martedì 22 aprile 2014

STORIA DELLA COLONIA




16
I PRIMI PROFUGHI





Un tiepido pomeriggio di maggio vediamo arrivare il Capo un po' prima della solita ora.
Scarica dal Land Rover il solito secchio con scatolette e crocchette e lo appoggia sul tavolo di cemento del giardinetto che preferisce.
Poi risale verso l'auto.
?
Lo guardiamo tutti interessati e soprattutto affamati.
"Stasera dobbiamo cucinare da soli?" brontola l'eterna insoddisfatta BOMBONA.
Apre il portellone posteriore dell'auto e comincia a scaricare dei trasportini.
PACCOLINO sale sul prugno selvatico a curiosare.
"Ca...ca...cazzo! Ma s...sono p..p...pieni!"
PACCOLINO, si sa, è balbuziente ma riusciamo a capire lo stesso quello che ha detto.
Non riusciamo, però, ad immaginare di cosa siano pieni i trasportini.
Nuove coperte? Ciotole in acciaio invece dei soliti, multicolori, piatti da picnic? Degli accessori per arredare i nostri spogli locali?
No.
Erano pieni di gatti.
Tre, per la precisione. Adulti, ciccioni e spaesati.
"Ragazzi!" ci apostrofa il nostro umano "Questi sono ERNESTO, CATERINA e PENELOPE. Vengono da una colonia della città che ha perso la gattara, sono rimasti orfani e senza più assistenza. Dovete accoglierli nella vostra comunità. Sono buoni e bravi."
"C'ha preso per Lampedusa?" ancora la BOMBONA, impaziente di mettere qualcosa sotto i denti.
Il Capo appoggia i tre trasportini al centro del giardinetto e li apre, uno alla volta.
Dal primo esce un gatto tigrato, obeso e con la faccia da coglione: ERNESTO.
Il secondo contiene una gatta bianca e nera, a pelo lungo, che comincia subito a ricomporsi il pelo: CATERINA.
"Quella si crede Madame 'Stocazzo!" commenta subito la BOMBONA.
Dal terzo esce una gatta tricolore acquarello: PENELOPE. Dire esce è un eufemismo; schizza letteralmente fuori e scappa oltre la rete di recinzione che ci divide dal campo del convento.
Sarà la prima e unica volta che la vedremo. Chissà che fine avrà fatto...
Il coglionotto, pardon: ERNESTO, si ambienta subito alla nuova realtà sprecchiando tre piatti di bocconcini e una ciotola di crocchette.
"So' biafrani" l'ulteriore commento della solita gatta.
Poi passa a circuire il Capo per avere una sostenuta dose di coccole, infine si avvia pigramente verso i nostri locali e si accomoda sulla cuccia che stabilisce essere la più comoda: la mia.
"Senti bello... " lo informo "non puoi arrivare qua e sistemarti come fossi a casa tua. Quella è la mia cuccia, e io sono il Capocolonia."
Mi guarda con quegli occhi da rimbambito, si alza, rassetta la copertina ed educatamente chiede:
"Mi scusi signor Capocolonia, non sapevo. Nell'altra colonia non avevamo scale gerarchiche e ogni gatto aveva i suoi diritti e i suoi doveri. Dove mi potrei accomodare?"
"In fondo ci sono delle cucce libere. Comunque mi chiamo TAZZA, non signore."
"Piacere, ERNESTO. Da fastidio se russo?"
Anche CATERINA, stanca del viaggio di trasferimento, viene ad informarsi sulla sua sistemazione.
La colloco il più lontano possibile dalla BOMBONA.
Tornato nel giardinetto raccolgo i commenti degli altri gatti; non sono entusiasti di questa iniziativa del Capo.
"Non vi preoccupate!" li rassicuro "Ci sarà comunque cibo a sufficienza per tutti e questo trasloco conferma che la nostra Colonia è un posto sicuro."
"Si, ma..." "Però così..." "Non è giusto..."
"Tutto questo sta a significare" interrompo le lamentele "che se un giorno ci trovassimo in difficoltà pure noi non verremmo abbandonati al nostro destino di randagi."
ALALA' approva le mie parole e sorride:
"Un discorso degno di SMERALDONE, complimenti!" 


ERNESTO*
*Foto già proposta, ce ne scusiamo coi lettori.

L'espianto dei dati dal vecchio computer va per le lunghe.







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