sabato 20 dicembre 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO





VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
19a puntata




- Ragazzi, oggi state attenti: questo è un capitolo decisivo! – comunico ai numerosi presenti prima di iniziare la lettura.
Noto subito un clima di estremo interesse.

23

Controllo il contenuto della busta indirizzata allo studio notarile estero. Silvia non l’ha ancora chiusa e ci ha lasciato vicino la sua agenda dove ha scritto, verosimilmente, tutta la notte. Do una sbirciata al poema ma la calligrafia è minuta, alcuni termini sconosciuti e non vorrei che Silvia, svegliandosi, mi peschi con le dita dentro al vaso della marmellata. Soprassiedo. Poi ci ripenso. Dopo appena tre pagine lette con fatica rinuncio. Vado a svegliare la bella addormentata con un caffè bollente. Le buone azioni sono sempre ripagate. Dopo il caffè decide di trastullarsi alcuni minuti con il Prode Anselmo, che sentitamente ringrazia con qualche fuoco d’artificio.
Alle 9 in punto siamo al supermercato di Borgo San Lorenzo. Silvia si avvicina ad un uomo che non conosco e ci scambia 2 parole che non comprendo.
-Immortalate?-
-Un intero rullino. Da quando sono scese dalla loro automobile.-
-Anche la targa?-
-Certo.-
-Perfetto.-
La vedo prendere dalla mano dello sconosciuto un rullino fotografico, di quelli che si usavano quando ancora le macchine fotografiche non avevano bisogno di un computer. Lo inserisce dentro la busta che sigilla e contrassegna con una firma sul bordo di chiusura. La mano dello sconosciuto rimane protesa e riceve un fascio di carte da 50 Euro.
Perplesso mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di Serena che ha notato lo scambio di denaro.
Poi Silvia passa la busta ad una guardia giurata che sta aspettando vicino ad una cassa. Il vigilantes le porge un blocco, Silvia lo firma e riceve un foglio in cambio. Altro passaggio di mano di diverse banconote da 50 Euro. La guardia giurata saluta e se ne va.
Mi volto verso Serena: sta ancora osservando attentamente quegli strani movimenti vicino alla cassa.
Le faccio un cenno di saluto, mi risponde con uno sguardo cupo, quasi di rimprovero.
Finito di elargire soldi a destra e manca Silvia mi richiama all’ordine.
-Sbrigati! Siamo in ritardo.-
-Per cosa?-
-Abbiamo un appuntamento.-
-Con chi?-
-Con chi è pagato per farci la pelle.-
-E noi… ci andiamo?- faccio sorpreso.
-Certo, caro! Si va a vincere questa partita. Su, veloce!-
Mentre siamo in auto la vedo armeggiare col telefonino.
-Buongiorno, Ottavio! Tutto a posto, grazie. Come sempre sei affidabile e prezioso. Assicurati del buon esito della consegna. Alle 13 sono all’aeroporto. Ci vediamo là.-
Fa una seconda telefonata.
-Scusate il ritardo ma abbiamo trovato traffico. Tra 10 minuti vi raggiungiamo.-
-Sicura di quello che stai facendo?- le domando.
-Zitto e guida.-
Arriviamo al Gran Caffè Leone alle 9 e mezza. Non c’è posto per parcheggiare la Land.
-Lasciala là.-, Silvia mi indica un posto per disabili vuoto.
-Non si può-  ribatto.
-Mettila là e non ti preoccupare- replica.
-La multa la paghi tu!-
Entriamo nel lussuoso bar e ci accomodiamo in una saletta.
Silvia lancia un sorriso delizioso e saluta: -Buongiorno. Scusate il ritardo.-
Faccio per salutare pure io ma rimango a bocca aperta, come una bambola gonfiabile.
Alla fine riesco a farfugliare: -Buongiorno, fanciulle!-
-Buongiorno a te, Giorgio- risponde Agata.
-Le conosci?- mi investe Silvia con lo sguardo di fuoco.
-Certo! La carabiniera e la forestale: mi hanno fatto da angeli custodi, nelle ultime 48 ore.-
-Ahhh!- prosegue Silvia. –Già vi siete calate nella parte?-
Francesca le risponde con uno sguardo perplesso.
-Allora,- ancora Silvia accomodandosi sulla sedia –questo è quello che volevate- appoggia la busta gialla sul tavolino. –Ma c’è un piccolo cambiamento.-
Francesca, mentre afferra la busta: -Quale cambiamento?-
-Punto 1: alcune foto e documenti originali me li sono trattenuti. Punto 2: là dentro troverete solo un distintivo. Uno va a fare compagnia alle foto e ai documenti.-
-Non erano questi i patti-, interviene Francesca. –Noi vogliamo tutto.-
-Le foto, il distintivo, una copia del cd di Ardenzi e un memoriale scritto di mio pugno su quanto successo a San Gerolamo nel 1944 sono in viaggio per l’estero. Saranno custoditi da una mia persona di fiducia che, nel caso in cui succedesse uno strano incidente che coinvolga me o Giorgio, è autorizzata a diffonderlo alle maggiori agenzie stampa del pianeta.-
-Non possiamo accettare questo!- replica ancora Francesca.
-Sicuro?- la interroga Silvia. –Provi a sentire cosa ne pensano a Roma. Intanto ci prendiamo un caffè. Me lo può ordinare, signorina?- fa rivolgendosi ad Agata.
Francesca si allontana da noi col telefonino in mano. La vedo parlare mentre si nasconde la bocca con una mano.
Bevo il caffè e lancio uno sguardo alla Land scostando una tenda della vetrata.
-Cazzo, i vigili!-
Faccio per alzarmi ma Silvia mi blocca.
-Rimani seduto: ci pensa lei- indicando Agata.
Francesca ha terminato la sua telefonata. Fa un cenno ad Agata che si allontana ed esce dal locale.
Sbircio dalla vetrata per vedere cosa succede. Agata interrompe il lavoro della vigilessa mostrandole un distintivo e dicendole qualcosa. Il tutto funziona, la vigilessa ripone il blocco delle multe dentro al borsello e se ne va.
Appena torna nel locale e si siede al tavolo Silvia detta le sue condizioni.
-I nuovi accordi sono questi: manterrò il più assoluto riserbo sulla faccenda solo nel caso che non vengano fatte pressioni o minacce a nessuno di noi 2. Non voglio altro. Del materiale fa parte anche un intero rullino fotografico che vi ritrae mentre arrivate qua e ci state aspettando. Questo per informarvi che non siete esenti da pericoli.-
Francesca è costretta ad alzarsi ancora dalla sedia e fare un’altra telefonata. Questa dura qualche minuto in più della prima.
-A Roma dicono che si può trattare- ci informa, raggiungendoci al tavolo.
-A Roma non hanno capito un cazzo- la secca risposta di Silvia. –L’unica che posso trattare sono io. E non certo con Roma, ma con chi sanno.-
Altra telefonata. Altra attesa. Altro caffè. Mi rompo le palle ed esco dal locale per fumare una sigaretta. Noto una cosa strana. Ben 3 auto sono parcheggiate con qualcuno a bordo tra il viale e la piazza dove si trova il bar. Un solitario occupante di una di queste auto fa finta di leggere il giornale. Faccio 2 passi e, fermandomi a una vetrina di un negozio di scarpe, dal riflesso noto che mi sta osservando.
Quando rientro nel locale trovo le 3 donne che stanno discutendo tra loro, ma in maniera pacata.
-Fatto tutto!- mi informa Silvia.
-Mi aiuta col soprabito?- chiede ad Agata che, molto gentilmente, la assiste ad indossarlo e glielo accomoda sul collo e sul davanti, ritirando su il foulard.
Mi sembra di stare in un negozio di abbigliamento.
Silvia la ringrazia con il suo magnifico sorriso e ci dirigiamo verso l’uscita.
Ultima botta da vera signora: Silvia paga tutte le consumazioni e saluta educatamente.
-Ciao, belle!- mi adeguo.
In auto ritorna del solito umore premestruale.
-Buongiorno, fanciulle! Ciao, belle! Ma hai capito che quelle stavano per dare l’ordine di ammazzarci!-
-Veramente non ci ho capito un cazzo di quello che sta succedendo.-
-Meglio così. Comunque la devi smettere di fare il cascamorto con tutte!-
-Io?-
-Tu. Ho visto come guardavi la Francesca, non ci provare…-
-Ti assicuro che…-
-Invece la biondina la dobbiamo invitare , una sera.-
-Perché?-
-Non ti sei accorto della palpata che ha dato alle mie tette? A quella piace fare il maschietto.-
-Mah…-
Non vedo l’ora di scaricarla all’aeroporto.
Il telefonino la avvisa che è arrivato un messaggio.
Lo legge e la vedo sorridere (finalmente).
-Cosa succede?-
-Nuovo caso in arrivo. Cliente danaroso.-
-Chi  ha ucciso?-
-Idiota…- e ritorna del solito umore cupo. –Comunque-, prosegue, -tutto si è svolto secondo i miei programmi. Ora solo tu hai un compito. E lo devi assolvere.-
-Cioè?-
-Dimenticare tutto. Cancellare ogni traccia dalla tua mente di questa storia. Tu non hai trovato le monete romane e nulla è successo. Sono scomparse anche le uniche prove materiali.-
-Dimentichi Ardenzi e il Maestro.-
-Il Maestro è un malato terminale, poi conosce solo una parte della storia: quella non pericolosa. Ardenzi ce l’hanno “loro”. Non credo sia arrivato in carcere vivo.-
-E tu?-
-Io ho già dimenticato tutto- replica con il piglio di una zitella acida.
?
Accendo Random: il lettore cd, unico lusso concessomi nella Land, per farmi un po’ di sana compagnia.
Mentre Frenki Ai Energi (o qualcosa del genere) sta cantando la sua “Quelli che ben pensano” l’incazzata mi investe.
-Ma che musica di merda ascolti?-
-La musica che mi piace. Nella mia auto. Perché la prossima settimana non ti prendi un po’ di ferie e vai a sciare?-
Si irrigidisce.
-Non mi piace sciare. Cosa significa?-
-Vorrei starmene un po’ da solo.-
-Giorgio… cosa succede?-
Random, che ha il vizio di farti ascoltare le canzoni registrate scegliendole a cazzo e non secondo l’ordine di posizione, comincia a diffondere “Miss Sarajevo”.
E’ uno di quei brani che vanno ascoltati in religioso silenzio, anche Silvia lo sa. E tace, sfruttando quei preziosi minuti per imbastire l’arringa di difesa.
Ma Random è perfido, maligno e alleato del sottoscritto. Terminate le note del capolavoro lancia un micidiale siluro, come un U-Boot tedesco nell’Oceano Atlantico: Franco Battiato e la sua versione di “Insieme a te non ci sto più”.
-Insieme  a te non ci sto più
guardo le nuvole lassù
cercavo in te la tenerezza che non ho
la comprensione che non so
trovare in questo mondo stupido.
Vedo la petroliera inglese incassare il colpo e vacillare.
Quella persona non sei più
quella persona non sei tu…-
La petroliera sbanda vistosamente. Il timone non risponde. Imbarca acqua e perde lacrime dagli occhi.
-… io cerco boschi per me
e vallate col sole più caldo di te…-
Comincia ad affondare e lancia il suo disperato My Day.
-Giorgio… non essere precipitoso… ne dobbiamo parlare con calma…-
Risponde per me Franco Battiato.
-Arrivederci amore ciao
le nubi sono già più in là
finisce qua
chi se ne va che male fa.-
-Giorgio… abbiamo tempo. Ora rilassiamoci: abbiamo passato una brutta esperienza.-
Parcheggio al piazzale dell’aeroporto e le prendo la valigia senza proferire parola.
-Giorgio… -
Oramai l’acqua ha allagato la sala macchine e l’incendio scoppiato ha avvolto la petroliera che si è inclinata.
-Giorgio…-
La nave si spezza in 2 appena superato il cek-in la barriera col metaldetector.
La saluto facendole “ciao, ciao” con la manina.
Sulla superficie dell’acqua rimangono una grossa chiazza di petrolio e alcuni rottami.
Passo al bar a farmi di caffeina per alleggerire la tensione.
Il caffè fa più schifo di quello liofilizzato.
Appena fuori dal fabbricato accendo una sigaretta e comincio a riflettere sulla mia situazione.
-Basta! E’ ora di cambiare vita!- dico tra me.
E lo comincio spegnendo la sigaretta appena accesa a terra, sotto gli occhi severi di un addetto alla pulizie. Sorrido imbarazzato e al primo cestino che incontro ci getto tutto il pacchetto. Salvo solo l’accendino, che può sempre servire. Mentre lo infilo in una delle diecimila tasche del mio gilet sento uno strano bozzo. Lo prendo e tiro fuori la scatolina verde con l’anello etrusco che volevo regalare a Silvia.
-Azz! Mi sono dimenticato…-
Poi, ripensandoci, credo che non abbia senso regalare un anello a una che hai mollato un attimo prima.
Me lo tengo.
Ma un campanello mi suona dentro la scatola cranica.
E’ una pesante prova di tutta la faccenda che ha incasinato la mia vita negli ultimi tempi. Non so quanto sia igienico conservarlo. Butto l’occhio al cestino dove ho gettato le sigarette ma decido che dopo 2000 e passa anni l’anello non merita quella fine. Cerco di organizzare un pensiero su come risolvere il problema. Torno al cestino, tiro fuori il pacchetto di sigarette gettato dentro tra lo sguardo schifato di una coppia di uomini d’affari con la loro valigetta in mano. Ne accendo una e aspetto l’azione miracolosa della nicotina, che puntualmente arriva.
Ho la soluzione!
“Salto in auto e parto, dirigo verso te…” direbbe Lucio Battisti.
Viaggio verso Borgo San Lorenzo, parcheggio ed entro nel supermercato. Cerco con lo sguardo Serena, ma è lei che mi trova per prima e fa segno con l’indice sinistro di avvicinarmi. Non sembra molto contenta di vedermi.
Pensare che l’ho fatta assumere io…
L’avevo notata che era una ragazzina, a Borgo San Lorenzo. E lei aveva notato me. Ci studiavamo con lo sguardo ogni volta che ci incontravamo. Ma lei era timida e io imbranato: finì in un nulla di fatto. Anni dopo me la ritrovai nella tana del lupo, al supermercato. Mio padre stava facendo una selezione per del nuovo personale, io ero in libera uscita e passavo a fargli un saluto; oramai ero diventato cittadino perugino. La vidi lì, sempre timida e impacciata, in compagnia dei genitori a parlare con mio padre. Secondo gli standard del babbo Serena era troppo minuta per fare quel tipo di lavoro. Lui le voleva alte e ben piantate, più erano robuste e più sopportavano la fatica. Notai negli occhi di papà il classico disinteresse alla proposta di assunzione. Lo chiamai in disparte e gli dissi 4 semplici parole che lo stupirono.
-Assumila. E’ l’unica che è venuta con i genitori invece che con la minigonna. Quella è una ragazza seria.-
Mi raccontò poi Aldo, l’amministratore delegato della società dei supermercati, che mio padre rimase sorpreso dal mio intervento.
-Le prime parole sensate da quando è nato- fu il suo commento.
Serena fu assunta. Ora ha fatto carriera, da cassiera è diventata responsabile di supermercato.
Lo sapevo che era in gamba!
Ma quella mattina non era in vena di ringraziamenti.
-Cosa combinavate stamattina?- mi chiede.
-Silvia doveva sistemare alcune cose…- mi giustifico.
-Ho visto passare di mano bei soldoni.-
-E’ una donna generosa.-
-La prossima volta fate i vostri maneggi fuori dal supermercato. Capito?-
-Non credo che questo problema si riproponga.-
-Bravo- conclude e si allontana.
Poi si blocca e, girata verso me: -Cosa significa?-
-Che… che… ho preso una decisione.-
-Cioè?-
-L’ho mandata a ca… Ho chiuso con lei.-
Serena mi scruta in silenzio, per un lungo ed interminabile minuto. Poi chiede: -Come mai sei qua?-
Estraggo dalla tasca la scatolina verde e gliela porgo.
-E’ solo un attestato di stima, non farti illusioni.-
Prende la scatolina e si avvia verso il suo box. La seguo. Quando la apre vedo il suo viso pietrificarsi.
-Non è una proposta di matrimonio- tendo a precisarle.
-Era ora- il suo commento lapidario.
-Cosa, era ora? Che la lasciavo oppure…-
-Tutte e 2. Stasera sei libero?-
-Per fare?-
-Te lo spiego a casa tua- chiarisce (anche troppo). –Porto 2 pizze e la birra, ma arriverò tardi: stacco alle 20.-
Torno al parcheggio con uno strano stato d’animo. Non so se essere contento della pronta sostituzione o se, forse, fosse stato meglio aspettare un po’. Almeno un paio di giorni.
Ripenso alla canzone cantata da Battiato.
-… io cerco boschi per me
e vallate col sole più caldo di te…-
E sì! Boschi… verdi vallate dove cercare col metal mentre Pogo scorrazza liberamente rompendo i coglioni a tutti gli animali che vede…
Vorrei tornare al valico sopra San Gerolamo, dove tutto è cominciato.
In una bella e soleggiata mattina, magari.
Ma forse era destino che dovesse andare così…
Chissà cosa ne pensa Pogo.
Mi risponde la maniglia dello sportello della Land quando la tiro per aprirlo.
-CLANGH!-
Mancano solo poche pagine e ancora non ho scoperto nulla. Mi sa che ho preso una fregatura: dovrò buttare fuori dal convento i gatti a calci nel culo.
Stacco per un caffè e una sigaretta.
Ultima tirata prima della cena.
Almeno fosse soddisfacente quella…
Morto un Papa se ne fa un altro, dice il proverbio. Mi imbarco in questa nuova avventura e capisco subito di essermi complicato terribilmente la vita. Non perché Serena mi opprima o sia troppo possessiva, o perché abbiamo due stili di vita completamente diversi. Lei è una quasi cittadina, io un rude uomo delle foreste, quasi un troglodita, agli occhi di molti. Lei è di umili origini, io mi ritrovo con un pacco di soldi e senza il bisogno di lavorare per mantenermi. Per contro, Serena è una donna estremamente semplice e pratica, come me. E questa affinità sarà l’arma vincente, me lo sento.
Il problema è un altro, anzi 2: Silvia e Domiziana. Silvia che continua a telefonare e, ogni tanto, scende a Perugia, da Domi, e passa a trovarmi a Carpaneta. Cerco di essere corretto ed avviso sempre della sua visita Serena che, con qualche timore, cerca di non intromettersi. Domi, invece, malgrado sia a conoscenza della nuova situazione sentimentale del sottoscritto, continua imperterrita nelle sue incursioni serali infrasettimanali, sola o con amiche dotate al seguito.
Ho paura che prima o poi qualcuno scopra quello che non dovrebbe.
Lo vorrei tanto anche io…
       Serena sospetta qualche cosa, ma non conosce Domi; farò di tutto per evitare che si incontrino. Si limita a cercare di essere il più presente possibile nella mia vita: non mi dispiace.
La sera, spesso, viene a cena a Carpaneta e rimane a dormire con me. Dopo cena scatena i suoi bestiali istinti col televisore che ho nel salone. Stravaccata sul divano pratica il suo sport preferito: lo zapping televisivo. La cosa mi infastidisce ma, avendo una parte di coscienza lercia, tollero l’abuso dell’odiato e inutile elettrodomestico e le faccio compagnia seduto alla scrivania a navigare nella rete.
E’ una di queste sere che succede tutto.
Sono quasi le 10 (22 italiane) quando Serena mi chiede qualcosa da bere. Vado in cucina e le verso un chinotto nel bicchiere. Per me un altro caffè, bello corto (in Italia si dice ristretto), amaro e con una goccia di Varnelli.
Quando torno nel salone col vassoio in mano alla tv c’è Lucarelli, con il suo solito tono grave, che parla di uno dei tanti misteri d’Italia.
“… e questa è una delle sue rarissime immagini fotografiche, scattata molti anni fa. Il Grande Vecchio, colui che ha guidato da dietro le quinte la nostra nazione dagli anni 60 in poi, non amava farsi vedere o fotografare in pubblico…”
Volgo lo sguardo al video mentre appoggio il vassoio sul tavolino vicino al divano.
Lo vedo.
E’ lui! E’ lei!
La foto col signore distinto che esce dall’automobile.
Come un pugno ricevuto nello stomaco.
Mi cade il vassoio dalle mani, finendo a terra.
Un sapore acido di vomito mi sale dall’esofago.
Barcollo e appoggio un ginocchio a terra.
-Oddio, Giorgio! Cosa succede?- sento gridare Serena.
-Nulla… nulla…- riesco a biascicare.
-Sei pallido, bianchissimo-, aggiunge. –sembra che hai visto un fantasma.-
-L’ho visto-, dico raccogliendo i cocci a terra. –Spengi la tele, per favore. Vado a riprenderti da bere.-
-CLANGH!-

Dopo una decina di giorni ricevo a casa un pacchetto. Lo apro. Un biglietto mi comunica che il Maestro è morto e aveva espresso il desiderio di farmi avere il piccolo album fotografico che tengo in mano. Scorro le fotografie: sono quelle che ha scattato tanti anni prima alla colonia felina di Borgo San Lorenzo.
Sento scendermi sulle labbra delle lacrime salate. Non so bene il perché. Forse l’aver rivisto tanti mici che ora non ci sono più.
O, forse, per il sapere di essere l’unico depositario di una storia maledetta. L’unico a sapere che chi ha veramente gestito lo Stato negli ultimi 40 anni è solo un pazzo criminale, massacratore di donne e vecchi.
Sì! Sono il solo a saperlo e poterlo dimostrare.
Silvia lo sa, ma non ha un cazzo in mano.
Il notaio di Vaduz non sa della storia e in mano ha solo un rullino fotografico, una busta con dei fogli bianchi, un cd con foto pornografiche e una memoria di un’avvocatessa impazzita.
La mattina ho sostituito il contenuto originale della busta con del ciarpame. Non mi piace essere considerato un idiota e non venire messo a conoscenza di cose che mi riguardano.
Se ce ne fosse bisogno, tutto il materiale è murato dentro la nicchia che si scorge sopra al plastico del trenino. Dove ho trovato la pistola e il coltello col manico d’avorio durante i restauri di Carpaneta.
Oh cazzo…
Di Fausto Ardenzi non ho avuto più notizie.
Prima di Natale mi è arriva una busta dal Kenia. E’ della Don Nello Benizzi Foundation. Contiene un calendario, un opuscolo illustrativo delle opere compiute nell’anno in corso e quelle da compiere in futuro. Ci sono pure le informazioni per effettuare un’offerta.
La sera stessa 2000 Euro prendono la via telematica per il Kenia.

E’ finito.
Rimango in stato di semiebetismo per qualche minuto. Qualcosa dentro me dice di fare sparire quel diario. Per sempre. L’istinto di sopravvivenza consiglia di conservarlo e, magari, aggiungere quello che mi è accaduto quasi tre anni fa. In ogni caso me lo metto in tasca. Lo baratterò con la permanenza dei gatti al convento; non può rimanere qua. Come Serena l’ha fatto leggere a me può farlo leggere a chiunque. Poi lei ha anche le prove di quello che è accaduto nel giugno del 1944 qua intorno.
Aveva ragione Carmen: sono stati i “nostri” a fare le pulizie grosse
Sento Serena chiamarmi dalla cucina: la cena è pronta.
Ci sediamo a tavola e cominciamo a mangiare delle bruschette condite con varie salse.
-Allora? mi chiede.
-Hai una cosa troppo pericolosa in mano, - le rispondo. -La verità su dei fatti che sono costate troppe vite umane. E che, probabilmente, ne costeranno ancora.
-Ne sono certa. Ma non era questo che volevo sapere da te.
-E cosa?
-Giorgio. L’hai riabilitato?
-Sì. Mi è sembrata una persona genuina, forse un po’ sprovveduta, ma ci sono ancora troppi aspetti della sua personalità che devono essere chiariti. Comunque Giorgio non mi interessa più. Lui è capitato per caso in quella storia.
-Interessa a me, però, - replica. -Dimmi quali sono gli aspetti poco chiari.
A lei interessa solo la reputazione di Giorgio. E’ una sprovveduta come lui. Non ci dovrebbero essere problemi per tenersi il diario. Cercherò di assecondarla: la riabilitazione di Giorgio può far pendere il piatto della bilancia più dei sacchi di pulci.
-Ho indagato molto su Giorgio, - bluffo, -ma non credo che sarei arrivato a scoprire il segreto che nascondeva. Però ci sono dei punti ancora troppo oscuri e ambigui per poterlo considerare una vittima della situazione.
-Spiegati.
-Anni fa è successo un casino poco distante da qua. Dei morti eccellenti durante un festino a base di droga e sesso. I “nostri” hanno coperto il tutto ma la testa che doveva cadere non è caduta.
Mi guarda sorpresa.
-Che c’entra Giorgio?
-Non lo so con precisione, ma ti assicuro che in qualche modo c’è entrato.
-Non capisco.
-La droga tagliata male l’avevano portata due trans della scuderia di Domiziana. Secondo le usanze i due trans e Domiziana dovevano pagare i danni con svariati anni di carcere.. Invece un certo rapporto le ha salvate. Il rapporto è stato scritto dal Capitano Francesca Coletti, sicuramente su pressioni di Giorgio. Giorgio ha sfruttato la sua posizione per coprire degli assassini.
-Ti sbagli, - si versa del vino bianco. -Giorgio non ha sfruttato la sua posizione per salvare Domiziana: ha offerto uno scambio.
-Cosa? – penso subito alle prove che si era trattenuto.
-La pistola e il coltello che aveva trovato nascoste nella nicchia della cripta.
-Perché?
-La pistola era quella di un serial killer che la Polizia non era riuscita ad incastrare. Con il coltello lo hanno incastrato. L’aveva fatto fabbricare da un noto artigiano ed era numerato. Con un controllo dal costruttore lo hanno inchiodato. Ne avrai sentito parlare.
-Sì. - confermo. -Ma Giorgio come faceva a sapere che quelle armi erano dell’assassino?
-Giorgio aveva usato la pistola per sparare a un vecchio che aveva avvelenato Pogo. Dai rilievi della Scientifica sono risaliti all’arma utilizzata. La stessa che aveva usato il serial killer.
-Giorgio ha ucciso un vecchio?
-Non l’ha ucciso, l’ha storpiato. Gli ha sparato a tutte e due le rotule.
-Ancora alle rotule?
-Secondo Giorgio la morte era una punizione troppo lieve. Quel tizio doveva soffrire fino alla fine dei suoi giorni. Pensala come ti pare, ma approvo il suo gesto. Pogo era come un fratello per lui.
-Perché l’avrebbe avvelenato?
-Il vecchio era un bastardo: un cacciatore e bracconiere. Forse era convinto che eliminando Pogo potesse entrare liberamente nella tenuta di Carpaneta a piazzare trappole.
-Scusa. Qualcosa non mi torna. Com’è riuscita la Polizia a risalire a Giorgio? Si è costituito?
Serena si fa una grassa risata.
-Giorgio che si costituisce? Neppure se aveva azzoppato il Presidente della Repubblica! Giorgio si faceva giustizia da solo, come Ken Parker.
Ken…
-Le indagini le ha condotte Francesca, - prosegue Serena, -che ha capito subito chi poteva essere il colpevole. Ma lasciò perdere: doveva proteggere Giorgio. Quando i riscontri della Scientifica, o forse i RIS, non ricordo, portarono alla stessa arma usata dal serial killer Francesca intervenne direttamente con Giorgio. Giorgio capì la situazione e la sfruttò: le armi in cambio della salvezza di Domiziana. L’affare fu fatto col placet di Roma. Era più importante un serial killer che la tenutaria di un bordello.
-Non hai una grossa considerazione di Domiziana.
-Al contrario. Domiziana è una persona molto furba e in gamba. Ha solo un difetto.
-Quale?
-E’ senza scrupoli, se può essere considerato un difetto.
-Ancora una cosa, - continuo. -Che rapporto c’era tra Giorgio e i mafiosi Palmisano?
-Nessuno. Solo affari. Puliti.
-Questa raccontala a un altro…
-Ti giuro. Giorgio se li è trovati in casa quando ha ereditato. Aveva una percentuale della proprietà dei supermercati e, di conseguenza, un posto nel consiglio di amministrazione. Ma ci andava malvolentieri: non capiva cosa succedeva nel prendere quella o l’altra decisione. Giorgio non si era mai interessato di finanza  e supermercati.
-Come hanno fatto i Palmisano a diventare soci di maggioranza?
-Hanno comprato dal padre di Giorgio. Ma già ci erano dentro da tempo. L’amministratore delegato, Aldo, era un uomo dei Palmisano. Il padre di Giorgio ha fatto la guerra, nel 1944, con Giovanni Palmisano, il vecchio boss. E a lui e ai suoi soldi deve la creazione della catena di supermercati.
-Perché Giorgio non ha venduto la sua quota se sapeva di essere in società con una famiglia mafiosa?
-Non poteva. Erano gli accordi stretti da Giovanni Palmisano e suo padre. Doveva rimanere nella società: Giovannino Palmisano, il figlio, nuovo reggente della famiglia, non si fidava di Giorgio. Aveva paura che trovasse documenti compromettenti e li rendesse pubblici.
-Che documenti?
-I diari di suo padre. I Palmisano sapevano che il padre di Giorgio teneva un diario personale.
-Forse non si trattava di lavoro.
-Non hai conosciuto il padre di Giorgio. Tutto e solo lavoro.
-Giorgio l’ha trovato il diario?
-Sì. In un vecchio magazzino che neppure lui sapeva di possedere. Erano ventisette diari. C’era descritta l’ascesa della catena dei supermercati e tutti i traffici con i Palmisano.
-Li hai letti?
-Certamente, - risponde tranquilla. -Letti e bruciati nella stufa a legna. Duemila famiglie campano con gli stipendi dei dipendenti dei supermercati, non era minimamente pensabile affidarli alla magistratura.
-Che funzione hanno i supermercati?
-Ora come ora sono delle aziende come le altre. Devono produrre utili. Te lo posso assicurare: come presidente della Fondazione “Progetto Pogo” amministro la quota di proprietà che era di Giorgio.
-Significa che…
-Che “Progetto Pogo” è in società, in un’azienda, con la famiglia Palmisano. Sicuramente ho più contatti io con Giovannino Palmisano che, allora, Giorgio. Giovannino ci ha aiutato ad aprire nuove strutture e ricoveri per gatti. Per contro faccio sì che gran parte dei lavori di manutenzione e costruzione siano affidati a ditte della famiglia Palmisano. E’ tutto perfettamente legale.
-Un’ ultima cosa.
-Dimmi.
-La prima volta che ci siamo visti mi hai dato da intendere che “Progetto Pogo” è corazzato, finanziariamente parlando.
-Esatto. Quando i supermercati erano delle immense lavatrici di denaro da riciclare il padre di Giorgio aveva accantonato un’ingente somma di denaro all’estero. Neppure Giorgio lo sapeva. Lo ha scoperto dai diari. Quel denaro, messo in mani capaci, ha fruttato e continua a fruttare diversi milioni di Euro all’anno.
-Milioni di Euro? - chiedo esterrefatto.
-Milioni, esatto. “Progetto Pogo” è destinato a perpetuarsi nel tempo.
-Gestisci milioni di Euro?
-Come presidente della fondazione. Gli investimenti sono in mano a Silvia. Ha uno staff di esperti per questioni finanziarie.
-Silvia? Silvia… quella Silvia?
-Sì. Silvia Pisani. Non è simpatica, ma è una donna capace.
Ci concediamo un caffè. Ne ho proprio bisogno, dopo aver saputo tutte queste cose. Appena accendo la sigaretta comincio la trattativa.
-Sono quasi convinto di tutto ciò che hai detto, ma rimane un fatto.
-Quale?
-La tua fondazione è nata e cresciuta con denaro sporco.
-Lo stiamo ripulendo e utilizzando a scopi benefici. Non vedo il problema.
-E se un giorno la Guardia di Finanza scoprisse gli altarini della famiglia Palmisano?
-Al limite dovrei rinunciare alla quota di proprietà dei supermercati. Ma non credo interessi a nessuno mettere in mezzo alla strada duemila dipendenti.
-Per cui, secondo te, Giorgio è stato solo una vittima delle situazioni.
-Sì, ne sono sicura. Giorgio era una persona dall’animo e dalla vita semplici. Non si sarebbe mai sognato di fare società con alcuno, figurarsi coi mafiosi.
-Lo sai che tutte queste coincidenze sono costate la vita di due mie colleghe e quasi la mia?
-Vedi, - risponde pacata, -tu non sei una persona semplice e sei troppo prevenuto col prossimo. Se, quando ti sono venuti dei dubbi su Giorgio, lo avessi chiamato e  fissato un appuntamento ti avrebbe chiarito lui stesso tutti i punti, come ho fatto io, ora.
-Ne dubito: il segreto che conservava era troppo pericoloso per svelarlo ad un estraneo. Poi Francesca ed Agata avrebbero saputo comunque del mio interesse e sarebbe successa la stessa cosa.
-Giorgio non ti avrebbe mai svelato quel segreto. Fatto sta che neppure io sapevo nulla. Ma ti avrebbe convinto a desistere dalle indagini.
-Sparandomi alle rotule?
Serena si fa una grassa risata.
-Ahahahah! Sempre meglio zoppo che tra la vita e la morte per due anni!
-Rimane un punto, - dico con l’espressione seria.
-Lo so, - la replica.
Serena si alza dalla sedia e prende un pacchetto da un cassetto.
-Tieni. Queste sono le prove che Giorgio aveva conservato. Decidi cosa farne.
Rimango spiazzato.
-Ma, - prosegue, -in ogni caso, Giorgio non deve essere tirato in ballo. E neppure altre persone di sua conoscenza.
-Pensavo di distruggere il diario, - le confesso tirandolo fuori dalla tasca della giacca.
-Era una cosa che avrei dovuto fare anni fa…
-Che facciamo? - le chiedo.
Serena si alza di nuovo e mi fa cenno di seguirla. Andiamo nel salone. Apre lo sportello della grossa stufa a legna che riscalda mezzo appartamento. La fiamma che brucia la legna colora di arancio il suo viso. Prende la busta e ne estrae le foto, il certificato di morte presunta e il cd. Li getta dentro. Poi tocca al distintivo e ad altri ritagli di giornale. Si scansa e mi indica la bocca della stufa da cui escono delle fiamme di storia. Ci avvicino il diario tenendolo con tre dita e lo lascio scivolare dentro.

Sono pronto a cominciare una nuova vita.

Uno scroscio di applausi accoglie la fine della lettura del capitolo.
- Bellissimo!
- Stupendo!
- Un capolavoro!
I commenti dei randagi che continuano a spellarsi i fagioli delle zampe anteriori applaudendo.
Una standing ovation da Concerto di Capodanno.
- La prossima volta cosa leggiamo? – domanda QUARK timidamente.
- Come: ‘Cosa leggiamo’? – ribatto – Mica il romanzo è terminato!
Vedo PALLUCCHINO, che ha appena terminato la convalescenza, svenire e crollare a terra.

Il piccolo QUARK soddisfatto della lettura

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