FUMO
Grigio come il suo pelo, come la nebbiosa giornata di
novembre in cui fu abbandonato alla Colonia Vecchia, come il suo umore prima di
adattarsi alla nuova, triste realtà in cui l’avevano scaraventato.
Un gatto timido e riservato, spaventato dal nuovo ambiente e
dalla presenza di numerosi gatti randagi, di cui aveva solo sentito parlare dai
suoi vecchi e bastardi umani nel salotto di casa, ma tenace!
Tutti avevamo scommesso che non ce l’avrebbe mai fatta ad
accettare la nuova situazione e se ne sarebbe andato appena qualcuno lo avesse
infastidito.
Invece rimase, pian piano uscì allo scoperto da
dietro alla recinzione che divideva il nostro giardino con il campo del
convento.
Ma non era stata la fame; il Capo provvedeva a rifocillarlo
con umido e crocchette lasciati dietro alla rete, bensì la curiosità di
scoprire perché un esercito di gatti randagi non si azzuffasse sempre tra loro
e, anzi, vivesse pacificamente in una specie di comune felina.
“Questa è una Colonia Felina?” domandò stupito quando gli
spiegai chi eravamo e cosa facevamo.
“Mi avevano raccontato un mucchio di cazzate a casa! Gatti
rognosi e orbi, sempre affamati e attaccabrighe con i propri simili, pieni di
pulci e malattie. Invece qui… Ma sei sicuro, TAZZA?”
“Certo, FUMO! (il Capo l’aveva battezzato così e, con una
punta di gelosia, mi ero accorto che si era legato un sentimento di reciproco
affetto tra i due) Abbiamo pure un posto dove dormire tutti insieme!”
Non fu mai curioso del nostro dormitorio, aveva scelto una
tana di istrice in una collina dopo il campo del contadino come sua casa. Il
problema era che spesso ci pioveva dentro e arrivava ai pasti tutto sporco di
fango.
E il Capo lo ripuliva pazientemente, lo spazzolava e lui
accettava di buon grado quelle attenzioni oramai dimenticate.
E la mia gelosia cresceva. Poco, ma cresceva.
Fu grazie a lui, e alla sua tenia, che il Capo inaugurò il
rito del bocconcino di carne prelibata post pranzo.
Ci riusciva a nascondere le medicine che gli interessati
dovevano ingurgitare.
“E’ un gatto speciale!” mi confidò un giorno il Capo, mentre
schiumavo di rabbia.
Poi, col tempo, mi accorsi che per il Capo tutti i gatti
della Colonia erano ‘gatti speciali’.
Io... il più speciale.
E la gelosia si sopì.
Terminò la sua esistenza a Monte Malbe investito da un’auto
alla curva sotto la casetta della Colonia Vecchia, mentre se ne stava tornando
alla sua amata casa la sera del 24 marzo 2012.
Il pomeriggio seguente il Capo trovò i suoi resti, straziati
dagli animali notturni, e li ricompose dentro al sacco mortuario che si porta
sempre appresso in auto.
Quel giorno, alla distribuzione del pasto, rimase sempre in
silenzio.
E, ricordo, quel pasto aveva un sapore amaro; forse era la
tristezza o, forse, le lacrime del Capo che cadevano sui bocconcini.
Ciao FUMO!
FUMO alla Colonia Vecchia - Marzo 2008 |
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