VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
10a puntata
Il clamore suscitato dalla lettura dell’inedito di Favio
Bolo ci ha portato sulla ribalta mondiale.
National Geographic TV,
Animal World, Felix Catus Channel e un non meglio identificato ÃÊOIŒƒæÕ¼ ‰Ω∫ŒÇ di origini aliene organizzano una
diretta intergalattica per la lettura del nuovo capitolo.
Sono costretto a pulirmi, pettinarmi e mettere l’antipulci per
questioni di fotoigienicità.
Maledetto Favio Bolo!
CAPITOLO 14
Lo prendo in mano. Sa di
antico con la spessa copertina in cartone rivestita di tessuto. Anche le
pagine: fogli di carta ruvida al tatto, senza righe.
ma non poteva utilizzare il computer?
Forse questo Giorgio era
un uomo di altri tempi, poi guardo la fotografia sul ripiano della libreria.
Barba lunga, mimetica e scarponi infangati: sembra un rozzo analfabeta, eppure
ha scritto questa memoria.
Lo apro, mi siedo sul
divano e comincio la lettura.
Sulla seconda di
copertina c’è una dedica:
A Serena,
così conoscerai anche l’inizio della
storia.
P.S. Nella malaugurata ipotesi di una mia prematura e
sospetta dipartita (se mi fanno fuori) ti prego utilizzare tutte le informazioni che troverai su
questo diario, insieme alle prove fisiche (ho scritto dove sono nascoste), per
distruggere (anche fisicamente) i colpevoli.
P.P.S. Non credo siano così pazzi da fare questa cazzata,
ora che si è sistemato tutto.
Comunque…
P.P.P.S. Se la mia dipartita dovesse risultare una cosa
non sospetta ti prego di leggerlo e di archiviarlo, insieme alle famose prove,
dentro la stufa a legna, possibilmente accesa.
Ho sempre pensato che chi avesse bisogno di scrivere le
sue memorie fosse o un pazzo (megalomane) o uno di memoria corta.
A me tocca scriverle per sopravvivenza.
Mi chiamo Giorgio Gaddi, classe 1958, (anche se nei
documenti c’è scritto 1959) per cui ho tra i 40 e 41 anni, a scelta. Sono già
in pensione, da cinque anni, a causa di un incidente sul lavoro. Ero nei Vigili
del Fuoco e… che cazzo ve ne frega?
???
Dicevo, anzi scrivevo, sono in pensione ma sto bene,
fisicamente e intellettualmente (anche se in giro qualcuno sostiene il
contrario), e posso fare quello che cazzo mi pare perché ho tutto il tempo e le
possibilità di farlo. Mio padre (pace all’anima sua) mi ha lasciato di che
vivere felice e contento per altri 1000 anni.
Un paio di corposi conti correnti, una decina di
appartamenti tra Perugia e Borgo San Lorenzo e una tenuta chiamata Carpaneta.
Sono due colline, boscose. Su quella più alta c’è il borgo, un vecchio carstrum castrum romano ristrutturato nei
secoli successivi. Sono tre case, una casa torre e l’immancabile chiesetta
(‘sti preti sempre in mezzo a rompere i coglioni!).
ma cosa scrive?
Il Babbo aveva comprato tutto per un po’ più di un tozzo
di pane per restaurarlo e farci un resort, una di quelle residenze esclusive
con lussi, lazzi e terme per i ricconi bisognosi di spendere pacchi di soldi
pur di rilassarsi senza avere noie (volevo scrivere rotture di coglioni ma,
poi, va a finire che divento volgare).
Le terme! Tra le due colline ci sono delle pozze di acqua
calda, leggermente sulfurea, che sono uno spettacolo! Vengono chiamate “Le
piscine”.
Morto Babbo e visto questo posto la decisione è stata
immediata: Carpaneta doveva diventare la mia residenza. Non me ne frega nulla
se sta in culo al mondo, se per fare provviste spendi più di gasolio che di
spesa e se, quando nevica, potrebbe venirti a bussare alla porta lo Yeti.
Ho deciso che era perfetta per me e lo è diventata.
Ah! Poi il Babbo mi a
ha lasciato anche una quota di proprietà di una catena di supermercati e il
suo posto nel consiglio di amministrazzione.
Una sega mostruosa! Ogni 3 mesi mi tocca mettere la giacca per andare a sentire
un mucchio di numeri e stronzate e votare qualcosa che non capisco. Pazienza…
perché questa presentazione?
Poi controllo la seconda
di copertina. La dedica è scritta con un’altra penna, dalla punta più sottile.
la dedica l’ha aggiunta dopo…
Continuo nella lettura
concedendomi una sigaretta.
28 settembre 1999
Comincia l’avventura, se fosse stato un romanzo l’avrei
chiamato “CLANGH!”
Ma non è un romanzo, purtroppo.
La scoperta la feci quasi per caso, poco dopo i ruderi
del paese di San Gerolamo. Sotto un ammasso di rovi trovai i resti di
un’edicola votiva. Stava a significare solo una cosa: una volta lì ci passava
un sentiero che conduceva…
Già! Dove avrebbe condotto
potuto condurre?
C’ho studiato sopra, a lungo, sulle cartine dell’IGM e
sulle foto satellitari disponibili in Internet.
Ho tanti vizzi e
poche virtù ma innumerevoli passioni. Una di queste è la ricerca di oggetti
antichi, smarriti o sepolti volontariamente, col metal detector.
Sì! Me lo dicono tutti! E’ un passatempo pericoloso;
fuorilegge. Non è che non puoi girare col metal per boschi, valli e campi, devi
solo stare attento a quello che trovi. La legge italiana è estremamente chiara
in merito: tutto quello che sta sottoterra, ed è più vecchio di 50 anni, è di
proprietà dello Stato. Cioè, lo devi restituire. Considerando la storia del
patrio suolo si trova di tutto e di tutte le epoche. Ma a me interessa solo una
cosa: le medagliette devozionali. Quelle che, una volta, tutti portavano appese
al collo con la raffigurazione del santo o del papa preferito. C’è tutto uno
studio in merito alla devozione legata al collo e all’utilizzo delle
medagliette coi santi come talismani o amuleti contro le principali malattie e
le avversità dei tempi. Praticamente la gente non ci aveva capito un cazzo.
Venerava un santo con un rito strettamente pagano. mMa non ci interessa tutto ciò.
Interessa la mia collezione di medagliette devozionali
per riti pagani. Negli anni di ricerca ne avrò cacciate fuori dalla terra un
duemila, circa. Tante. In tutti i materiali, le forme e le condizioni di
conservazione. Ne ho più che in di un
qualsiasi museo italiano, credo.
E la storia e l’esperienza, mi insegnano che dove ci stà
un’edicola votiva una volta c’era un luogo di culto (pagano) o una via di
comunicazione, spesso usata dai pellegrini che dovevano raggiungere Roma o
Loreto o andavano dove cazzo gli faceva comodo.
Sopra i ruderi di San Gerolamo ce ne stava una, bisognava
trovare l’altra o le altre per tracciare la vecchia via dei pellegrini.
E, grazie ad una meticolosa ricerca e a una buona
memoria, la trovai. Stava dall’altra parte delle colline, anche questa
abbandonata, poco sopra un paesino chiamato Madonna dei 3 fossi.
Dalle foto satellitari ho stabilito il probabile
tracciato e il tratto dove sarebbe stato più facile fare dei ritrovamenti. Una
radura incassata tra 2 colline lunga poco più di un chilometro e larga qualche
centinaio di metri: era il valico.
Il meteo è favorevole, si parte di prima mattina. A
cercare!
Ma sono troppo ottimista. Superato San Gerolamo, poco
dopo i ruderi dell’edicola trovo la vecchia via quasi cancellata dalla
vegetazione. Con il mio Land Rover, che credevo fosse un Defender passo corto
con il cassone (come i pik pick-up) e
invece è una Serie 2 vecchia di più di
20 anni, arranco e mi apro la strada tra la vegetazione, usandolo come un
ariete. Fino a che arrivo ai resti di un ponticello in muratura, su un fosso,
crollato e che non permette di avanzare col fuoristrada.
-Si scende, bello!- faccio a Pogo, il mio fedele cane,
frutto dell’orgia di sua madre con innumerevoli specie razze canine.
Dopo aver controllato di aver preso tutto l’occorrente
vado a chiudere lo sportello della Land e sento il classico “CLANGH!” della
serratura che si rompe per l’ennesima volta. Medito seriamente di sostituirla
con un chiavistello. Semplice, pratico e economico.
-Vai Pogo! Si sale fino in cima!-
Dopo una buona mezz’ora di camminata siamo alla radura.
Finalmente!
Ma non siamo soli: sono arrivate anche delle minacciose
nuvole ma, finché minacciano e non buttano acqua, va bene.
Accendo il Mito (sarebbe il modello di metal che ho),
faccio tutte le operazioni necessarie per iniziare la ricerca: lo abbatto, lo
stabilizzo e faccio la rituale pisciata propiziatoria, e vado.
Primi 10 minuti: 3 segnali buoni. Un bottone abbastanza
recente, un’Apetta (10 centesimi di VE2, che sarebbe Vittorio Emanuele II) e
Sant’Anastasio Magundat con il Crocifisso di Sirolo. Una Lauretana, la prima
medaglietta della giornata. Integra e ben conservata. La inserisco nella
scatolina del posto d’onore. Poi altro segnale: il solito fondello di cartuccia
che mi frega sempre e la prima goccia di pioggia.
Alzo gli occhi al cielo e ne conto un’altra cinquantina.
Poi il rombo di un tuono e comincia a piovere sul serio. (evito di trascrivere
tutte le madonne che ho tirato giù)
Spengo il metal (meglio non dare troppe indicazioni ai
fulmini), richiamo Pogo che sta odorando l’erba un centinaio di metri avanti e
mi precipito nel vicino bosco per ripararmi. Camminiamo un po’ dentro al bosco
fino ad arrivare ad uno spiazzo cquasi
circolare con una grossa quercia in mezzo.
Non è la classica carbonaia che si incontra in tutti i
boschi. Poco lontano dalla quercia c’è un enorme masso. Sta spiovendo, ne
approfitto per fare merenda. Prima di salire su per queste colline mi sono
fermato dalla Gigetta. La Gigetta è una adorabile vecchia, proprietaria,
insieme al fratello Sebastiano, dello spaccio di Treggio, una minuscola
frazione proprio sotto la strada che sale a Carpaneta, composta da 4 o 5 case
sparse lungo la strada principale e il famigerato spaccio (un antesignano dei
moderni centri commerciali, dove si vende di tutto: dalle uova fresche alle
bombole del gas, dalle sigarette ai pannolini per bambini, anche se a Treggio
ci stanno solo vecchi. Forse i pannolini sono per loro).
Quando esco in “cerca” la mattina mi fermo là a comprare
la colazione. Stamattina la Gigetta aveva appena sfornato la schiacciata con la
cipolla, di cui vado pazzo, dal suo forno a legna. Me ne ha incartata un metro
quadro. Per Pogo (sì, pensa pure a lui!) ha preparato due fettine sottili di
pane casereccio (il suo famoso filone sciapo, cotto sempre nel solito forno a
legna, ma solo due volte alla settimana, tanto si conserva bene) con quattro
erte fette di mortadella tagliata rigorosamente a mano. Da bere voleva darmi,
per forza, un quartino del suo vino rosso (famoso nella zona perché alza 13
gradi e stordirebbe un toro) ma ho preferito la solita birra (tassativamente
Peroni) in lattina.
Mi sa che l’ho presa larga. Se continuo di questo passo
non arriviamo mai al dunque.
credo proprio di sì…
Dunque: ho mangiato, bevuto e preso pure il caffè del termos thermos e fumo osservando con
occhio critico lo spiazzo, la quercia e il masso.
Sembra un antico luogo di culto, sicuramente un luogo
dove si riuniva gente.
Decido di fare un piccolo assaggio. Riaccendo il Mito, lo
setto “nervoso”; ho bisogno di avere qualche centimetro in più di profondità a
scapito della nitidezza del segnale. (Ma che ve ne frega!)
Comincio la ricerca. Subito fruttuosa: due proiettili
integri del vecchio moschetto italiano, un’altra Apetta e lo scheletro di un
coltello a serramanico. Il tutto piuttosto superficiale, forse era un luogo di
incontro di partigiani. Ma in un punto si scatena l’inferno.
Un mix di suoni acuti, ma col sottofondo di rumore di
ferro, esplode dentro le cuffie. Un segnale quasi incomprensibile, sia per
materiale che per profondità e grandezza dell’oggetto sottoterra.
Ci studio qualche istante: l’oggetto è grande, anche
troppo. Sicuramente una grande fregatura.
A meno che…
Un meteorite!
Potrebbe benissimo essere, anche se non li ho mai trovati
in vita mia.
In questo sport bisogna essere curiosi, è il requisito
fondamentale. Spesso oggetti che al suono sembravano immondizia si sono
rivelati cose interessanti. Per scoprirlo non basta il metal detector: devi
scavare e tirare su il targhet
bersaglio.
Comincio lo scavo con Pogo che mi gira intorno nervoso,
forse vuole scoprire se dentro allo zainetto ho un altro panino con la
mortadella.
Dopo alcuni minuti scopro che il mio zappetto non è
all’altezza della situazione. Lo scavo stà diventando profondo. Troppo
profondo.
Prima di rinunciare ripasso sulla buca col Mito per
sentire se sia il caso o meno di continuare.
I suoni sempre uguali: acuti (cioè buoni) e cupi (ferro:
non buono). Delimito la grandezza dell’oggetto: è enorme.
Oh cazzo! Penso.
O qualche stronzo ha seppellito un bidone metallico o
sotto ci sta la tomba di un antico guerriero con le sue armi e lo scudo, bronzo
e ferro (ci può stare).
Riprende a piovere ma le fronde della grande quercia mi
riparano adeguatamente.
Continuo lo scavo, stavolta piccono senza pietà e scendo
più che posso.
Mi fermo appena in tempo. Col pinpointer (un attrezzo che
serve a localizzare l’oggetto nella buca) sento che mancano pochi centimetri.
Continuo con cautela e quando sento di essere arrivato tolgo la terra con la
mano guantata. Sento una superficie piatta. Finisco di togliere tutta la terra
e, dopo una decina di minuti mi appare il coperchio di una cassa metallica per
munizioni.
Si possono immaginare quante madonne ho tirato giù.
Cassa di lamiera: suono cupo del ferro. I proiettili che
ci staranno dentro: suono acuto dell’ottone.
La cassa, però, è interessante. Se non fosse mangiata
dalla ruggine, quasi quasi…
La tiro su, pesa quanto un colpo: è ancora piena di
munizioni, ma non è rovinata. Con un po’ di attenzione, quando l’aprirò, potrò
salvare anche le cerniere che chiudono il coperchio. Ripulita e restaurata, dove
serve, diventerà un bell’oggetto di arredamento.
Sono fradicio, Pogo pure. Riprendo tutti i miei strumenti
e mi carico sulla spalla la cassa. L’aprirò a casa e le munizioni le scambierò
con quel pazzo del Tigre, un cercatore di reperti di militaria che va in
orgasmo ogni volta che gli porto o segnalo qualche granata inesplosa o tutto
ciò che ha ha a che fare con la seconda
guerra mondiale.
Con molta fatica, tagliando per il bosco con Pogo che fa
da guida per tornare alla Land, torniamo al punto di partenza. Carico la cassa
sul cassone e la copro con un telo (hai visto mai che la Polizia mi fermi e
vada a curiosare proprio là dietro?). Butto il Mito dentro la cabina e ci
faccio entrare pure Pogo. E’ zuppo fradicio, non può stare sul cassone, si
prenderebbe una polmonite.
La controindicazione è che puzza come una capra tibetana.
Mi tocca tenere il finestrino (se ne apre solo uno) aperto.
Arriviamo a Carpaneta. Faccio scendere dalla Land Pogo e
preparo il pranzo per i miei coinquilini.
Sì! Ho dei coinquilini. Mica sono un eremita! Con me
vivono, oltre Pogo, anche sei gatti, tutti trovatelli raccolti per strada in
condizioni disperate e due somari: Gneo e Pompeo. Loro non li ho raccolti per
strada, ma come se fosse. Carlo, un mio amico veterinario, mi disse che il
contadino che li aveva voleva disfarsene vendendoli ad un macello. Li ho
comprati io, e loro, per ripagarmi del gesto (e della spesa) “lavorano” alle
mie dipendenze. Con due colline boscose uno dei miei passatempi, sicuramente l’unico
non costoso, è il taglio della legna che mi serve per riscaldare casa e il
laboratorio (sarebbe la chiesetta sconsacrata). Taglio, seziono le piante che
devono essere abbattute e Gneo e Pompeo trasportano a domicilio in cambio di
vitto e alloggio. Hanno solo due difetti: ragliano troppo e cacano in
continuazione. Ma, almeno loro, a differenza di tutti gli altri abitanti di
Carpaneta (me compreso) lavorano. Ogni riferimento a Pogo e ai sei pulciosi è
puramente causale casuale.
Scarico la cassa delle munizioni e la appoggio su un
tavolo del laboratorio. Prendo la Svitol e lo spruzzo sulle chiusure e le
cerniere. Forse, dopo, riuscirò ad aprirla senza romperle.
Si pranza con quello che ha preparato Gigetta. Fa anche
la cuoca e quello che prepara lo vende bello e
pronto a chi lo desidera. Sono un suo fedelissimo cliente. Oggi ha
preparato i cannelloni alla ricotta al forno (sempre quello a legna), palline
di spinaci lessate da saltare in padella e un pezzo di caciotta fresca di
quelle che solo lei sa trovare dai vari contadini della zona.
Pisolo. Dopo pranzo devo tassativamente fare una
dormitina. Se non riesco a stendermi sul letto dopopranzo, divento
intrattabile.
Stacco un po’ dalla
lettura. Mi devo sgranchire le gambe e ho voglia di un altro caffè e sigaretta.
Fumo sul piazzale
esterno, appoggiato al muretto che lo delimita e da cui si scorge un panorama
mozzafiato.
ho l’Umbria ai piedi
Ripenso a quello che ho
letto. E’ troppo presto per trarre conclusioni ma il Gaddi mi appare come una
persona innocua.
che, però, nasconde dei segreti…
TAZZA ESCE DALLA SALA TRUCCO |
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