MICI FELICI |
La storia de I Gatti di Monte Malbe, due bande di felini semirandagi che hanno adottato un umano in cambio della loro sussistenza giornaliera. (Vai a Presentazione)
lunedì 30 giugno 2014
domenica 29 giugno 2014
sabato 28 giugno 2014
LE NOSTRE FOTO (segnaletiche)
QUESTURA DI PERUGIA
NOME - SPINELLO
SESSO - M (sterilizzato)
RAZZA - Europea
ETA' - Classe 2000 (Deceduto febbraio 2015)
RESIDENZA - Reggia di Monte Malbe
PROFESSIONE - Pensionato (d'oro)
MANTELLO - Grigio tigrato
OCCHI - Due (gialli)
ZAMPE - Quattro
CODA - Sì (grigia tigrata)
CARATTERE - Estremamente socievole
INTERESSI - I tetti delle auto parcheggiate
SEGNI PARTICOLARI - Il suo arrivo è preceduto dall'odore
estremamente sgradevole di denti fradici
venerdì 27 giugno 2014
VECCHI, INDIMENTICATI AMICI
FUMO
Grigio come il suo pelo, come la nebbiosa giornata di
novembre in cui fu abbandonato alla Colonia Vecchia, come il suo umore prima di
adattarsi alla nuova, triste realtà in cui l’avevano scaraventato.
Un gatto timido e riservato, spaventato dal nuovo ambiente e
dalla presenza di numerosi gatti randagi, di cui aveva solo sentito parlare dai
suoi vecchi e bastardi umani nel salotto di casa, ma tenace!
Tutti avevamo scommesso che non ce l’avrebbe mai fatta ad
accettare la nuova situazione e se ne sarebbe andato appena qualcuno lo avesse
infastidito.
Invece rimase, pian piano uscì allo scoperto da
dietro alla recinzione che divideva il nostro giardino con il campo del
convento.
Ma non era stata la fame; il Capo provvedeva a rifocillarlo
con umido e crocchette lasciati dietro alla rete, bensì la curiosità di
scoprire perché un esercito di gatti randagi non si azzuffasse sempre tra loro
e, anzi, vivesse pacificamente in una specie di comune felina.
“Questa è una Colonia Felina?” domandò stupito quando gli
spiegai chi eravamo e cosa facevamo.
“Mi avevano raccontato un mucchio di cazzate a casa! Gatti
rognosi e orbi, sempre affamati e attaccabrighe con i propri simili, pieni di
pulci e malattie. Invece qui… Ma sei sicuro, TAZZA?”
“Certo, FUMO! (il Capo l’aveva battezzato così e, con una
punta di gelosia, mi ero accorto che si era legato un sentimento di reciproco
affetto tra i due) Abbiamo pure un posto dove dormire tutti insieme!”
Non fu mai curioso del nostro dormitorio, aveva scelto una
tana di istrice in una collina dopo il campo del contadino come sua casa. Il
problema era che spesso ci pioveva dentro e arrivava ai pasti tutto sporco di
fango.
E il Capo lo ripuliva pazientemente, lo spazzolava e lui
accettava di buon grado quelle attenzioni oramai dimenticate.
E la mia gelosia cresceva. Poco, ma cresceva.
Fu grazie a lui, e alla sua tenia, che il Capo inaugurò il
rito del bocconcino di carne prelibata post pranzo.
Ci riusciva a nascondere le medicine che gli interessati
dovevano ingurgitare.
“E’ un gatto speciale!” mi confidò un giorno il Capo, mentre
schiumavo di rabbia.
Poi, col tempo, mi accorsi che per il Capo tutti i gatti
della Colonia erano ‘gatti speciali’.
Io... il più speciale.
E la gelosia si sopì.
Terminò la sua esistenza a Monte Malbe investito da un’auto
alla curva sotto la casetta della Colonia Vecchia, mentre se ne stava tornando
alla sua amata casa la sera del 24 marzo 2012.
Il pomeriggio seguente il Capo trovò i suoi resti, straziati
dagli animali notturni, e li ricompose dentro al sacco mortuario che si porta
sempre appresso in auto.
Quel giorno, alla distribuzione del pasto, rimase sempre in
silenzio.
E, ricordo, quel pasto aveva un sapore amaro; forse era la
tristezza o, forse, le lacrime del Capo che cadevano sui bocconcini.
Ciao FUMO!
FUMO alla Colonia Vecchia - Marzo 2008 |
giovedì 26 giugno 2014
COMINCIANO LE FERIE
LA CUCCIA DEL CAPO
E’ arrivata l’estate e, puntualmente, le ferie.
Non mi riferisco alle mie, lontano ricordo dei tempi passati
quando ancora avevo quattro soldi da sputtanare e, soprattutto, meno gatti da
accudire, ma a quelle dei maledetti pulciosi.
E sì! Loro le ferie le pretendono, come da contratto.
Retribuite e da scegliersi in maniera libera e autonoma.
Naturalmente non vige l’obbligo di comunicare al datore di
cibo e coccole il giorno di partenza e di ritorno e, neppure, la destinazione
vacanziera.
Mi trovo così a dover affrontare appelli e contrappelli
serali senza sapere se i non presenti siano in ferie, oppure assenti
ingiustificati o rapiti da una gang di cinesi o spiaccicati sull’asfalto.
Prendo solo nota mentale di chi manca, con la speranza di
rivederlo il giorno successivo.
Tra le scomparse illustri annovero PECETTA alla Reggia.
E’ una settimana che latita, ma forse è tornato in visita
alla sua vecchia famiglia adottiva.
PECETTA era un aggregato alla Reggia, diventato effettivo
dopo due anni di permanenza (e pasti) e dopo essere stato sterilizzato. Proprio
come SERPOTTO a cui, però, non passa minimamente per la testa di tornare a far
visita ai suoi vecchi umani.
I due, insieme a SILVIOTTO ancora aggregato e non effettivo,
facevano parte dei Proci, uno stuolo di gatti maschi interi che calavano come
Unni alla Reggia appena la ROSINA (di Casa) andava in calore, benché
sterilizzata.
PECETTA fu nominato così in quanto un giorno si presentò con
un vistoso cerotto bianco sopra l’occhio destro, segno di cure ricevute dopo
morso infettatosi. E segno, soprattutto, di provenire da una famiglia a cui
stava cara la sua salute, malgrado non l’avessero sterilizzato.
Ma da quando si è trasferito in pianta semistabile (già un
paio di volte se n’è andato in ferie) non è stato reclamato da nessuno.
E pensare che gente disperata viene dalle zone più disparate
della città ad informarsi se il loro micio scomparso si sia, per caso, fermato
alla Reggia o in Colonia.
In Colonia è CREMINO a latitare, pur non avendo ancora
maturato gli effettivi giorni di ferie già consumati.
La sindacalista CERES è pronta per mandargli un richiamo
ufficiale. Il problema è che nessuno ha il suo indirizzo; è un nomade senza
fissa dimora.
Per compensare le momentanee perdite ci sono pure i ritorni: PAPERINO alla Reggia è ricomparso l’altra sera dopo quasi due mesi di latitanza, grasso più che mai a significare che ha una seconda casa o che nel penitenziario da dove è evaso c’è un cuoco coi controfiocchi.
Anche in Colonia sono ricomparsi all’ora del pasto INTREPIDO e ALICE, a significare che il Priore del convento è in ferie e il piccolo inutile fraticello che ne fa le veci ha proibito di dargli da mangiare.
Il mio sogno sarebbe quello di far finta di andarmene in
ferie per un paio di mesi, ma rimanere –invisibile- a Monte Malbe e studiare le
reazioni dei pulciosi sentendosi abbandonati.
Ma è un sogno; un miraggio lontano e irrealizzabile.
I Proci SERPOTTO - PECETTA e SILVIOTTO controllano ROSINA (di Casa) |
mercoledì 25 giugno 2014
martedì 24 giugno 2014
IL SOLARIUM LETTERARIO
VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
4a puntata
Si riprende la lettura dell’inedito capolavoro di Favio
Bolo, dopo essere scesi a compromessi con gli auditori che si erano assentati all’arrivo del Capo e si erano persi un capitolo.
Lo devo rileggere; ma vi grazio della replica imprevista.
Già con la lingua secca dal caldo procedo alla lettura dei
nuovi capitoli.
Come vorrei che fosse inverno e non facesse questo caldo
afoso!
CAPITOLO
7
Marta abita in un
lussuoso appartamento nel centro storico di Perugia, in un palazzo
rinascimentale. Il salone è un tripudio di tappeti, sofà del primo novecento
abilmente restaurati, quadri dall’aspetto antico, ma ignoro se siano autentici,
pesanti tendaggi e argenterie inglesi messe in bella mostra.
rende il mercato del sesso! pensa te, se avesse pure la passera…
Marta è una perfetta
padrona di casa, fa di tutto per mettermi a mio agio.
Dopo il caffè le
espongo il problema: -Mi è giunta voce che l’amico di Domiziana è un animalista
e ha a che fare con i gatti. Avrei un problema con quelli di mia zia. Anche con
lei, per la verità, ma quello me lo risolvo da solo.
-Che problema? - domanda.
-Mia zia non li fa
sterilizzare. Crescono di numero a dismisura e, in paese, qualcuno comincia a
lamentarsi e a minacciare di farli sparire. Ho bisogno di un aiuto.
Messa così nessun
animalista si tirerebbe indietro.
-Vorrei parlare con
questo…
-Giorgio, - mi aiuta.
-Si chiama Giorgio.
-Bene. Con Giorgio. Mi
ci puoi far fissare un appuntamento?
-Volentieri, - replica.
-Ma, ora, veniamo a noi…
Apre quel tanto che
basta l’abito di seta e mi mostra le sue grazie.
Le apprezzo, poi la
fisso negli occhi: -Cosa significa?
-Prova ad indovinare, -
la risposta sussurrata.
-Marta… lascia perdere.
Sei una bella… sei bellissima. Ma… non sei il mio tipo.
-Hai mai provato?
-No. E neppure ho la
fantasia, senza offesa.
Riesco a guadagnare
qualche centimetro di distanza e mi accendo una sigaretta per darmi coraggio e
cercare di nascondere l’imbarazzo.
Marta non si dà per
vinta. Si riavvicina, mi toglie la sigaretta dalle labbra e ci appoggia le sue.
Un sacco di cemento da mezzo
quintale sarebbe stato più reattivo.
Prende la mia mano
destra e la guida alla scoperta dei suoi seni, la sinistra la piazza sul suo
culo e comincia a bagnarmi le labbra con la lingua.
Io rimango inanimato
come il famoso sacco, quel coso che ogni maschietto tiene tra le gambe, no.
Sarà stata la
lontananza da Antonella, il fatto che non lo facevo da troppi giorni, la
perversa fantasia di fare qualcosa che sai essere sbagliata, in un ambiente
protetto, dove nessuno ti può vedere, e… è successo.
Due volte: prima sul
sofà e anche Marta si è soddisfatta – da sola. Poi dentro la doccia, mentre mi
stavo ripulendo dalla sua soddisfazione. E’ entrata pure lei e ci siamo
concessi il bis. Stavolta l’ho aiutata.
Quando sono riuscito ad
andarmene da quella casa, pieno di senso di colpa, forse vergogna, forse non so
che altra sensazione imbarazzante, a parte il sentirmi una merda, ho respirato
a pieni polmoni l’aria gelida della tramontana che tira per Corso Vannucci.
Ero in piena confusione
mentale, una sensazione mai provata prima.
Di andarmene a dormire
neppure a pensarci. Malgrado mi sentissi completamente svuotato, come il famoso
sacco, stavolta senza cemento dentro, non mi andava di risalire subito in
quella fatiscente auto. Per un semplice motivo: avevo lasciato dentro il
telefonino per evitare di dire dove fossi e dare penose spiegazioni nel caso
avesse chiamato Antonella. E il mio sesto senso diceva: ha chiamato.
Mi fermo in un pub a
bere una birra, di quelle forti.
mi ci vuole!
Con lo sguardo assente,
stile tossico in astinenza, cerco di osservare il mondo che mi circonda, fatto
di giovani universitari che sputtanano allegramente i risparmi dei propri genitori.
Dopo una mezz’ora pago
e torno al cesso a quattro ruote motrici.
Prendo in mano il
telefonino: tre chiamate perse. Antonella.
Sono quasi le tre di
notte, non è il caso di richiamarla.
e domani, chi la sente?
Con calma dirigo verso
il mio appartamento perugino.
A – Per evitare di
essere fermato da qualche solerte pattuglia della Polizia Stradale munita di
etilometro, e finire la nottata in questura.
B – Perché sto
riassaporando mentalmente ogni singolo istante degli amplessi con Marta.
che scopata!
Nel tragitto noto un
piccolo particolare ma non gli do importanza.
Dopo quasi tre anni me
ne pentirò.
CAPITOLO 8
Alle 8 di mattino sono
puntuale con il mio quotidiano appuntamento al “Bar Pippo”, sotto casa, per il
classico cappuccino e bombolone, seguito dal caffè con lettura della prima
pagina dei quotidiani messi a disposizione alla clientela del locale.
Ore 08,10 – Parco Verde
di Perugia
Ursula sta terminando
la sua mezz’ora di jogging nel grande parco alla periferia ovest di Perugia, a
meno di un chilometro dal “Bar Pippo”. Inizia gli esercizi di defaticamento
camminando nella striscia di pineta che la separa dai sentieri del parco al
posteggio della sua auto. Nel silenzio della pineta avverte il rumore di aghi
di pino schiacciati da qualcosa in movimento. Si volta e si scansa per cedere
il passo a un ciclista. La bici si ferma due metri avanti, il ciclista si
volta, toglie gli occhiali mostrando due gelidi occhi azzurri mentre la pistola
che tiene impugnata con la mano destra emette tre sibili.
-Tu… - fa in tempo a
mormorare Ursula, prima di stramazzare a terra.
-Scusa, - fa il
ciclista avvicinando la pistola alla nuca di Ursula, -niente di personale, - e
scarica un quarto colpo.
Dà un’occhiata intorno
poi una spinta col piede e riaggancia gli scarpini ai pedali automatici.
Si dilegua,
silenziosamente, tra la nebbia.
Ore 8,15 – Bar Pippo
Sto leggendo un
articolo sul problema dei furti con spaccata negli esercizi commerciali della
città: sono in netto aumento. Una goccia di crema schizza dal bombolone
centrando in pieno la pubblicità di un’auto coreana sul giornale. Prendo un
tovagliolino e ripulisco il danno alla meno peggio. Poi noto che un’altra goccia
di crema ha centrato la mia scarpa
destra. Smadonno ed afferro un altro tovagliolino.
Ore 8,20 – Colle San
Giovanni
Al terzo squillo di
campanello Zanzara si alza dal letto e, con l’occhio destro ancora chiuso dal
sonno, dallo spioncino cerca di mettere a fuoco il disturbatore.
Quando realizza apre
subito la porta.
-Cosa succede? -
chiede.
Rispondono due colpi di
automatica silenziata al petto.
Zanzara viene sbalzata
nel corridoio.
Il disturbatore entra,
veloce, nell’appartamento e richiude la porta.
Appoggia il
silenziatore alla tempia sinistra di Zanzara e fa partire il terzo colpo.
Ripone la pistola, con
la mano passa dietro al collo una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi e tira
fuori dalla tasca un telefonino. Preme un tasto, manda uno squillo, richiude,
lo ripone e aspetta vicino al portoncino di ingresso dell’appartamento.
Ore 8,25 – Bar Pippo
Pago la colazione,
saluto e mi incammino verso il rudere da fuoristrada. Ora, lavato, ha un
aspetto migliore: sembra l’auto di un marocchino senza patente e documenti.
Frugo nella tasca del Moncler alla ricerca delle chiavi della latrina verde
mentre avverto il rumore di una moto che si avvicina alle mie spalle. Arrivato
a fianco del vespasiano che mi hanno prestato mi ritiro per far spazio alla
motocicletta.
E’ un attimo: sento una
serie di dolorose fitte alla schiena accompagnate dal rumore di soffi. Cado a terra e realizzo ciò che sta
succedendo. Cerco di strisciare sotto la Toyota, ma non ci riesco. Sento la
moto accanto a me e una voce che dice: -Veloce!
Poi una sirena, di
quelle delle auto della Polizia.
Ancora una voce: -Via!
Un’altra serie di soffi
e sento la testa esplodermi.
Poi il buio.
L'INVERNO A MONTE MALBE |
lunedì 23 giugno 2014
domenica 22 giugno 2014
ARRIVI & PARTENZE
Lasciamo perdere!
Me lo dico sempre quando mi assale quella pulsione
incontrollabile alle ore più disparate della giornata.
Ho una certa età, meglio ignorarla!
Invece quella subdola voglia si insinua nel cervello e, come
la carie nei denti, rosicchia, rosicchia e arriva a toccare il nervo.
Per fortuna questa mia voglia non è dolorosa, e neppure fa
danni: almeno fino alla sera di tre giorni fa.
Era arrivata improvvisa, in un orario inconsueto; avevo
troppo da fare per il resto della giornata, meglio soprassedere e continuare il
mio lavoro.
Ma la carie cerebrale ha iniziato il suo sporco lavoro e, di
tardo pomeriggio, si è di nuovo manifestata.
Però! Quasi, quasi…
Ma ho cercato di tenere duro fino all’ultimo, non sono più
un ragazzino che deve soddisfare tutte le sue voglie!
Quella di patata, poi…
Ad ora di cena passata (per gli altri) è tornata prepotente
ad affacciarsi.
Va bene! Hai vinto!
E patata sia!
Ho sperato nella riscossa della mia pigrizia serale, ma
invano. Solitamente la sera esco di casa solo se mi vengono a prelevare i
Carabinieri, comunque ammanettato.
Ho capitolato e mentre ero in viaggio con destinazione
patata ho ripensato ai bei vecchi tempi della gioventù quando, con gli amici,
succedeva spesso di uscire insieme per la ‘Missione Patata’ magari con qualche
robusta rossa inglese, o snella cecoslovacca bionda. Qualche volta andavano
bene anche le francesi e le belghe, anche se un po’ troppo snob.
Ma ora sono un ometto di mezza età, misantropo e con poca
voglia di cazzeggiare.
Poi ho cambiato gusti: preferisco le danesi, anche se la
snella cecoslovacca mi è rimasta nel cuore.
E la sera tutto mi va tranne che rinchiudermi in un pub a
bere birra e ingozzarmi di patatine fritte.
Per ovviare la birra la tengo nel frigo e le patatine fritte
le prendo in una pizzeria poco distante da casa e le divoro nel mio nido.
Ma l’altra sera il destino aveva deciso diversamente per me.
Innanzi tutto la danese e la cecoslovacca latitavano dal
frigo, solo qualche scialba tedesca e un’ italiana che si crede ‘sto cazzo ma
ancora troppe pagnotte deve mangiare!
Mentre scendo dall’auto i sensi sempre allerta del
gattofilo mi mandano una scossa.
Mi blocco e odo quello che nessun gattaro vorrebbe mai
sentire: il pianto disperato di un gattino in difficoltà.
C’è poca luce e cerco di orientarmi con l’udito.
La piccola creatura collabora strillando come la sirena
dell’allarme della Banca d’Italia.
Ma non è nel parcheggio della pizzeria, sotto qualche auto o
dentro ad un cofano motore.
L’ululato viene dall’altra parte della strada, un drittone
da quarta dove tirerebbero sotto pure un ippopotamo.
Riesco ad attraversare incolume e mi avvicino al disperato
miagolio.
Davanti a me c’è un greppo pieno di erba, arbusti e cespugli
alto tre metri e quasi perpendicolare. Sopra quel muro un campo, credo.
Il pianto viene proprio da là, ma è impossibile salire,
soprattutto con le scarpe dalla suola liscia e dopo un acquazzone.
Rischio la vita un paio di volte poi chiedo la
collaborazione del diretto interessato.
Lo chiamo sfoggiando il mio vasto repertorio di richiami
felini imparato negli anni.
Funziona!
Vedo un cazzettino nero con la coda che continua a
strillare.
Gli faccio capire che è lui che deve scendere. Capisce.
Ci incontriamo a metà strada (anzi, greppo) e lo agguanto.
Sotto la luce del parcheggio mi accorgo che non è solo nero,
ma anche marrone chiaro e scuro: una tartarugata.
Un mese circa.
Sotto i polpastrelli sento che ha delle palline attaccate al
pelo.
Controllo, sono tante e bianche: cazzo! se la stanno
mangiando le zecche!
Non ci penso due volte, la butto dentro al bagagliaio
(naturalmente ero uscito con l’auto non dotata di trasportino) e torno vicino
al luogo del delitto (rischiando ancora la vita attraversando la strada) per
verificare se fosse sola o, magari, dotata di mamma snaturata.
Il Signore ascolta le mie preghiere: è sola.
Finalmente posso proseguire con l’ ‘Operazione Patata’.
Le ordino, le friggono, le insacchettano e me ne torno a
casa (con patatine e una tartarughina di un mese).
Appena arrivo la nutro.
Casualmente ho sempre un paio di omogeneizzati a
disposizione per emergenze.
Ne sbrana letteralmente uno.
Poi comincia a
lavarsi mentre io cerco di togliere qualche zecca.
Fortunatamente non sono quelle bestiacce, ma delle innocue
palline spinose.
Veloce controllo per vedere se zoppica, ha la diarrea. i
vermi che fuoriescono, gli acari, la rinotracheite, la congiuntivite, il
pollice valgo e le gambe a X.
Tutto a posto.
Trova il divano da sola e dopo sei secondi russa stremata.
Finalmente!
A noi patata!
Stappo la birra, diventata oramai tiepida, e metto in bocca
un qualcosa che somiglia a silicone salato.
Bleah!
La patatine facevano schifo, ma PATATA è una splendida
micina!
(ma quanto è difficile farle una foto!)
PATATA ha conquistato il divano |
sabato 21 giugno 2014
venerdì 20 giugno 2014
MAI FIDARSI DEGLI ALGORITMI!
LA CUCCIA DEL CAPO
Uno dei compiti più difficoltosi per un gattofilo che ha numerosi gatti in casa è la scelta della lettiera.
L’ ho provato sulla mia pelle (e sui miei pavimenti) alcuni anni fa quando un’idiota di manager decise di cessare la produzione del prodotto che solitamente acquistavo.
Tra parentesi era carissimo e, da solo, potevo benissimo sostenere il target di vendite Italia per il prodotto.
Ma il manager che lavora sui gatti sicuramente non ha un gatto in casa e mai l’ha avuto.
Spero vivamente abbia cambiato lavoro e sia tornato a pulire i vetri delle auto ai semafori.
Si impose, allora, di aprirsi al mercato e scoprire un prodotto analogo.
Purtroppo non è che il gattofilo possa scegliere liberamente il tipo di lettiera dove le proprie pulciose creature devono –anzi, dovrebbero- fare i loro bisognini, si deve limitare a verificare il grado di accettazione felina dei vari prodotti in commercio, confrontarli tra loro nei consumi, ponderare accuratamente il prezzo di acquisto, la reperibilità e le eventuali azioni promozionali che il produttore stabilisca di fare nel corso dell’anno. Ed assicurarsi che l’azienda produttrice non decida di cambiare il manager del prodotto per i prossimi venti anni.
E’ più semplice comprare un’auto nuova.
Come Beppe Grillo studiai un algoritmo per trovare quale fosse il prodotto che rispondeva a tutte queste caratteristiche.
L’algoritmo partorì il suo risultato, il prodotto fu acquistato e distribuito in abbondanza nelle varie e numerose cassettine igieniche sparse per casa.
Ma la matematica non è perfetta!
L’algoritmo sottovalutò un fattore fondamentale inserendolo, come priorità, al terzo posto.
La lettiera prescelta dal modello matematico era scarsamente gradita alla popolazione felina della Reggia.
Il risultato furono numerose deiezioni sparse tutte intorno alle varie cassettine, rimaste immacolate.
L’unica, che ancora conservava un rimasuglio della vecchia lettiera era stracolma di un’orribile e puzzolente poltiglia marrone.
Tutto da rifare, stavolta con pazienza e senza inutili complicazioni (forse le stesse che utilizzò, a suo tempo, il famigerato manager).
Non fu una cosa difficile e neppure dolorosa.
Si trattò di reperire una confezione per tipo delle circa mille lettiere in commercio, cominciando subito a valutarne il prezzo e la relativa diffusione di vendita.
Praticamente visitai un centinaio di supermercati e negozi specializzati in pet, spacci agricoli e negozietti tradizionali, riempiendo la Land (e casa) di una quantità industriale di sacchi di ‘breccole per gatti’ [così definite da una signora in un emporio di sementi e affini (?)] da riempire una piscina e fare la cassettina igienica per un branco di elefanti.
Su ogni cassettina igienica versavo un prodotto diverso segnando data di inizio prova e fine prodotto, per stabilirne il consumo. A fianco della stessa cassettina avevo messo pure una scheda questionario da compilarsi a cura del fruitore.
Nessun felino domestico collaborò all’indagine di mercato ma le penne per riempire il questionario furono tutte trafugate.
Cominciavano però ad affluire i primi dati: lettiere profumate alla lavanda, ai fiori di arancio, alla cannella, alla vaniglia e al talco non erano gradite per il loro scopo e le cassettine venivano sistematicamente ignorate, mentre sul pavimento circostante nascevano piccoli laghi gialli e montagnole marroncine.
L’unica lettiera del genere ad avere un minimo di apprezzamento era quella al profumo di porchetta di Costano DOP, ma i gatti più ritardati pensavano fosse un nuovo tipo di crocchette e ci banchettavano.
Stesso rifiuto toccò a quelle ai cristalli di silicio, alle vegetali, alle autopulenti (?) e a quelle con proprietà utili al benessere psicofisico del gatto, definite pomposamente ayurvediche.
Ma il cerchio continuava a stingersi.
Dopo innumerevoli prove e controprove, test e simulazioni, fu stilata la famigerata classifica dell’Olimpo delle lettiere gradite ai gatti della Reggia. Ai prodotti prescelti fu pure apposto un marchio di garanzia con scritto: ‘Consigliata da I Gatti di Monte Malbe’!
Ora, premettendo di non ricevere bustarelle ed altri doni in natura (anche se mi farebbero comodo) dalle aziende produttrici e distributrici, vi elenco i tre finalisti, regolarmente presenti nei cessi dei pulciosi di casa.
Al primo posto si colloca la Lettiera agglomerante PAM (senza talco e altre maialate): gradita, anche se non troppo agglomerante, ma che ha il suo punto di forza nelle frequenti promozioni che la propongono a 99 centesimi al pacco da 5kg. Ci sbraco la Panda per farne scorta.
Il secondo posto è stato assegnato alla Lettiera agglomerante COOP (no profumo lavanda) in sacchi da 7 litri (pur essendo un solido). Agglomera come il cemento a presa rapida ma di fastidioso ha la sua polverina bianca (cemento a presa rapida?) che spero non sia cancerogena. Costa più del primo prodotto e non viene mai promozionata però… ogni tanto alla COOP fanno il 20% di sconto su tutti i prodotti (lettiera al cemento compresa). Durata del prodotto biblica, nessuno spreco ma il sacco di plastica è pesante, scomodo e appiccicoso (colpa del cemento?).
Medaglia di bronzo per la lettiera agglomerante CONAD, che agglomera poco, i grani sono minuscoli e i gatti li raccolgono tra le zampe disseminandoli per casa, è la più cara, poche promozioni e la loro confezione (box parallelepipedo in cartone) è la più scomoda.
Sembrerebbe invece la lettiera più comoda per UAIFAI, visto che passa gran parte delle giornate a dormire dentro alla cassettina, incurante delle porcherie che ci hanno lasciato gli altri colleghi.
MIKI continua a preferire l'erba del giardino |
giovedì 19 giugno 2014
mercoledì 18 giugno 2014
VECCHI, INDIMENTICATI AMICI
IRIDE
Una micia silenziosa, timida e poco appariscente, a dispetto
del sul meraviglioso manto tricolore a pelo lungo.
Abbandonata alla Colonia Vecchia il 3 febbraio 2010 quando aveva
poco più di un anno.
Una gatta estremamente sveglia che capì subito che la sua
vita era cambiata con un breve viaggio in automobile (di cui, purtroppo, non
riuscirono a fornirmi la targa).
Mentre cercava di integrarsi alla comunità, provata dalla
lunga Crociata Antifelini degli abitanti del convento e dai continui e numerosi
abbandoni che mi costringevano a stressanti straordinari (ed era ancora
inverno!) si ammalò.
Rifiutando il cibo ed isolandosi fece capire subito che si
trattava di qualcosa di serio.
Gastroenterite, sentenziarono i veterinari che faticarono
non poco a rimetterla in carreggiata.
Curata e guarita venne traslocata alla Reggia in quanto
ritenuta poco adatta alla vita di Colonia.
Qui si rivelò per quello che era: un esempio di altruismo.
Andava d’accordo con tutti gli altri abitanti felini e con
gli umani e il massimo esempio di disponibilità lo dette in occasione
dell’imprevisto parto della CICI aiutandola, come una seconda mamma, alla
gestione dei suoi due piccoli e degli altri quattro neonati abbandonati alla
Colonia Nuova ed affidati alle cure della neo madre.
Non potendo allattare collaborava al controllo della piccola
ciurma pelosa e al trasporto della stessa nelle varie cucce che la CICI aveva
scelto come posti sicuri per i piccoli.
La vedevo continuamente trascinare il piccolo e obeso
GIANO attraverso il piazzale, risparmiando uno sforzo impossibile per la storta
e rachitica CICI.
Quando i sei piccoli furono cresciuti si occupò del loro
addestramento alla vita, trasmettendogli il vizio di attraversare la strada per
scorrazzare nel vasto uliveto davanti alla Reggia.
La sentivo emettere quel particolare miagolio che li
chiamava a raccolta per condurli con se alla scoperta del mondo intero.
Col tempo aveva eletto l’uliveto come sua seconda casa e lì
passava intere giornate, spesso senza tornare per i pasti.
E’ misteriosamente scomparsa il 20 aprile 2013 e credo che
le sia stato fatale il vizio di intrufolarsi dentro le auto lasciate con i
finestrini aperti.
Come da un viaggio in auto ha cominciato la sua seconda
vita, con un altro viaggio ha intrapreso la terza.
Spero.
IRIDE alla Reggia - Novembre 2012 |
martedì 17 giugno 2014
STORIA DELLA COLONIA
PIMPI e PIMPILLINA
Mentre SAETTA e GENNARO cominciano i loro primi passi in
Colonia arrivano altri due pacchetti, più piccoli di loro: PIMPI e PIMPILLINA.
Sono due sorelline di circa due mesi quasi identiche;
solo PIMPILLINA ha il manto con il bianco più predominante rispetto alla
tigratura.
E’ anche più disgraziata: dopo pochi giorni di permanenza il
Capo si accorge che zoppica vistosamente, quasi trascinando la zampa posteriore
sinistra.
Visita veloce dai veterinari per scoprire che si è
fratturata, ma non ci sono problemi: la frattura è composta e basta una
fasciatura rigida per farla risaldare correttamente.
Il problema principale del Capo è come gestire questa nuova
situazione.
Portarsela a casa in attesa della guarigione per, poi,
riportarla su (ma lasciando la sorellina da sola in Colonia) o portarsele a
casa tutte e due (ben sapendo che non le avrebbe riportate: per lui sarebbe
come far loro subire un nuovo abbandono).
Sceglie la terza soluzione: la riporta in Colonia e sta un
po’ di tempo a controllare come se la cava.
Egregiamente.
La lascia in Colonia e, dopo pochi giorni, una signora
impietosita dalla vistosa fasciatura azzurra chiede di adottarla. Il Capo tenta
il colpo gobbo e prova a commuoverla per affibbiargli anche la sorellina sana.
Non ci riesce; PIMPILLINA viene adottata (e di lei non
avremo più notizie) e PIMPI rimane triste e sconsolata in Colonia, malgrado la
presenza di altri piccoli che si sono uniti (non di loro spontanea volontà) al
gruppo dei randagi di Monte Malbe.
PIMPI non prende bene la scomparsa della sorellina e
comincia a maturare un carattere timido e schivo nei confronti di tutti, Capo
escluso, estraniandosi gradualmente dal sempre più numeroso gruppo di abitanti
felini della Colonia.
Col tempo lega un rapporto di amicizia reciproco con PRIMULA
(la scorbutica) e con una nuova micetta che abbandonano: CLEOPATRA.
Il Capo le chiama, affettuosamente, le Tre Grazie:
Grazia,
Graziella e Grazie al…
PIMPI alla Colonia Vecchia - giugno 2008 |
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