12 - SMERALDONE RACCONTA
SMERALDONE è un fiume in piena: parla, parla e narra dei
suoi anni vissuti alla Colonia.
Come i vecchi torna ai tempi della gioventù e racconta la
stessa storia dieci volte, ogni volta arricchendola con un nuovo particolare ma
senza contraddirsi mai.
Sono i suoi anni migliori passati da randagio alla Colonia
felina di Monte Malbe, che ancora Colonia non era: era solo un gruppo di gatti
randagi pulciosi, denutriti ed ammalati, dimenticati da Dio ma non da qualche
umano pietoso.
Mi racconta delle varie gattare e gattari che si sono
succeduti negli anni. Del padre del grande professore ospedaliero, della
vecchietta che arrivava con la sua gallina, di un ometto che, poi, i figli
hanno fatto interdire e rinchiuso in ospizio e di Umberto.
Umberto, l’autista del padre del luminare medico, che da
tanti anni continua a venire a rifocillarci e ha visto crescere e morire intere
generazioni di gatti alla Colonia.
SMERALDONE racconta di non essere nato qua: ci è stato
abbandonato da piccolo e BERENICE e la
MICIA, che erano già adulte l’hanno protetto e aiutato a crescere insieme ai
loro piccoli.
Domando dei loro piccoli, ma non ci sono più. Nessuno.
Nessuno è sopravvissuto ai duri inverni della collina e alle malattie che,
puntualmente, si presentavano. Nessuno era vaccinato. Non conoscevano la
tortura dell’antipulci e se ti ammalavi dovevi solo sperare di resistere al
morbo e non uscirne troppo malconcio.
Mi racconta dei suoi amori. Allora nessuno era sterilizzato
e, durante la stagione degli amori, arrivavano anche gatti da altre parti per
gettare il loro seme e far nascere altri piccoli disgraziati.
Mi racconta delle sue gatte. Da quando era diventato
Capocolonia aveva ereditato anche un privilegio di stampo medievale. Ogni gatta
della Colonia si doveva accoppiare con lui.
Poi è arrivata ALALA’, la sua compagna di vita.
Una micina nera ed educata che avevano scaricato da qualche
famiglia della città.
Un fiore in mezzo al deserto.
Sono tanti anni che fanno coppia fissa e, prima di essere
sterilizzati da una nuova giovane gattara, hanno messo al mondo diversi
figlioletti. Tutti morti, di malattia, di stenti o per i pericoli del posto.
Solo SMERALDINA è sopravvissuta, anche se non gode di buona salute. Ecco perché
preferisce vivere dentro ai locali del convento.
Racconta e fa i nomi di tanti gatti che non ho conosciuto
ma, talvolta, sentito nominare anche dagli altri colleghi. Mi racconta la
storia dei gatti della Colonia, di quelli che sono arrivati dopo di lui.
Racconta… racconta… racconta…
Un pomeriggio, stesi al sole sul tavolino di cemento, mentre rievoca un episodio accaduto diversi anni prima (e che mi ha già narrato
almeno tre volte) si blocca. Rimane silenzioso ed alza la testa guardando uno
dei buchi della recinzione che divide il giardino dal campo.
“E’ tornato" mi dice “Fai molta attenzione a lui. E’
grosso, prepotente e odia tutti noi. Non ti fidare di lui. Lui viene per
occupare il nostro posto.”
Mi volto e noto un gatto tigrato. Enorme. Le orecchie
spuntate da mille battaglie e non dai dottori della ASL. Non è sterilizzato. Si
muove lentamente ma con maestosità.
“Chi è?” domando.
“ARDITO. Così lo ha chiamato il Capo. Fa vita da nomade e
viene solo quando ha bisogno di rifocillarsi e a controllare la situazione. Per
tanti anni l’ho contrastato, ma ora non sarei più in grado di difendere la
Colonia da lui.”
“E allora?” domando ancora.
“Allora tocca a te. Attento alla sua zampa sinistra: è
mancino.”
“E’ anche il triplo di me!”
“Vai tranquillo: non è il tipo che rischia il combattimento
con un gatto giovane e agile. Fai solo vedere che non lo temi.”
“Perché proprio io?”
“Un giorno sarai il nuovo Capocolonia: è ora che cominci ad
imparare il mestiere.”
La Colonia comincia a popolarsi di piccoli - Ottobre 2007 - |
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