VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
19a puntata
- Ragazzi, oggi state attenti: questo è un capitolo
decisivo! – comunico ai numerosi presenti prima di iniziare la lettura.
Noto subito un clima di estremo interesse.
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Controllo il contenuto della busta indirizzata allo studio
notarile estero. Silvia non l’ha ancora chiusa e ci ha lasciato vicino la sua
agenda dove ha scritto, verosimilmente, tutta la notte. Do una sbirciata al
poema ma la calligrafia è minuta, alcuni termini sconosciuti e non vorrei che
Silvia, svegliandosi, mi peschi con le dita dentro al vaso della marmellata.
Soprassiedo. Poi ci ripenso. Dopo appena tre pagine lette con fatica rinuncio.
Vado a svegliare la bella addormentata con un caffè bollente. Le buone azioni
sono sempre ripagate. Dopo il caffè decide di trastullarsi alcuni minuti con il
Prode Anselmo, che sentitamente ringrazia con qualche fuoco d’artificio.
Alle 9 in punto siamo al supermercato di Borgo San Lorenzo.
Silvia si avvicina ad un uomo che non conosco e ci scambia 2 parole che non
comprendo.
-Immortalate?-
-Un intero rullino. Da quando sono scese dalla loro automobile.-
-Anche la targa?-
-Certo.-
-Perfetto.-
La vedo prendere dalla mano dello sconosciuto un rullino
fotografico, di quelli che si usavano quando ancora le macchine fotografiche
non avevano bisogno di un computer. Lo inserisce dentro la busta che sigilla e
contrassegna con una firma sul bordo di chiusura. La mano dello sconosciuto
rimane protesa e riceve un fascio di carte da 50 Euro.
Perplesso mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di Serena che
ha notato lo scambio di denaro.
Poi Silvia passa la busta ad una guardia giurata che sta
aspettando vicino ad una cassa. Il vigilantes le porge un blocco, Silvia lo
firma e riceve un foglio in cambio. Altro passaggio di mano di diverse
banconote da 50 Euro. La guardia giurata saluta e se ne va.
Mi volto verso Serena: sta ancora osservando attentamente quegli
strani movimenti vicino alla cassa.
Le faccio un cenno di saluto, mi risponde con uno sguardo cupo,
quasi di rimprovero.
Finito di elargire soldi a destra e manca Silvia mi richiama
all’ordine.
-Sbrigati! Siamo in ritardo.-
-Per cosa?-
-Abbiamo un appuntamento.-
-Con chi?-
-Con chi è pagato per farci la pelle.-
-E noi… ci andiamo?- faccio sorpreso.
-Certo, caro! Si va a vincere questa partita. Su, veloce!-
Mentre siamo in auto la vedo armeggiare col telefonino.
-Buongiorno, Ottavio! Tutto a posto, grazie. Come sempre sei
affidabile e prezioso. Assicurati del buon esito della consegna. Alle 13 sono
all’aeroporto. Ci vediamo là.-
Fa una seconda telefonata.
-Scusate il ritardo ma abbiamo trovato traffico. Tra 10 minuti vi
raggiungiamo.-
-Sicura di quello che stai facendo?- le domando.
-Zitto e guida.-
Arriviamo al Gran Caffè Leone alle 9 e mezza. Non c’è posto per
parcheggiare la Land.
-Lasciala là.-, Silvia mi indica un posto per disabili vuoto.
-Non si può- ribatto.
-Mettila là e non ti preoccupare- replica.
-La multa la paghi tu!-
Entriamo nel lussuoso bar e ci accomodiamo in una saletta.
Silvia lancia un sorriso delizioso e saluta: -Buongiorno. Scusate
il ritardo.-
Faccio per salutare pure io ma rimango a bocca aperta, come una
bambola gonfiabile.
Alla fine riesco a farfugliare: -Buongiorno, fanciulle!-
-Buongiorno a te, Giorgio- risponde Agata.
-Le conosci?- mi investe Silvia con lo sguardo di fuoco.
-Certo! La carabiniera e la forestale: mi hanno fatto da angeli
custodi, nelle ultime 48 ore.-
-Ahhh!- prosegue Silvia. –Già vi siete calate nella parte?-
Francesca le risponde con uno sguardo perplesso.
-Allora,- ancora Silvia accomodandosi sulla sedia –questo è
quello che volevate- appoggia la busta gialla sul tavolino. –Ma c’è un piccolo
cambiamento.-
Francesca, mentre afferra la busta: -Quale cambiamento?-
-Punto 1: alcune foto e documenti originali me li sono
trattenuti. Punto 2: là dentro troverete solo un distintivo. Uno va a fare
compagnia alle foto e ai documenti.-
-Non erano questi i patti-, interviene Francesca. –Noi vogliamo
tutto.-
-Le foto, il distintivo, una copia del cd di Ardenzi e un
memoriale scritto di mio pugno su quanto successo a San Gerolamo nel 1944 sono
in viaggio per l’estero. Saranno custoditi da una mia persona di fiducia che,
nel caso in cui succedesse uno strano incidente che coinvolga me o Giorgio, è
autorizzata a diffonderlo alle maggiori agenzie stampa del pianeta.-
-Non possiamo accettare questo!- replica ancora Francesca.
-Sicuro?- la interroga Silvia. –Provi a sentire cosa ne pensano a
Roma. Intanto ci prendiamo un caffè. Me lo può ordinare, signorina?- fa
rivolgendosi ad Agata.
Francesca si allontana da noi col telefonino in mano. La vedo
parlare mentre si nasconde la bocca con una mano.
Bevo il caffè e lancio uno sguardo alla Land scostando una tenda
della vetrata.
-Cazzo, i vigili!-
Faccio per alzarmi ma Silvia mi blocca.
-Rimani seduto: ci pensa lei- indicando Agata.
Francesca ha terminato la sua telefonata. Fa un cenno ad Agata
che si allontana ed esce dal locale.
Sbircio dalla vetrata per vedere cosa succede. Agata interrompe
il lavoro della vigilessa mostrandole un distintivo e dicendole qualcosa. Il
tutto funziona, la vigilessa ripone il blocco delle multe dentro al borsello e
se ne va.
Appena torna nel locale e si siede al tavolo Silvia detta le sue
condizioni.
-I nuovi accordi sono questi: manterrò il più assoluto riserbo
sulla faccenda solo nel caso che non vengano fatte pressioni o minacce a
nessuno di noi 2. Non voglio altro. Del materiale fa parte anche un intero
rullino fotografico che vi ritrae mentre arrivate qua e ci state aspettando.
Questo per informarvi che non siete esenti da pericoli.-
Francesca è costretta ad alzarsi ancora dalla sedia e fare
un’altra telefonata. Questa dura qualche minuto in più della prima.
-A Roma dicono che si può trattare- ci informa, raggiungendoci al
tavolo.
-A Roma non hanno capito un cazzo- la secca risposta di Silvia. –L’unica
che posso trattare sono io. E non certo con Roma, ma con chi sanno.-
Altra telefonata. Altra attesa. Altro caffè. Mi rompo le palle ed
esco dal locale per fumare una sigaretta. Noto una cosa strana. Ben 3 auto sono
parcheggiate con qualcuno a bordo tra il viale e la piazza dove si trova il
bar. Un solitario occupante di una di queste auto fa finta di leggere il
giornale. Faccio 2 passi e, fermandomi a una vetrina di un negozio di scarpe,
dal riflesso noto che mi sta osservando.
Quando rientro nel locale trovo le 3 donne che stanno discutendo
tra loro, ma in maniera pacata.
-Fatto tutto!- mi informa Silvia.
-Mi aiuta col soprabito?- chiede ad Agata che, molto gentilmente,
la assiste ad indossarlo e glielo accomoda sul collo e sul davanti, ritirando
su il foulard.
Mi sembra di stare in un negozio di abbigliamento.
Silvia la ringrazia con il suo magnifico sorriso e ci dirigiamo
verso l’uscita.
Ultima botta da vera signora: Silvia paga tutte le consumazioni e
saluta educatamente.
-Ciao, belle!- mi adeguo.
In auto ritorna del solito umore premestruale.
-Buongiorno, fanciulle! Ciao, belle! Ma hai capito che quelle
stavano per dare l’ordine di ammazzarci!-
-Veramente non ci ho capito un cazzo di quello che sta
succedendo.-
-Meglio così. Comunque la devi smettere di fare il cascamorto con
tutte!-
-Io?-
-Tu. Ho visto come guardavi la Francesca, non ci provare…-
-Ti assicuro che…-
-Invece la biondina la dobbiamo invitare , una sera.-
-Perché?-
-Non ti sei accorto della palpata che ha dato alle mie tette? A
quella piace fare il maschietto.-
-Mah…-
Non vedo l’ora di scaricarla all’aeroporto.
Il telefonino la avvisa che è arrivato un messaggio.
Lo legge e la vedo sorridere (finalmente).
-Cosa succede?-
-Nuovo caso in arrivo. Cliente danaroso.-
-Chi ha ucciso?-
-Idiota…- e ritorna del solito umore cupo. –Comunque-, prosegue,
-tutto si è svolto secondo i miei programmi. Ora solo tu hai un compito. E lo
devi assolvere.-
-Cioè?-
-Dimenticare tutto. Cancellare ogni traccia dalla tua mente di
questa storia. Tu non hai trovato le monete romane e nulla è successo. Sono
scomparse anche le uniche prove materiali.-
-Dimentichi Ardenzi e il Maestro.-
-Il Maestro è un malato terminale, poi conosce solo una parte
della storia: quella non pericolosa. Ardenzi ce l’hanno “loro”. Non credo sia
arrivato in carcere vivo.-
-E tu?-
-Io ho già dimenticato tutto- replica con il piglio di una
zitella acida.
?
Accendo Random: il lettore cd, unico lusso concessomi nella Land,
per farmi un po’ di sana compagnia.
Mentre Frenki Ai Energi (o qualcosa del genere) sta cantando la
sua “Quelli che ben pensano” l’incazzata mi investe.
-Ma che musica di merda ascolti?-
-La musica che mi
piace. Nella mia auto. Perché la
prossima settimana non ti prendi un po’ di ferie e vai a sciare?-
Si irrigidisce.
-Non mi piace sciare. Cosa significa?-
-Vorrei starmene un po’ da solo.-
-Giorgio… cosa succede?-
Random, che ha il vizio di farti ascoltare le canzoni registrate
scegliendole a cazzo e non secondo l’ordine di posizione, comincia a diffondere
“Miss Sarajevo”.
E’ uno di quei brani che vanno ascoltati in religioso silenzio,
anche Silvia lo sa. E tace, sfruttando quei preziosi minuti per imbastire
l’arringa di difesa.
Ma Random è perfido, maligno e alleato del sottoscritto.
Terminate le note del capolavoro lancia un micidiale siluro, come un U-Boot
tedesco nell’Oceano Atlantico: Franco Battiato e la sua versione di “Insieme a
te non ci sto più”.
-Insieme a te non ci sto più
guardo le nuvole lassù
cercavo in te la
tenerezza che non ho
la comprensione che non
so
trovare in questo mondo
stupido.
Vedo la petroliera inglese incassare il colpo e vacillare.
Quella persona non sei
più
quella persona non sei
tu…-
La petroliera sbanda vistosamente. Il timone non risponde.
Imbarca acqua e perde lacrime dagli occhi.
-… io cerco boschi per
me
e vallate col sole più
caldo di te…-
Comincia ad affondare e lancia il suo disperato My Day.
-Giorgio… non essere precipitoso… ne dobbiamo parlare con calma…-
Risponde per me Franco Battiato.
-Arrivederci amore ciao
le nubi sono già più in
là
finisce qua
chi se ne va che male
fa.-
-Giorgio… abbiamo tempo. Ora rilassiamoci: abbiamo passato una
brutta esperienza.-
Parcheggio al piazzale dell’aeroporto e le prendo la valigia
senza proferire parola.
-Giorgio… -
Oramai l’acqua ha allagato la sala macchine e l’incendio
scoppiato ha avvolto la petroliera che si è inclinata.
-Giorgio…-
La nave si spezza in 2 appena superato il cek-in la barriera col metaldetector.
La saluto facendole “ciao, ciao” con la manina.
Sulla superficie dell’acqua rimangono una grossa chiazza di
petrolio e alcuni rottami.
Passo al bar a farmi di caffeina per alleggerire la tensione.
Il caffè fa più schifo di quello liofilizzato.
Appena fuori dal fabbricato accendo una sigaretta e comincio a
riflettere sulla mia situazione.
-Basta! E’ ora di cambiare vita!- dico tra me.
E lo comincio spegnendo la sigaretta appena accesa a terra, sotto
gli occhi severi di un addetto alla pulizie. Sorrido imbarazzato e al primo
cestino che incontro ci getto tutto il pacchetto. Salvo solo l’accendino, che
può sempre servire. Mentre lo infilo in una delle diecimila tasche del mio
gilet sento uno strano bozzo. Lo prendo e tiro fuori la scatolina verde con
l’anello etrusco che volevo regalare a Silvia.
-Azz! Mi sono dimenticato…-
Poi, ripensandoci, credo che non abbia senso regalare un anello a
una che hai mollato un attimo prima.
Me lo tengo.
Ma un campanello mi suona dentro la scatola cranica.
E’ una pesante prova di tutta la faccenda che ha incasinato la
mia vita negli ultimi tempi. Non so quanto sia igienico conservarlo. Butto
l’occhio al cestino dove ho gettato le sigarette ma decido che dopo 2000 e
passa anni l’anello non merita quella fine. Cerco di organizzare un pensiero su
come risolvere il problema. Torno al cestino, tiro fuori il pacchetto di
sigarette gettato dentro tra lo sguardo schifato di una coppia di uomini
d’affari con la loro valigetta in mano. Ne accendo una e aspetto l’azione
miracolosa della nicotina, che puntualmente arriva.
Ho la soluzione!
“Salto in auto e parto, dirigo verso te…” direbbe Lucio Battisti.
Viaggio verso Borgo San Lorenzo, parcheggio ed entro nel
supermercato. Cerco con lo sguardo Serena, ma è lei che mi trova per prima e fa
segno con l’indice sinistro di avvicinarmi. Non sembra molto contenta di
vedermi.
Pensare che l’ho fatta assumere io…
L’avevo notata che era una ragazzina, a Borgo San Lorenzo. E lei
aveva notato me. Ci studiavamo con lo sguardo ogni volta che ci incontravamo.
Ma lei era timida e io imbranato: finì in un nulla di fatto. Anni dopo me la
ritrovai nella tana del lupo, al supermercato. Mio padre stava facendo una
selezione per del nuovo personale, io ero in libera uscita e passavo a fargli
un saluto; oramai ero diventato cittadino perugino. La vidi lì, sempre timida e
impacciata, in compagnia dei genitori a parlare con mio padre. Secondo gli
standard del babbo Serena era troppo minuta per fare quel tipo di lavoro. Lui
le voleva alte e ben piantate, più erano robuste e più sopportavano la fatica.
Notai negli occhi di papà il classico disinteresse alla proposta di assunzione.
Lo chiamai in disparte e gli dissi 4 semplici parole che lo stupirono.
-Assumila. E’ l’unica che è venuta con i genitori invece che con
la minigonna. Quella è una ragazza seria.-
Mi raccontò poi Aldo, l’amministratore delegato della società dei
supermercati, che mio padre rimase sorpreso dal mio intervento.
-Le prime parole sensate da quando è nato- fu il suo commento.
Serena fu assunta. Ora ha fatto carriera, da cassiera è diventata
responsabile di supermercato.
Lo sapevo che era in gamba!
Ma quella mattina non era in vena di ringraziamenti.
-Cosa combinavate stamattina?- mi chiede.
-Silvia doveva sistemare alcune cose…- mi giustifico.
-Ho visto passare di mano bei soldoni.-
-E’ una donna generosa.-
-La prossima volta fate i vostri maneggi fuori dal supermercato.
Capito?-
-Non credo che questo problema si riproponga.-
-Bravo- conclude e si allontana.
Poi si blocca e, girata verso me: -Cosa significa?-
-Che… che… ho preso una decisione.-
-Cioè?-
-L’ho mandata a ca… Ho chiuso con lei.-
Serena mi scruta in silenzio, per un lungo ed interminabile
minuto. Poi chiede: -Come mai sei qua?-
Estraggo dalla tasca la scatolina verde e gliela porgo.
-E’ solo un attestato di stima, non farti illusioni.-
Prende la scatolina e si avvia verso il suo box. La seguo. Quando
la apre vedo il suo viso pietrificarsi.
-Non è una proposta di matrimonio- tendo a precisarle.
-Era ora- il suo commento lapidario.
-Cosa, era ora? Che la lasciavo oppure…-
-Tutte e 2. Stasera sei libero?-
-Per fare?-
-Te lo spiego a casa tua- chiarisce (anche troppo). –Porto 2
pizze e la birra, ma arriverò tardi: stacco alle 20.-
Torno al parcheggio con uno strano stato d’animo. Non so se
essere contento della pronta sostituzione o se, forse, fosse stato meglio
aspettare un po’. Almeno un paio di giorni.
Ripenso alla canzone cantata da Battiato.
-… io cerco boschi per
me
e vallate col sole più
caldo di te…-
E sì! Boschi… verdi vallate dove cercare col metal mentre Pogo
scorrazza liberamente rompendo i coglioni a tutti gli animali che vede…
Vorrei tornare al valico sopra San Gerolamo, dove tutto è
cominciato.
In una bella e soleggiata mattina, magari.
Ma forse era destino che dovesse andare così…
Chissà cosa ne pensa Pogo.
Mi risponde la maniglia dello sportello della Land quando la tiro
per aprirlo.
-CLANGH!-
Mancano solo poche pagine e ancora non ho
scoperto nulla. Mi sa che ho preso una fregatura: dovrò buttare fuori dal
convento i gatti a calci nel culo.
Stacco per un caffè e una sigaretta.
Ultima tirata prima della cena.
Almeno
fosse soddisfacente quella…
Morto un Papa se ne fa un altro, dice il proverbio. Mi imbarco in
questa nuova avventura e capisco subito di essermi complicato terribilmente la
vita. Non perché Serena mi opprima o sia troppo possessiva, o perché abbiamo
due stili di vita completamente diversi. Lei è una quasi cittadina, io un rude
uomo delle foreste, quasi un troglodita, agli occhi di molti. Lei è di umili
origini, io mi ritrovo con un pacco di soldi e senza il bisogno di lavorare per
mantenermi. Per contro, Serena è una donna estremamente semplice e pratica,
come me. E questa affinità sarà l’arma vincente, me lo sento.
Il problema è un altro, anzi 2: Silvia e Domiziana. Silvia che
continua a telefonare e, ogni tanto, scende a Perugia, da Domi, e passa a
trovarmi a Carpaneta. Cerco di essere corretto ed avviso sempre della sua
visita Serena che, con qualche timore, cerca di non intromettersi. Domi,
invece, malgrado sia a conoscenza della nuova situazione sentimentale del
sottoscritto, continua imperterrita nelle sue incursioni serali
infrasettimanali, sola o con amiche dotate al seguito.
Ho paura che prima o poi qualcuno scopra quello che non dovrebbe.
Lo
vorrei tanto anche io…
Serena sospetta qualche cosa, ma non
conosce Domi; farò di tutto per evitare che si incontrino. Si limita a cercare
di essere il più presente possibile nella mia vita: non mi dispiace.
La sera, spesso, viene a cena a Carpaneta e rimane a dormire con
me. Dopo cena scatena i suoi bestiali istinti col televisore che ho nel salone.
Stravaccata sul divano pratica il suo sport preferito: lo zapping televisivo.
La cosa mi infastidisce ma, avendo una parte di coscienza lercia, tollero
l’abuso dell’odiato e inutile elettrodomestico e le faccio compagnia seduto
alla scrivania a navigare nella rete.
E’ una di queste sere che succede tutto.
Sono quasi le 10 (22 italiane) quando Serena mi chiede qualcosa
da bere. Vado in cucina e le verso un chinotto nel bicchiere. Per me un altro
caffè, bello corto (in Italia si dice ristretto), amaro e con una goccia di
Varnelli.
Quando torno nel salone col vassoio in mano alla tv c’è
Lucarelli, con il suo solito tono grave, che parla di uno dei tanti misteri
d’Italia.
“… e questa è una delle sue rarissime immagini fotografiche,
scattata molti anni fa. Il Grande Vecchio, colui che ha guidato da dietro le
quinte la nostra nazione dagli anni 60 in poi, non amava farsi vedere o
fotografare in pubblico…”
Volgo lo sguardo al video mentre appoggio il vassoio sul tavolino
vicino al divano.
Lo vedo.
E’ lui! E’ lei!
La foto col signore distinto che esce dall’automobile.
Come un pugno ricevuto nello stomaco.
Mi cade il vassoio dalle mani, finendo a terra.
Un sapore acido di vomito mi sale dall’esofago.
Barcollo e appoggio un ginocchio a terra.
-Oddio, Giorgio! Cosa succede?- sento gridare Serena.
-Nulla… nulla…- riesco a biascicare.
-Sei pallido, bianchissimo-, aggiunge. –sembra che hai visto un
fantasma.-
-L’ho visto-, dico raccogliendo i cocci a terra. –Spengi la tele,
per favore. Vado a riprenderti da bere.-
-CLANGH!-
Dopo una decina di giorni ricevo a casa un pacchetto. Lo apro. Un
biglietto mi comunica che il Maestro è morto e aveva espresso il desiderio di
farmi avere il piccolo album fotografico che tengo in mano. Scorro le
fotografie: sono quelle che ha scattato tanti anni prima alla colonia felina di
Borgo San Lorenzo.
Sento scendermi sulle labbra delle lacrime salate. Non so bene il
perché. Forse l’aver rivisto tanti mici che ora non ci sono più.
O, forse, per il sapere di essere l’unico depositario di una
storia maledetta. L’unico a sapere che chi ha veramente gestito lo Stato negli
ultimi 40 anni è solo un pazzo criminale, massacratore di donne e vecchi.
Sì! Sono il solo a saperlo e poterlo dimostrare.
Silvia lo sa, ma non ha un cazzo in mano.
Il notaio di Vaduz non sa della storia e in mano ha solo un
rullino fotografico, una busta con dei fogli bianchi, un cd con foto
pornografiche e una memoria di un’avvocatessa impazzita.
La mattina ho sostituito il contenuto originale della busta con
del ciarpame. Non mi piace essere considerato un idiota e non venire messo a
conoscenza di cose che mi riguardano.
Se ce ne fosse bisogno, tutto il materiale è murato dentro la
nicchia che si scorge sopra al plastico del trenino. Dove ho trovato la pistola
e il coltello col manico d’avorio durante i restauri di Carpaneta.
Oh
cazzo…
Di Fausto Ardenzi non ho avuto più notizie.
Prima di Natale mi è arriva una busta dal Kenia. E’ della Don
Nello Benizzi Foundation. Contiene un calendario, un opuscolo illustrativo
delle opere compiute nell’anno in corso e quelle da compiere in futuro. Ci sono
pure le informazioni per effettuare un’offerta.
La sera stessa 2000 Euro prendono la via telematica per il Kenia.
E’ finito.
Rimango in stato di semiebetismo per qualche
minuto. Qualcosa dentro me dice di fare sparire quel diario. Per sempre.
L’istinto di sopravvivenza consiglia di conservarlo e, magari, aggiungere
quello che mi è accaduto quasi tre anni fa. In ogni caso me lo metto in tasca.
Lo baratterò con la permanenza dei gatti al convento; non può rimanere qua.
Come Serena l’ha fatto leggere a me può farlo leggere a chiunque. Poi lei ha
anche le prove di quello che è accaduto nel giugno del 1944 qua intorno.
Aveva
ragione Carmen: sono stati i “nostri” a fare le pulizie grosse
Sento Serena chiamarmi dalla cucina: la cena
è pronta.
Ci sediamo a tavola e cominciamo a mangiare
delle bruschette condite con varie salse.
-Allora? mi chiede.
-Hai una cosa troppo pericolosa in mano, -
le rispondo. -La verità su dei fatti che sono costate troppe vite umane. E che,
probabilmente, ne costeranno ancora.
-Ne sono certa. Ma non era questo che volevo
sapere da te.
-E cosa?
-Giorgio. L’hai riabilitato?
-Sì. Mi è sembrata una persona genuina,
forse un po’ sprovveduta, ma ci sono ancora troppi aspetti della sua
personalità che devono essere chiariti. Comunque Giorgio non mi interessa più.
Lui è capitato per caso in quella storia.
-Interessa a me, però, - replica. -Dimmi
quali sono gli aspetti poco chiari.
A
lei interessa solo la reputazione di Giorgio. E’ una sprovveduta come lui. Non
ci dovrebbero essere problemi per tenersi il diario. Cercherò di assecondarla:
la riabilitazione di Giorgio può far pendere il piatto della bilancia più dei
sacchi di pulci.
-Ho indagato molto su Giorgio, - bluffo, -ma
non credo che sarei arrivato a scoprire il segreto che nascondeva. Però ci sono
dei punti ancora troppo oscuri e ambigui per poterlo considerare una vittima
della situazione.
-Spiegati.
-Anni fa è successo un casino poco distante
da qua. Dei morti eccellenti durante un festino a base di droga e sesso. I
“nostri” hanno coperto il tutto ma la testa che doveva cadere non è caduta.
Mi guarda sorpresa.
-Che c’entra Giorgio?
-Non lo so con precisione, ma ti assicuro
che in qualche modo c’è entrato.
-Non capisco.
-La droga tagliata male l’avevano portata
due trans della scuderia di Domiziana. Secondo le usanze i due trans e
Domiziana dovevano pagare i danni con svariati anni di carcere.. Invece un
certo rapporto le ha salvate. Il rapporto è stato scritto dal Capitano
Francesca Coletti, sicuramente su pressioni di Giorgio. Giorgio ha sfruttato la
sua posizione per coprire degli assassini.
-Ti sbagli, - si versa del vino bianco.
-Giorgio non ha sfruttato la sua posizione per salvare Domiziana: ha offerto
uno scambio.
-Cosa? – penso subito alle prove che si era
trattenuto.
-La pistola e il coltello che aveva trovato
nascoste nella nicchia della cripta.
-Perché?
-La pistola era quella di un serial killer
che la Polizia non era riuscita ad incastrare. Con il coltello lo hanno
incastrato. L’aveva fatto fabbricare da un noto artigiano ed era numerato. Con
un controllo dal costruttore lo hanno inchiodato. Ne avrai sentito parlare.
-Sì. - confermo. -Ma Giorgio come faceva a
sapere che quelle armi erano dell’assassino?
-Giorgio aveva usato la pistola per sparare
a un vecchio che aveva avvelenato Pogo. Dai rilievi della Scientifica sono
risaliti all’arma utilizzata. La stessa che aveva usato il serial killer.
-Giorgio ha ucciso un vecchio?
-Non l’ha ucciso, l’ha storpiato. Gli ha
sparato a tutte e due le rotule.
-Ancora alle rotule?
-Secondo Giorgio la morte era una punizione
troppo lieve. Quel tizio doveva soffrire fino alla fine dei suoi giorni.
Pensala come ti pare, ma approvo il suo gesto. Pogo era come un fratello per
lui.
-Perché l’avrebbe avvelenato?
-Il vecchio era un bastardo: un cacciatore e
bracconiere. Forse era convinto che eliminando Pogo potesse entrare liberamente
nella tenuta di Carpaneta a piazzare trappole.
-Scusa. Qualcosa non mi torna. Com’è
riuscita la Polizia a risalire a Giorgio? Si è costituito?
Serena si fa una grassa risata.
-Giorgio che si costituisce? Neppure se
aveva azzoppato il Presidente della Repubblica! Giorgio si faceva giustizia da
solo, come Ken Parker.
Ken…
-Le indagini le ha condotte Francesca, -
prosegue Serena, -che ha capito subito chi poteva essere il colpevole. Ma
lasciò perdere: doveva proteggere Giorgio. Quando i riscontri della
Scientifica, o forse i RIS, non ricordo, portarono alla stessa arma usata dal
serial killer Francesca intervenne direttamente con Giorgio. Giorgio capì la
situazione e la sfruttò: le armi in cambio della salvezza di Domiziana.
L’affare fu fatto col placet di Roma. Era più importante un serial killer che
la tenutaria di un bordello.
-Non hai una grossa considerazione di
Domiziana.
-Al contrario. Domiziana è una persona molto
furba e in gamba. Ha solo un difetto.
-Quale?
-E’ senza scrupoli, se può essere
considerato un difetto.
-Ancora una cosa, - continuo. -Che rapporto
c’era tra Giorgio e i mafiosi Palmisano?
-Nessuno. Solo affari. Puliti.
-Questa raccontala a un altro…
-Ti giuro. Giorgio se li è trovati in casa
quando ha ereditato. Aveva una percentuale della proprietà dei supermercati e,
di conseguenza, un posto nel consiglio di amministrazione. Ma ci andava
malvolentieri: non capiva cosa succedeva nel prendere quella o l’altra
decisione. Giorgio non si era mai interessato di finanza e supermercati.
-Come hanno fatto i Palmisano a diventare
soci di maggioranza?
-Hanno comprato dal padre di Giorgio. Ma già
ci erano dentro da tempo. L’amministratore delegato, Aldo, era un uomo dei
Palmisano. Il padre di Giorgio ha fatto la guerra, nel 1944, con Giovanni
Palmisano, il vecchio boss. E a lui e ai suoi soldi deve la creazione della
catena di supermercati.
-Perché Giorgio non ha venduto la sua quota
se sapeva di essere in società con una famiglia mafiosa?
-Non poteva. Erano gli accordi stretti da
Giovanni Palmisano e suo padre. Doveva rimanere nella società: Giovannino
Palmisano, il figlio, nuovo reggente della famiglia, non si fidava di Giorgio.
Aveva paura che trovasse documenti compromettenti e li rendesse pubblici.
-Che documenti?
-I diari di suo padre. I Palmisano sapevano
che il padre di Giorgio teneva un diario personale.
-Forse non si trattava di lavoro.
-Non hai conosciuto il padre di Giorgio.
Tutto e solo lavoro.
-Giorgio l’ha trovato il diario?
-Sì. In un vecchio magazzino che neppure lui
sapeva di possedere. Erano ventisette diari. C’era descritta l’ascesa della
catena dei supermercati e tutti i traffici con i Palmisano.
-Li hai letti?
-Certamente, - risponde tranquilla. -Letti e
bruciati nella stufa a legna. Duemila famiglie campano con gli stipendi dei
dipendenti dei supermercati, non era minimamente pensabile affidarli alla
magistratura.
-Che funzione hanno i supermercati?
-Ora come ora sono delle aziende come le altre.
Devono produrre utili. Te lo posso assicurare: come presidente della Fondazione
“Progetto Pogo” amministro la quota di proprietà che era di Giorgio.
-Significa che…
-Che “Progetto Pogo” è in società, in
un’azienda, con la famiglia Palmisano. Sicuramente ho più contatti io con
Giovannino Palmisano che, allora, Giorgio. Giovannino ci ha aiutato ad aprire
nuove strutture e ricoveri per gatti. Per contro faccio sì che gran parte dei
lavori di manutenzione e costruzione siano affidati a ditte della famiglia
Palmisano. E’ tutto perfettamente legale.
-Un’ ultima cosa.
-Dimmi.
-La prima volta che ci siamo visti mi hai
dato da intendere che “Progetto Pogo” è corazzato, finanziariamente parlando.
-Esatto. Quando i supermercati erano delle
immense lavatrici di denaro da riciclare il padre di Giorgio aveva accantonato
un’ingente somma di denaro all’estero. Neppure Giorgio lo sapeva. Lo ha
scoperto dai diari. Quel denaro, messo in mani capaci, ha fruttato e continua a
fruttare diversi milioni di Euro all’anno.
-Milioni di Euro? - chiedo esterrefatto.
-Milioni, esatto. “Progetto Pogo” è
destinato a perpetuarsi nel tempo.
-Gestisci milioni di Euro?
-Come presidente della fondazione. Gli
investimenti sono in mano a Silvia. Ha uno staff di esperti per questioni
finanziarie.
-Silvia? Silvia… quella Silvia?
-Sì. Silvia Pisani. Non è simpatica, ma è
una donna capace.
Ci concediamo un caffè. Ne ho proprio
bisogno, dopo aver saputo tutte queste cose. Appena accendo la sigaretta
comincio la trattativa.
-Sono quasi convinto di tutto ciò che hai
detto, ma rimane un fatto.
-Quale?
-La tua fondazione è nata e cresciuta con
denaro sporco.
-Lo stiamo ripulendo e utilizzando a scopi
benefici. Non vedo il problema.
-E se un giorno la Guardia di Finanza
scoprisse gli altarini della famiglia Palmisano?
-Al limite dovrei rinunciare alla quota di
proprietà dei supermercati. Ma non credo interessi a nessuno mettere in mezzo
alla strada duemila dipendenti.
-Per cui, secondo te, Giorgio è stato solo
una vittima delle situazioni.
-Sì, ne sono sicura. Giorgio era una persona
dall’animo e dalla vita semplici. Non si sarebbe mai sognato di fare società
con alcuno, figurarsi coi mafiosi.
-Lo sai che tutte queste coincidenze sono
costate la vita di due mie colleghe e quasi la mia?
-Vedi, - risponde pacata, -tu non sei una
persona semplice e sei troppo prevenuto col prossimo. Se, quando ti sono venuti
dei dubbi su Giorgio, lo avessi chiamato e
fissato un appuntamento ti avrebbe chiarito lui stesso tutti i punti,
come ho fatto io, ora.
-Ne dubito: il segreto che conservava era
troppo pericoloso per svelarlo ad un estraneo. Poi Francesca ed Agata avrebbero
saputo comunque del mio interesse e sarebbe successa la stessa cosa.
-Giorgio non ti avrebbe mai svelato quel
segreto. Fatto sta che neppure io sapevo nulla. Ma ti avrebbe convinto a
desistere dalle indagini.
-Sparandomi alle rotule?
Serena si fa una grassa risata.
-Ahahahah! Sempre meglio zoppo che tra la
vita e la morte per due anni!
-Rimane un punto, - dico con l’espressione
seria.
-Lo so, - la replica.
Serena si alza dalla sedia e prende un
pacchetto da un cassetto.
-Tieni. Queste sono le prove che Giorgio
aveva conservato. Decidi cosa farne.
Rimango spiazzato.
-Ma, - prosegue, -in ogni caso, Giorgio non
deve essere tirato in ballo. E neppure altre persone di sua conoscenza.
-Pensavo di distruggere il diario, - le
confesso tirandolo fuori dalla tasca della giacca.
-Era una cosa che avrei dovuto fare anni fa…
-Che facciamo? - le chiedo.
Serena si alza di nuovo e mi fa cenno di
seguirla. Andiamo nel salone. Apre lo sportello della grossa stufa a legna che
riscalda mezzo appartamento. La fiamma che brucia la legna colora di arancio il
suo viso. Prende la busta e ne estrae le foto, il certificato di morte presunta
e il cd. Li getta dentro. Poi tocca al distintivo e ad altri ritagli di
giornale. Si scansa e mi indica la bocca della stufa da cui escono delle fiamme
di storia. Ci avvicino il diario tenendolo con tre dita e lo lascio scivolare
dentro.
Sono pronto a cominciare una nuova vita.
Uno
scroscio di applausi accoglie la fine della lettura del capitolo.
-
Bellissimo!
-
Stupendo!
- Un
capolavoro!
I commenti
dei randagi che continuano a spellarsi i fagioli delle zampe anteriori
applaudendo.
Una
standing ovation da Concerto di Capodanno.
- La
prossima volta cosa leggiamo? – domanda QUARK timidamente.
- Come:
‘Cosa leggiamo’? – ribatto – Mica il romanzo è terminato!
Vedo
PALLUCCHINO, che ha appena terminato la convalescenza, svenire e crollare a
terra.
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Il piccolo QUARK soddisfatto della lettura |