenti… “ commenta Susy.
“In galera!” aggiunge Silvio.
Ma è il pomeriggio, alla Colonia, che apprendo la ben più preoccupante novità da Orfeo.
“Generale, i cani sono nelle vicinanze: stanotte l’allarme è scattato due volte. Sono stati avvistati giù dal contadino da Odoacre e vicino alla troscia piccola da Rosalia. Ora i gatti sono tutti ai posti di vedetta e serpeggia un certo nervosismo.”
Inutile dire che appena Attila sente la parola serpeggia comincia a radiografare con gli occhi tutto il bosco.
“State in campana, stanotte”, avverto. “Dormite alla spoletina.”
Alla spoletina ?” replica Orfeo.
“Con un occhio chiuso e l’altro aperto”, chiarisco. “Anzi: stanotte starò di guardia con voi qua alla Colonia.”
Infatti non mi presento all’auto al momento di tornare a casa e vado a scegliere un buono (e comodo) posto di osservazione.
Sonnecchio alla spoletina tutta la notte ma è di primo mattino che il pipistrello Telemaco lancia l’allarme mentre se ne sta tornando alla sua tana nella cavità del tronco di un vecchio castagno.
Tutti in piedi e fuori dalla casetta di legno, pronti a rifugiarsi sopra gli alberi.
Li vediamo, i due demoni canini assatanati di sangue che arrivano al galoppo dal campo sotto alla Colonia. Via tutti! Solo Saetta scappa i direzione del convento, allo scoperto del piazzale asfaltato. Le belve lo vedono e cominciano l’inseguimento.
“E’ spacciato”, dico tra me.
Ma quando stanno per raggiungerlo Saetta fa uno brusco scarto laterale e si inerpica sulla collina sopra al piazzale sterrato e vola verso il sentiero.
Scendo dall’albero e mi precipito per cercare di soccorrerlo. Ma sono troppo veloci. Appena sento delle urla disumane aumento il ritmo fino a farmi quasi esplodere il cuore e arrivo nello spiazzo del bosco dove c’è una panchina. Mi blocco dalla sorpresa. Sopra la panchina c’è il frate assassino che cerca di difendersi dall’assalto dei cani. Saetta mi fischia da sopra una quercia e mi urla di raggiungerlo. I cani mi vedono ma il più grosso dei due continua ad azzannare il polpaccio del miserabile nano. Tanto per cambiare il menù anche l’altro decide che il frate è più gustoso di un gatto e gli si attacca al braccio sinistro. Il frate cerca di difendersi con il bastone che usa per passeggiare. Distribuisce legnate a destra e manca e incassa morsi da tutte le parti.
“Che bello spettacolo!” commenta Saetta. “Se si ammazzano a vicenda abbiamo risolto tutti i nostri problemi.”
Ma non finisce così.
Dal convento hanno sentito le grida disperate del frate in castigo e un paio di inservienti sono usciti armati di pala e forcone. La zuffa si infiamma. I due cani cercano di aggredire i nuovi arrivati ma rimediano uno una palata sul cranio, che lo lascia barcollante, e l’altro una forconata sulla zampa anteriore destra. Sanguinante riesce a fuggire mentre l’altro, ancora rintronato dalla botta, viene raggiunto e inforcato definitivamente. Il frate inutile rimane a terra, tra sangue e lamenti, conditi da qualche moccolo, da vero uomo di Chiesa. Viene soccorso da un inserviente mentre l’altro corre al convento ad avvertire gli altri frati. Di lì a poco si presenta tutta la banda dell’ “Associazione a delinquere”, utilizzando la definizione del Capo. Poco dopo arriva un imponente spiegamento di mezzi e forze: ambulanze, Polizia, Vigili del Fuoco, Polizia Veterinaria, Corpo Forestale e Vigilanza Venatoria. Il frate viene imbracato su una barella e scompare inghiottito dall’autoambulanza. Gli altri iniziano una battuta di caccia mentre alcuni rimangono a fare foto, raccogliere indizi ed interrogare gli umani del convento. Mi accorgo che sulla quercia siamo in quindici, appollaiati come avvoltoi.
Sarà stato il sesto senso o, più probabilmente, il rumore delle sirene spiegate a portare Silvio alla Colonia a fare un controllo. Appena vede tutti i mezzi delle varie polizie parcheggiate nel piazzale sterrato domanda ad un forestale cosa sia successo.
“Dei cani randagi hanno aggredito un uomo”, la risposta.
“Oh, cazzo!”
“Un frate, per la precisione.”
“Ah! Bene!” commenta Silvio lasciando perplesso il milite, poi scende alla casetta per vedere se ci siano stati problemi. E’ tutto in ordine; mancano solo i gatti.
Lo raggiungo e gli faccio capire che mi deve seguire. Arriviamo allo spiazzo con la panchina, è ancora pieno di poliziotti. Silvio si informa su cosa sia successo e quanto gli dicono chi è la vittima e che anche il secondo cane è stato catturato si lascia scappare: “Poveraccio.”
“E, sì!” risponde un vigile del fuoco. “Praticamente gli hanno sbranato una gamba.”
“Mi riferivo al cane”, precisa il Capo facendo cenno con la testa al cadavere dell’assassino a quattro zampe.
Poi ci chiama a raccolta e convoca tutti alla casetta. Lo vediamo armeggiare dentro la sua auto e uscire con le mani piene di scatolette di bocconcini, un sacchetto di crocchette e una bottiglietta di acqua minerale.
In Colonia tira fuori i piatti e comincia una distribuzione straordinaria di cibo.
“Oggi si festeggia!” comunica brindando con la minerale oramai sgasata dal lungo tempo di permanenza in auto.
E’ un festino a tutti gli effetti. Arrivano alla spicciolata anche dei randagi solitari del bosco, Rosalia la civetta, Odoacre con la famiglia e il cugino Gregorio. Gregorio apre una lattina di birra Moretti e, mentre sgranocchia crocchette come fossero noccioline, decide di fare a socio del beveraggio col Capo che apprezza il gesto e comincia a sgranocchiare crocchette pure lui. Preferisce quelle verdi a forma di pesciolino.
Quando tutti i soccorritori se ne sono andati decide che è l’ora di scendere al bar del paese a farsi un buon espresso. Lo seguo.
“Anche questa è risolta!” commenta ad alta voce. “Due piccioni con una fava: fuori i cani e via il frataccio. Cosa vuoi di più, Tazza?”
“Andare finalmente in pensione.”
Quello sarà il mio prossimo obiettivo.

BARTOLOMEO raccoglie le confidenze del povero GNEO

martedì 25 febbraio 2014

VARIE ED EVENTUALI (tutto quello che si può rubare dal web)

CUCU'!

STALKING





PINELLA'S Saloon





E’ l’argomento unico di discussione nel mio salone di parrucchiera da qualche giorno.
Le voci, i pettegolezzi, le indiscrezioni si intrecciano tra una messa in piega e dei colpi di sole.
Lei è sulla bocca di tutte. Per qualcuna è l’eroina del riscatto delle gatte di Monte Malbe, per le invidiose è solo un pretesto per dar sfogo alle loro maldicenze.
Per l’Avvocato SERPOTTO è una causa da vincere.
Lei è la piccola GIGIA, la tenera, coccolosa, gioiosa gattina della Reggia.
Lui è MIKI, il Discolo della Reggia: il gatto che, col suo sguardo lacrimoso (alla Boldrini, per intenderci), riesce a coinvolgere anche il gatto più riottoso nei suoi folli giochi.
Ma non è come pensate!
L’Avvocato SERPOTTO ha riassunto in alcuni punti i capi di accusa.
1) La falsa cucciola, sfruttando la sua piccola taglia, barava spudoratamente sulla reale età anagrafica e arrivava al primo calore in maniera subdola, ingannando il Capo che credeva di poter aspettare ancora qualche settimana per procedere alla sua sterilizzazione.
2) Alla falsa piccola, scoperta in atteggiamenti inequivocabili, veniva giustamente revocato ogni tipo di  permesso per la  libera uscita e veniva, ancor più giustamente, relegata agli arresti domiciliari.
3) La falsa piccola trovava nell’ingenuo e indifeso MIKI il soggetto ideale per soddisfare le sue turpi voglie, senza considerare che il soggetto stesso era impossibilitato a soddisfarle in quanto, da tempo, sterilizzato.
4) Con la truffa e il raggiro l’imputata cercava, in tutte le maniere, di costringere il mio assistito all’atto sessuale, minacciandolo di distruggere i suoi giochi preferiti: paperella di gomma col fischietto in primis.
5) Il mio assistito, cedendo all'odioso ricatto, cercava di soddisfare, non riuscendoci, i desideri dell’imputata.
6) L’imputata, non soddisfatta dalla prestazione, continuava a ricattare il mio assistito minacciando ritorsioni di stile mafioso (incendio della cuccia).
7) L’imputata continuava per vari giorni a seguire ed importunare il mio assistito, costringendolo a chiedere asilo ai colleghi del garage.
Pertanto, trattandosi di lampante caso di stalking, chiedo a codesto Tribunale l’annullamento del ricorso contro gli arresti domiciliari presentato dall’imputata come misura cautelare per il mio assistito.
Chiedo inoltre la procedura di sterilizzazione d’urgenza dell’imputata da effettuarsi entro giorni 7 (sette) dalla presente richiesta.
Sembra che il Tribunale abbia accolto le richieste dell’Avvocato SERPOTTO, malgrado le rimostranze della delegazione di gatte femministe presente in aula e abbia ingiunto al Capo di attivarsi, con la massima solerzia, alla sterilizzazione dell’imputata.
Si reputa che stamattina la sentenza sia stata eseguita presso un non meglio specificato studio veterinario.
Sembra pure che, nella tarda mattinata, l’Avvocato SERPOTTO abbia presentato congruo avviso di parcella al suo assistito, il quale ha provveduto a citare il Capo per il mancato divertimento chiedendo allo stesso un risarcimento danni triplo rispetto alla parcella del suo avvocato.
Pare che il Capo, letta la citazione e l’ammontare del risarcimento richiestogli, abbia commentato: “Non credo che con questa cifra saresti capace di trovarti un nuovo alloggio… ”
Si racconta che la citazione sia stata ritirata dall’incauto MIKI.
Nel mio salone si racconta di tutto: soprattutto bugie e menzogne, anche se un fondo di verità c’è sempre.
Oggi GIGIA è stata sterilizzata e MIKI può tornare a scaldarsi vicino ai termosifoni della Reggia.

“Signora ROSINA ho pensato per lei un taglio che le starà benissimo! Si accomodi, prego!”


MIKI si da alla fuga

lunedì 24 febbraio 2014

VARIE ED EVENTUALI (tutto quello che si può rubare dal web)

OCCHI DI GATTO  -  1

IL SONDAGGIO LANGUE


Ragazzi, vi prego, partecipate al sondaggio: qua già girano voci di riduzione degli organici e cassa integrazione a 0 ore...
Non fate di me un prossimo disoccupato, tengo famiglia (le pulci) e sono nell'età critica, dove trovare una nuova occupazione sarebbe un miracolo.
Conto su di voi!

                                                               il Vostro PERONI

domenica 23 febbraio 2014

VARIE ED EVENTUALI (tutto quello che si può rubare dal web)

Ahh... 'ste donne! - 2

SCOPA E RAMAZZA





LA CUCCIA DEL CAPO





Glielo avevo promesso: la prima domenica col sole vengo su a fare un po’ di pulizie.
I lavori per il ripristino della recinzione sono andati per le lunghe, il tempo si è messo sul piovoso stabile ed abbondante e non ho potuto fare le pulizie di fondo all’interno della casetta per diverso tempo.
I gatti si lamentavano: “Guarda che schifo qua! Ma quando mai li toglierà questi pali rugginosi dalla nostra casetta? Ci ha preso per gatti rom?”
“Quasi, quasi chiamerei l’Ufficio d’Igiene e gli farei fare una bella multa!” aveva proposto PERONI.
“Bravo coglione!” lo aveva ripreso LIRA “Così torniamo dei senzatetto e quello ci taglia pure i viveri per pagare la multa!”
Ma stamattina, complice un pallido sole, ho assolto i miei doveri.
Con un pizzico di cattiveria e malignità.
Alle 9,00 li ho tirati giù tutti dalle brande e, dopo avergli preparato la colazione, ho cominciato a distribuire i compiti.
“Tu: comincia a raccogliere i piatti sporchi! Tu, invece, togli tutti i rametti caduti dallo spiazzo! EMILIA! Sposta le ciotole delle crocchette che lì devo pulire! Prendete i tappeti a terra e stendeteli al sole ad asciugare!”
In pochi minuti la Colonia si è spopolata.
Trovagli da lavorare e quelli sono capaci di emigrare in Groenlandia.
Nel silenzio del bosco ho cominciato a svuotare la casetta dalle cucce e pulire gli scaffali e il pavimento.
Mi è preso un coccolone quando da un cubo-cuccia è schizzata fuori OFELIA che ancora stava dormendo.
“Sei diventata sorda o hai fatto di nuovo le ore piccole?” l’ho rimproverata, mentre con gli occhi ancora chiusi dalle secrezioni notturne cercava di capire cosa stava succedendo.
“E’ la domenica della pulizie” le ho ricordato.
La gatta nera non si è scomposta; si è stirata e adagiata nuovamente dentro una delle cucce che avevo spostato all’esterno.
Dopo un’oretta avevo finito di ramazzare, passare lo straccio e cambiare le copertine sporche.
In due minuti sono ricomparsi, come d’incanto, una ventina di gatti a curiosare.
Controllo ed apprezzamento per il lavoro svolto, una rapida ricognizione per trovare la cuccia più comoda e sono tutti pronti per un altro giro di crocchette e bocconcini.
“Chi non lavora, non mangia!” ho ricordato “C’è ancora da pulire il tetto dagli aghi dei pini.”
Sono saliti in sei, malvolentieri, e maledicendo la Comunità Montana che anni addietro aveva piantato quegli inutili e dannosi alberi hanno ripulito il tetto e si sono presentati a riscuotere il compenso.
Altra scatoletta e busta di crocchette per saziare gli appetiti dei parassiti a quattro zampe.
Finalmente anch’io ho potuto godermi il meritato spuntino mattutino: sandwich con un po’ di porcherie dentro e un Pocket Coffee per ovviare all’assenza del caffè vero.
Ma le mandibole feline sono dieci volte più veloci di quelle umane e, dopo un paio di secondi, ho uno stuolo di mendicanti pelosi (falsi) affamati e desiderosi di condividere con me il MIO spuntino.
“Via bestiacce!” ho strillato, con tutto il mio amore per i randagi.
Ma la questua si è trasformata in assedio.
Al confronto Sebastopoli era una città aperta.
Ho dovuto cedere: l’orgoglio, l’autorità, la dignità e tre quarti di panino.
Ma il Pocket Coffee no!
Ringrazio la Natura che ha fatto i gatti insensibili al caffè e intolleranti al fumo.


PERONI e PINELLA sul tetto della casetta prima di iniziare le pulizie

sabato 22 febbraio 2014

VARIE ED EVENTUALI (tutto quello che si può rubare dal web)

AFFARE FATTO!

STORIA DELLA COLONIA





11 - LA MAMMA ADOTTIVA




Ma non c’è un attimo di riposo per il Capo.
Dopo una settimana viene scaricata in Colonia una gatta adulta, tigrata e… incinta!
“Non si può!” afferma il Capo, e tutti crediamo che, a breve, la Colonia si popolerà di una nuova nidiata di mostriciattoli pelosi.
Invece il Capo ingabbia CIACCIA, così era stata battezzata, e la porta a sterilizzare. La rivediamo dopo una settimana, con la pancia rasata e il morale sotto i piedi.
Ma la depressione le dura poco: il giorno dopo il Capo si trova sulle scalette della Colonia una scatola da scarpe con due micetti di 2-3 settimane di vita.
Stavolta è lui a partorire un’idea vincente: rinchiude dentro i nostri locali CIACCIA e i due piccoli sgorbi e succede quello tutti speravamo.
CIACCIA adotta i due piccoli allattandoli e facendo loro da mamma. Una mamma perfetta!
Quei due micetti furono decisamente fortunati: vennero allattati, svezzati e istruiti alla vita felina da CIACCIA.
Non solo! Furono pure adottati in coppia da una ragazza, di cui non ricordo il nome, come non ricordo il nome che il Capo aveva dato ai due piccoli.
CIACCIA la prende bene; ha assolto ai suoi doveri di mamma ed è giusto che i piccoli, oramai cresciuti, se ne vadano in giro per il mondo a fare le loro esperienze.
Può finalmente godersi la pensione senza il problema di trovare cibo, riparo e crescere altri cuccioli che avrebbe sfornato.
Ma la sua pensione dura poco, appena tre mesi. Viene uccisa da un cane lasciato libero di vagare sul piazzale del convento da un padrone idiota.
Inizia un periodo grigio per la Colonia, anche SMERALDONE comincia a stare male: la vecchiaia e la sua insufficienza renale cominciano a segnarlo sempre più.
Se ne sta le giornate intere al sole sui tavoli di cemento alzandosi frequentemente solo per andare a bere dal rubinetto della fontanella che perde un filo di acqua.
Gli tengo compagnia mentre sta disteso al sole e lui, come tutti i vecchi che ci stanno più poco con la testa, chiacchiera, parla di continuo e racconta vecchie storie ed aneddoti di quando era un giovincello in Colonia.

OFELIA alla Colonia Vecchia  - gennaio 2008 -

venerdì 21 febbraio 2014

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Il fascino del NERO - 1

UN GATTO EDUCATO





DIARIO DI BORDO





Ogni bella località o luogo ha i suoi villeggianti e spesso si tratta di orde barbariche che, fuori dal loro ambiente naturale, riescono ad infrangere ed ignorare ogni regola del vivere civile.
Anche noi abbiamo del turismo in Colonia.
Da tre anni ospitiamo un cliente fisso: TEMISTOCLE.
Un gattone grigio marmorizzato, intero e visibilmente di proprietà di qualche famiglia che abita nelle vicinanze.
Si affaccia in Colonia un paio di volte all’anno, in concomitanza delle sue scorribande sessuali, rimane alcuni giorni (solo per rifocillarsi e rimettersi in forze, per l’altra sua passione, come si dice “non c’è trippa per gatti”).
Si struscia alle gambe del Capo elemosinando un piattino di bocconcini (li preferisce al paté), qualche coccola umana, di cui sentirà la nostalgia poi, a panza piena, si ritira nella casetta dove ha la sua cuccia riservata.
Sa che può restare solo qualche giorno; il Capo lo ha avvertito: “Se ti fermi per un mese… zacchete!”
Ci tiene ai suoi attributi e alle sue fughe in cerca di facili avventure, ha capito l’antifona e ha anche capito come ci si deve comportare a casa d’altri. In pochi giorni ha assimilato tutte le regole della Colonia: fa i suoi bisogni fuori dalla recinzione, non attacca briga con nessuno di noi e -soprattutto- riconosce la mia autorità.
E’ anche gentile e premuroso. Ogni volta che viene si informa della salute dei presenti, chiede notizie di chi non trova più e fa amicizia con i nuovi arrivati.
Che dire: un gatto educato!

TEMISTOCLE - Il Villeggiante della Colonia

giovedì 20 febbraio 2014

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GATTI e cultura - 1

VECCHI, INDIMENTICATI AMICI

VIOLA

“Mai più!” aveva giurato il Capo, riscuotendo tutta la nostra approvazione.
Peccato che poi non fu capace di mantenere la promessa.
Si riferiva al fatto di accettare in Colonia gatti provenienti da altre colonie o da situazioni a rischio.
Nel 2012 avevamo già ospitato tre profughi, provenienti da tre contesti diversi. Dei nuovi arrivi quello che si era fermato di più in Colonia era rimasto circa trenta secondi. Come gli aprivano il trasportino uscivano a razzo e scappavano giù per il bosco, senza farsi rivedere più.
Il Capo si era stufato ed aveva cominciato a dire no ad altre richieste di ospitalità, con la disapprovazione di BARTOLOMEO che aveva imbastito un giro di scommesse clandestine sul tempo di permanenza in Colonia dei nuovi arrivati.
Ma un pomeriggio di ottobre si presentò una rappresentante della specie vivente più temuta dal Capo: le gattare. Raccontò la classica storia strappalacrime di morte, sevizie, torture e minacce della colonia gestita sottolineata dal fatto che, col nuovo lavoro, non avrebbe più potuto seguirla in maniera adeguata.
BARTOLOMEO aveva già dato il “NO gentile” a 1,03 e il “Vaffanculo tronca discussione” a 1,98.
Ma il Capo ci sorprese: accettò di ospitare 5 (cinque!) nuovi ospiti.
BARTOLOMEO andò quasi sul lastrico.
Il Capo, seduto sulla panchina, mentre si accendeva la sigaretta, mi spiegò il motivo della sua insolita decisione.
“Non lo faccio per i gatti” disse “tantomeno per quella scema: lo faccio solo ed esclusivamente per me. Conosco quella colonia, ogni mattina faccio un breve passeggiata lì davanti e l’anno scorso ho dovuto raccogliere i cadaveri di tre gattini stroncati da qualche malattia e poche settimane fa ce n’era uno spiaccicato sull’asfalto, proprio davanti al distributore di carburanti. Non posso continuare a rovinarmi le giornate così.”
Tutto questo preambolo per spiegare la situazione e “allungare il brodo”, come si dice: la storia di VIOLA alla Colonia potrebbe essere riassunta in poche righe. Troppo poche per un post degno di questo nome.
Giunse il giorno del trasloco, il 22 ottobre. La Scema arrivò in Colonia con tre trasportini. Il Capo già era perplesso.
“Due gatti non li ho trovati… ” si giustificò la gattara.
“Complimenti!” la risposta tagliente, segno che il Capo cominciava già a dare segni di intolleranza.
Dal primo trasportino schizzò fuori un gatto nero che, come un fulmine, attraversò la Colonia scomparendo nel bosco. Fu la prima e ultima volta che lo vedemmo.
Dal secondo uscì una cucciola tricolore scura, a pelo lungo; si spaventò subito e andò a rifugiarsi pure lei nel bosco.
Il terzo sfornò una gatta adulta, tigrata, tranquilla; cominciò ad annusare il posto e a curiosare. Mangiò pure dai nostri piatti e si lasciò accarezzare dal Capo il quale, però, aveva notato un particolare.
“Come mai la gatta non ha l’orecchio destro spuntato?”
La gattara lo guardò perplesso, senza rispondere.
“E’ sterilizzata?” replicò brutalmente.
“No!” rispose candida la scema “Non ho avuto mai il tempo di occuparmene.”
Lo sguardo del Capo le fece capire che era meglio togliere il disturbo e non farsi più vedere da quelle parti.
Così fu, per fortuna.
“Una su tre: abbiamo alzato la media!” il suo commento appena la deficiente ci aveva lasciati.
“Tu,” indicando la tigrata che aveva già un nome, PICCOLA “hai una settimana per ambientarti, poi ti risolverò un problema.”
Le ultime parole famose.
Il giorno successivo PICCOLA non si fece vedere, e neppure nei giorni seguenti. Per tutti era ritornata alla sua base.
Ma la bella tricolore a pelo lungo era rimasta nelle vicinanze, attratta dal cibo e dai giochi dei piccoli GUFINO e WAFER. Era schiva e ancora impaurita, ma era rimasta in Colonia.
Fu battezzata VIOLA.
Dopo pochi giorni, quando cominciava ad abituarsi alla presenza del Capo, e c’era una possibile adottante, sparì.
Mentre giocava con i due piccoli amici venne pizzicata da un’auto, scappando dolorante nel bosco.
Per tre giorni non la vedemmo, considerandola  ormai spacciata.
Il quarto giorno il Capo la trovò raggomitolata dentro una delle cucce esterne. Era una crosta di sangue e fango e visibilmente dolorante. Era tornata per chiedere aiuto. Fu adagiata nella gabbietta in dotazione alla Colonia e portata via con urgenza.
Fu l’ultima volta che la vedemmo.
I veterinari constatarono diverse fratture al bacino e la rottura dell’uretra e del retto con conseguente infiltrazione di feci sottocute.
Un disastro. Fu operata un paio di volte e la pelle necrotizzata le fu asportata.  
Da una splendida tricolore era diventata una specie di decrepita mummia.
Dopo due settimane di ricovero già si preparava la sua nuova cuccia alla Reggia.
Ma la sfortuna si accanì ancora contro la piccola VIOLA.
Una banale gastroenterite, ma letale per un fisico già troppo provato, se la portò via in 24 ore. Era il 13 novembre 2012.
Anche se la splendida VIOLA  ha trascorso solo sette giorni alla Colonia la consideriamo a tutti gli effetti una vecchia, indimenticata e sfortunata amica.

L'unica foto della piccola VIOLA

mercoledì 19 febbraio 2014

Per non farci mancare nulla... (bis)

... SAILA, la Malignetta storpiarella della Reggia, ha dovuto ricorrere alle cure dei veterinari per una lesione ai tendini della zampa già offesa.
Mi consolo: pensavo avesse un problema peggiore.

DIARIO DI BORDO





SANTA MAZZETTA DA DUECHILI





Il Capo ci ha lavorato sodo: ha rimosso i tre pini che erano precipitati nella Colonia e ha ripristinato la nuova recinzione metallica.
Ha raddrizzato la contorta rete elettrosaldata, che il Trafficone BARTOLOMEO cercava di vendere ai visitatori, spacciandola per un’opera di Burri, e ha piantato cinque nuovi pali metallici di sostegno.
“Ringraziate questi pali se ancora siete vivi e con un tetto sulla testa!” ci ha comunicato “Anzi: ringraziate questa che li ha piantati tanto profondi da reggere le due-tre tonnellate di peso di quelle piantacce!”
E ci ha mostrato la sua fedelissima mazzetta da due chili con la quale, a suon di martellate e moccoli ha infilzato in terra per un metro i tondini e i pali di acciaio.
“Santa Mazzetta da Duechili! La Santa protettrice della Colonia!” ha esclamato.
Subito la TARTARUGHINA (nome originario AMBRA), la Bigotta della Colonia, si è prostrata a terra e ha cominciato a pregare sgranando il suo rosario fatto di castagne e crocchette da cane.
Finite le litanie ha fatto una richiesta a WAFER, il Tuttofare della Colonia: “Bisogna organizzare un piccolo altare!”
“Un altare? In Colonia?”
“Certo!” ha risposto “Un altare o un’edicola sacra dove esporre al pubblico la reliquia.”
“Che reliquia?”
“La Santa Mazzetta da Duechili! Mica la vorrai lasciare dentro la cassetta degli attrezzi? Poi… ci vogliono pure un paio di panche, qualche inginocchiatoio e una mensola per reggere i ceri che i fedeli accenderanno.”
WAFER ha annuito, per accontentare la sua esplosiva crisi mistica, ed è venuto a riferirmi il tutto.
“E’ pazza” ha commentato “Immagina il Capo che arriva in Colonia e trova quattro vecchi inginocchiati che stanno a pregare davanti alla sua mazzetta da muratore.”
“Non solo” gli ho risposto “pensa all’azione legale che ci farebbero i frati del convento per concorrenza sleale.”
Ci ho pensato sopra, mentre univo i puntini da 1 a 38 nella Settimana Enigmistica, e ho cercato di trovare un compromesso.
“Pianta un chiodo al pino a fianco del cancello della Colonia e appendicela.”
“La TARTARUGHINA?”
“No, coglione: la mazzetta! Chi vuol venire a pregarla sta fuori dalla Colonia e dalle palle. Se i frati dicessero qualcosa faremo finta di non sapere nulla.”
“Ottima idea!” concorda WAFER, e si arma di robusti chiodi e martello.
Quattro martellate (e sei moccoli per emulare il Capo) e la Santa Mazzetta da Duechili è appesa al pino gigante all’ingresso della Colonia.
La TARTARUGHINA non è pienamente soddisfatta, ma non si lamenta. Si mette subito all’opera per evidenziare la novella Santa circondando il pino con strisce bianche e rosse da cantiere e un paio di lumi rossi da impalcatura che INTREPIDO aveva fregato ai muratori durante il recente restauro del convento.
Come tocco finale prende il secchio di plastica delle crocchette, lo svuota e ci depone dei fiori (sempre rubati da INTREPIDO all’ultimo matrimonio).
“Perfetto!” mormora tra se. Poi riprende il rosario, un paio di preghiere e se ne torna a dormire nel convento.
“Che faccio?” domanda WAFER “Smonto tutto, ora?”
“Lascia stare” rispondo “Anche le luci: lasciale accese. Serviranno quando la notte mi sveglio a fare il bisognino.”
Infatti, la notte stessa, il rumore dell’istrice ODOACRE che viene regolarmente a cenare con la sua famiglia con le nostre crocchette mi sveglia e, malvolentieri, sono costretto ad alzarmi per espletare il bisognino notturno.
Saluto ODOACRE, la moglie e il figlioletto, espleto la funzione fisiologica e torno nella casetta, al caldo della mia cuccia.
La mattina presto (troppo presto) sento delle grida disperate fuori dalla Colonia.
Sono costretto ad alzarmi, insieme agli altri colleghi.
“Sacrilegio! Blasfemia! Profanazione!” E’ la TARTARUGHINA, con i primi pellegrini accorsi a pregare Santa Mazzetta che urla e si dispera davanti al pino gigante.
La raggiungo e vedo le strisce bianche e rosse strappate che penzolano dai rami come stelle filanti, i lumi spenti e caduti a terra, il secchio rovesciato e i fiori fatti a pezzi con i petali mancanti.
La TARTARUGHINA intona un Padre Nostro, seguita dai pellegrini e ORFEO mi si avvicina mostrandomi un aculeo con la zampa.
“ODOACRE…” sussurra “avrà creduto che fosse un nuovo buffet e s’è mangiato tutti i fiori. Il piccolo dovrebbe aver giocato con le strisce di plastica.”
Ma la (Santa) Mazzetta è sempre lì, appesa al suo chiodo.
“TARTARUGHINA” le dico prendendola da parte “questo è un segno divino. Qualcuno lassù vuole che Santa Mazzetta da Duechili continui a fare il lavoro per cui è stata creata: piantare pali per proteggerci dai pini che cadono a terra. Non puoi andare contro la volontà divina. Ora la faccio togliere dal chiodo e la rimettiamo, con tutte le attenzioni del caso, dentro alla cassetta degli attrezzi. Tu torna in convento e portati via questi pellegrini. Quando verrà il momento dell’esposizione e delle processioni Lui ce lo farà sapere.”
TARTARUGHINA abbozza e, pregando, torna verso il convento con i suoi seguaci erranti.
La mazzetta torna al suo posto, le macerie del banchetto degli istrici vengono rimosse e, finalmente, posso tornare alla mia Settimana Enigmistica per dimenticare questo momento di follia.
10 verticale: la intascano i corrotti, 8 lettere, M…


La TARTARUGHINA ai piedi del pino gigante