giovedì 27 novembre 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO





VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
16a puntata





Abbiamo un altro nuovo lettore: un enorme gatto maschio intero, con l’espressione perennemente incazzata e la coda gonfia. Se ne sta nascosto dietro un ceppo di castagno ad ascoltare la lettura.
Per non intimidirlo facciamo finta di niente ma non riusciamo a capire se sia effettivamente interessato alla lettura o stia ad osservare un branco di gatti pazzi che ascoltano un’immane porcheria.
L’unanimità vota la seconda opzione.
Allora, per farlo contento, non ci rimane che continuare la lettura dell’obbrobrio di Favio Bolo.

20
Suono al citofono dell’ingresso della villa del Maestro.
-Chi è?- risponde una voce femminile.
-Sono Giorgio Gaddi. Vorrei parlare con il Maestro.-
-Il Maestro non sta bene, oggi. Non può riceverla.-
-Volevo solo consegnargli una foto di suo padre. Potrei lasciarla a lei.-
-Un attimo, prego.-
Dopo un paio di minuti il cancello elettrico comincia ad aprirsi. La stessa voce femminile mi invita dal citofono.
-Prego, si accomodi.-
Attraverso il viale che porta all’ingresso della casa. Nel prato rasato e ben curato ci sono diverse sculture su piedistalli. Non commento, neppure tra me.
La porta di casa viene aperta da una giovane signora, in tenuta para ospedaliera.
?
-Prego, si accomodi. Il Maestro non può alzarsi, ma la aspetta nella stanza da letto. Non lo faccia stancare. Oggi non sta proprio bene.-
-Devo tornare in un altro momento?-
-Venga-, mi accompagna fino all’entrata della camera.
Vedo una persona distesa sul letto, di età indefinibile e pessimo aspetto. Attaccata al suo braccio destro c’è una flebo.
Questo non sta poco bene… sta decisamente male.
-Chi è lei?- domanda con un filo di voce.
-Sono Giorgio Gaddi, di Carpaneta. Non ci conosciamo, Maestro.-
-Lei crede?-
Rimango interdetto dalla domanda.
-Le ho portato una vecchia foto di suo padre.-
Gliela porgo, la prende con la mano sinistra e la osserva attentamente sotto la luce artificiale di una abat-ju lampada sul comodino.
-La riconosco- dice. –L’ho smarrita tanti anni fa. Come mai ce l’ha lei?-
-L’ho presa a una persona che la custodiva. Ma è una storia lunga…-
-Lunga… dal 1944?-
-Esatto.-
-E cosa vorrebbe, lei?-
-Sapere la verità su quello che è successo nel giugno 1944 a San Gerolamo.-
-Perché?-
-Curiosità personale.-
-Mmm… magari sta cercando dell’oro. Tanto oro.-
-No. Quello, se mai fosse esistito, sarà già finito da qualche parte, ben custodito. Io voglio sapere solo quello che è successo.-
-Se lo faccia spiegare dal suo amico Mario.-
-Mario? Intende Fausto Ardenzi? L’ex carabiniere con la zoppia alla gamba destra?-
-Esatto. Ma non sapevo che si chiamasse Fausto Ardenzi.-
-Come fa a conoscerlo?-
-E’ venuto qua alcuni giorni fa. A minacciarmi. Lo stupido: di cosa vuoi minacciare un malato terminale?-
-Perché l’ha minacciata?-
-Per lo stesso motivo per cui lei, ora, è qua: l’oro.-
-A me l’oro non interessa, sul serio. Questa foto l’aveva proprio l’Ardenzi, o Mario, come meglio vuole chiamarlo.-
-E perché gliel’ha data?-
-Non me l’ha data. Me la sono presa. Minacciava pure me, Mario.-
-Dovrei crederci? Cos’ha di tanto importante per subire le minacce di quell’uomo?-
-Ho trovato le monete della collezione Alfano.-
-Sui giornali c’è scritto che il ritrovamento è opera della Soprintendenza.-
-Già. Ma non c’è scritto che stavano un metro sottoterra, vicino al passo dove suo padre ha subito l’agguato dei partigiani della Brigata Trasimeno. Dentro una cassetta portamunizioni insieme a una medaglietta devozionale dell’inaugurazione della nuova chiesa di San Girolamo Nuovo.-
-No. Non c’era scritto così. Cosa vuol sapere da me?-
-Com’è andata la faccenda. La verità. Ci pensi. Tornerò quando mi farà chiamare. Le lascio il mio numero di telefono.-
-Forse sarà troppo tardi, allora. Domani ho un nuovo ricovero all’ospedale di Perugia. Spero sia l’ultimo.-
Segue un momento di imbarazzato silenzio. Non so più come comportarmi.
-C’erano degli accordi tra i partigiani e le SS-  comincia a raccontare. –Alfano e la sua famiglia contro la sua collezione di opere d’arte, le monete e i gioielli. Dell’oro non si era parlato. Ma i tedeschi sapevano che era nascosto dentro le casse insieme alle opere d’arte. Due percorsi, il veloce per mettere in salvo il gerarca e la sua famiglia, il lungo, ma privo di pericoli, per portare al sicuro, in Germania, l’oro e tutto il resto. Ma, qualcuno tra i tedeschi, tradì. Anche la colonna dei camion con la collezione Alfano fu attaccata al passo sopra San Gerolamo. Una strage, due soli superstiti. Mio padre e un suo camerata che fu poi catturato dai russi prima della fine della guerra. Questo è quanto mi raccontò mio padre dell’episodio. Finita la guerra mio padre conobbe le conseguenze di essere stato soldato tra i perdenti. E non solo: soldato delle SS. Fu costretto a rifugiarsi in Svizzera e a cambiare il suo cognome con quello di sua madre. Nel 1970 tornò da queste parti per compiere la sua vendetta. Ma si fidò delle persone sbagliate e fu trovato morto in un bosco. Lo uccisero.-
-Chi?-
-Quelli che non c’erano riusciti nel 1944. Era pur sempre uno scomodo testimone e la sete di vendetta per quello che i tedeschi avevano poi fatto a San Gerolamo non si era placata. Dopo alcuni anni sono arrivato io, ingenuamente, per far luce su quanto accaduto. A differenza di mio padre sono stato fortunato. Ho trovato chi mi ha protetto in cambio della promessa di chiudere le ostilità e far cessare la faida.-
-Chi è?-
-Era. Don Nello Benizzi, il parroco di San Girolamo Nuovo.-
-Ah, sì! Quello morto in Vaticano.-
-Ucciso in Vaticano, per la precisione.-
Aggrotto le sopracciglia.
-Perché?-
-Perché quell’oro faceva gola a tutti. Tutti erano diventati della belve per spartirsi la fetta più grossa. Anche lo IOR, la banca vaticana, aveva messo in pista dei detective per ritrovarlo. Ma scoprirono una cosa. Dell’oro se ne era appropriato la persona meno sospettabile: Don Nello Benizzi.-
-E… cosa ne ha fatto?-
Il Maestro mi indica col capo un quadretto appeso alla parete alle mie spalle.
Lo osservo, è la foto di un moderno ospedale in terra africana.
-Don Nello Benizzi Foundation! Ma come ha fatto ha mandarlo in Africa?-
-Le vie del Signore sono infinite…-
-Prima o poi finiscono anche quelle- rispondo.
-Ci ha creato una rete di missioni e di opere utili alla vita di quei poveracci nei villaggi sperduti della savana. In Kenia, in Uganda, in Namibia e in Botswana. In Vaticano non hanno gradito, e hanno chiuso i conti.-
-Mi hanno riferito di un infarto.-
-Mmm… menzogne. I gioielli della famiglia Alfano sono serviti per la ricostruzione di San Girolamo. Delle monete se ne è disfatto personalmente. Non mi aveva detto di averle sotterrate.-
-Ma ha voluto, comunque, lasciare una traccia: la medaglietta devozionale. Oro, gioielli e monete erano nel quarto camion? Quello bruciato?-
-Sì.-
-Perfetto. Ora so tutto. Maestro… la ringrazio e le auguro un…-
-Nulla. Non mi auguri altro se non di morire presto e serenamente. La sa una cosa?-
Lo interrogo con lo sguardo.
-Noi ci conosciamo. Anni fa sono venuto alla colonia felina di Borgo San Lorenzo a fare delle foto ai gatti. Lei era là a dar loro da mangiare.-
-Ancora me ne occupo, anche se saltuariamente. Ora ci pensa una mia conoscente.-
-Aspetti un momento. Le ho lasciato in eredità la storia dell’ “Affare Alfano”, ma non è completa. Apra il secondo cassetto di quel mobile. C’è una piccola scatola verde. La prenda, così l’eredità è totale. E’ un regalo che mi ha fatto Don Nello Benizzi.-
Prendo la scatolina e la apro. Ne tiro fuori un anello d’oro. Pesante e antico; non è l’oro di oggi, legato al 25% con altri metalli, è oro puro. Al 100%. Lo riconosco, ha quel colore giallo pesante, tendente quasi all’arancio.
-L’anello etrusco!-
-Sì. Gli altri gioielli etruschi sono serviti per la costruzione della chiesa. Lo conservi: tra 1000 anni sarà il solo testimone di quel giugno.-
-La ringrazio.-
Sto per uscire dalla stanza ma il Maestro mi blocca ancora.
-Deve ancora farmi l’ultima domanda. Non vorrebbe, ma i suoi occhi la tradiscono.-
-Quanto?- sparo.
-2560 chili.-
-Alla prossima, Maestro!-
-Addio.-
Con il pensiero di 2560 chili di oro nella mente torno a Carpaneta. Rinuncio a trasformarli in lire: troppo complicato. Sono comunque un mucchio di soldi. Troppi, per tutti.
Ma… a me non interessano.
Non mi interessa più nulla di questa storia.
Ho raggiunto il mio obbiettivo: il gioiello etrusco.
Farà una figurona dentro la teca sotto al tavolinetto del salone.
Me ne rallegro, anche se la visione del Maestro moribondo e la storia che mi ha raccontato mi lasciano l’amaro in bocca.
Tocco la scatolina verde appoggiata sulle mie gambe, mentre guido.
Tutti questi morti per poche tonnellate d’oro…
Comunque sono arrivato alla fine della storia, anche se non doveva interessarmi più.
Sorrido soddisfatto.
Ma cazzo! mi avrebbero sparato per dell’oro che è finito in Africa?
Non sono per niente convinto di quello che ho letto. Certo, ancora mancano diverse pagine del diario e sono tutte scritte.
Controllo l’orologio: è ora di andare.
Saluto Serena e le auguro la buona cena confermandole la mia presenza per l’indomani pomeriggio.
-Sono rimaste un paio di ore di lettura.
-Bene! - replica. -Però, domani, rimani a cena. Sicuramente vorrai alcune spiegazioni.
-Accetto. Solo?
-Meglio di sì, - consiglia Serena.

Ci si prepara alla nuova sessione di lettura


1 commento:

  1. Tazza, dovresti intensificare le sedute di lettura, non vediamo l'ora di sapere come andrà a finire!

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