lunedì 28 luglio 2014

IL SOLARIUM LETTERARIO





VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
7a puntata




Continua a piovere, tutti i pomeriggi che il calendario ha creato.
Ci distraiamo un poco proseguendo la lettura dell’inedito di Favio Bolo.
Solo il Professor PALLUCCHINO, terminati gli scrutini e gli esami, si rifiuta di partecipare alla lettura collettiva e fa la guardia ai nuvoloni in cielo.

CAPITOLO 11
Mi accampo nell’appartamento perugino per ovvi motivi di praticità: non ho più un’auto e in città ci si muove meglio, ho Antonella vicina e, soprattutto, non me la sento di tornare al convento di Migiana. Ho saputo che la zia è morta un paio di mesi dopo il mio attentato. Niente crepacuore per il dispiacere: una banale influenza non curata e trasformatasi in una letale polmonite.
La mia convalescenza cittadina va benissimo. Acquisto un’altra auto, un’utilitaria usata, combattendo contro la volontà di Antonella che aveva deciso per una Mercedes station wagon (nuova). Trombo come un riccio, cercando di tornare in pari con gli arretrati, con Antonella. E comincio a ricordare.
Qualche pezzo di puzzle già l’avevo cominciato a mettere al posto giusto, da solo, senza parlarne con alcuno. Ricordo dei miei trascorsi (fallimentari) nei Servizi Informativi Militari, qualche piccola operazione dei SIG, alcune discussioni con Ursula, ma non riesco a far luce sugli ultimi avvenimenti. Non so chi e perché mi abbia sparato e non riesco a collegare nessun ricordo a questo cazzo di Celestino Pancrazio, di professione anarcoinsurrezionalista. Mi faccio una cultura in merito a questi nuovi professionisti dell’eversione e giungo alla medesima conclusione del commissario Mistretta: sono un parafulmine da utilizzare quando le istituzioni sono in difficoltà.
Il commissario Mistretta si fa viva un paio di volte per avere qualche buona notizia fresca, ma non viene soddisfatta.
Questa è una matassa che so non quanto mi convenga e abbia voglia di sbrogliare.
Un nodo lo sciolgo una sera con Antonella.
-Mi spieghi perché dici che sei mia moglie? Non risulta che siamo sposati.
-E’ come se lo fossimo. Avevamo deciso per il matrimonio, dovevamo solo fissare la data a seconda della disponibilità della chiesa.
-Sposarci in chiesa? Quando mai ho acconsentito a questa pazzia?
-Poco prima che ti sparassero, - risponde. -Avevamo deciso per il matrimonio classico, prima di mettere in cantiere un bambino.
-Un bambino? Odio i bambini! Sono mostri. Li detesto quasi quanto i gatti. Sei sicura di averne parlato con me?
Si incazza, mette il muso e se ne va. Per dieci giorni non si tromba.
La richiamo io, ho la scusa per fare pace: il Ministero delle Finanze vuole che paghi la tassa di successione, un salasso.
Voglio che mi accompagni alla casa di Migiana, so che ha le chiavi.
Ho scoperto che la vita di città non mi piace, troppo rumorosa e caotica. Poi vorrei prendere una decisione: per pagare la successione devo, necessariamente, vendere l’appartamento di città o il convento di Migiana.
Ne parlo con Antonella e, naturalmente, lei mi consiglia di vendere la casa di Migiana.
-Già era vecchia prima. Ora, dopo due anni di abbandono, sarà un mezzo rudere, - la sua teoria, neppure presa in considerazione dal sottoscritto.
Un giovedì pomeriggio mi ci accompagna.
Come scendo dall’auto e respiro l’aria pulita e il silenzio di Migiana decido cosa vendere; addio Perugia!
Apro la porticina nell’antico e monumentale portone di ingresso al chiostro e rimangono subito sorpreso. Dal giardino, che continua ad essere curato e non invaso da sterpi ed erbacce come immaginavo. E dai gatti: ce ne sono una ventina stesi sull’erba a prendere il sole. Alcuni mi vengono incontro e si strusciano sulle mie gambe. Li allontano sgarbatamente e li fulmino con sguardi feroci.
Antonella apre la porta del mio appartamento. Entro. Tutto in ordine, solo un po’ di puzza di muffa e uno spesso velo di polvere sul mobilio e i pavimenti. La stessa cosa nell’ex appartamento della zia.
-Come mai non hanno staccato l’energia elettrica? - domando. -Pure il giardino è curato.
-Ci ho pensato io, - risponde la futura consorte. -Ho pagato le bollette che sono arrivate e ho fatto fare manutenzione al giardino.
-Grazie, poi facciamo i conti!
Mentre mi accendo un sigaretta noto un particolare che stona: i gatti.
-Mia zia è morta da quasi due anni e questi ancora stanno qua. Come mai non se ne sono andati?
La risposta mi appare alla porticina di ingresso al chiostro. Una giovane fanciulla con due secchi di plastica e una busta nelle mani. Tutti i gatti le vanno incontro festanti.
?
-E quella chi è? - chiedo ad Antonella.
La ragazza deposita i secchi a terra e si avvicina.
-Ciao, Antonella! - fa.
La guardo sospettoso.
-Andrea, lei è Catia, volontaria di un’associazione animalista. Si è occupata dei gatti in questi anni. Io non potevo e non sapevo come risolvere il problema.
-Li cacciavi, semplice.
Catia, invece di porgermi la mano, mi lancia uno sguardo di fuoco.
-Sono arrivati i problemi? - domanda ad Antonella.
-Forse, - risponde.
-Sicuro, - replico.
Catia non mi guarda e non risponde, comincia a versare il cibo per gli animali su delle ciotole.
-Se ne devono andare, - sentenzio.
-Aspetta un attimo, - mormora Antonella.
La volontaria continua imperterrita il suo lavoro.
-Ne parliamo dopo, - continua la sempre meno probabile futura moglie.
-Intanto io ne parlerò con Serena, - interviene la gattara, mentre accarezza uno degli ex gatti della zia.
Inizio a passeggiare, nervoso, per il giardino. Noto un’altra cosa. Un vecchio ripostiglio, forse un corridoio inutilizzato, ha una porta nuova con una gattaiola montata. La apro e vedo che il locale è diventato il dormitorio dei sacchi di pulci. Ci sono cucce, cestini e scatole con delle coperte dappertutto.
-E qui? Cos’è questo schifo? - quasi urlo.
-Il ricovero per i gatti, - risponde Antonella. -Non si potevano più far entrare in casa e quella era la soluzione migliore.
-Questo locale va sgombrato, - ordino. -Mi serve lo spazio per metterci il mobilio di Perugia.
-Aspetta, Andrea.
-Cosa?
Ce ne torniamo a Perugia che sono incazzato come una locomotiva.
L’unica frase, durante il viaggio, è di Antonella: -Ci penso io a risolvere la situazione, stai tranquillo.
A cena riscopro l’uso della parola.
-Vorrei sapere come ti è venuto in mente…
-Vorrei vedere cosa avresti fatto tu, al posto mio! Conosco la presidentessa di quell’associazione animalista e le ho chiesto aiuto. E’ lei che ha provveduto alla manutenzione del giardino, - spiega.
-Grazie.
-Già, - continua, -avevo il rimorso di aver trascurato tua zia. Ma lo sai: non andavamo d’accordo. Era fastidiosa come una zanzara.
zanzara…
Chiudiamo la serata da perfetti promessi sposi: ognuno a casa propria.
E’ alle quattro del mattino che ho la folgorazione.
Zanzara!
Mi sveglio, mi alzo dal letto e preparo il caffè.
lei può aiutarmi…
La mattina stessa vado a Colle San Giovanni, mi sono ricordato del nostro ufficio.
Quando suono alla porta vedo una targa che mi lascia perplesso.
STUDIO ASSOCIATO Avv. TARDIOLI
? avrò sbagliato porta?
Si affaccia una segretaria e le domando della S.E.A. la ditta di copertura della nostra agenzia.
-Non saprei, - risponde, -l’avvocato ha preso questi locali un anno fa. Credo che prima ci fosse una ditta di informatica fallita.
Ringrazio e dirigo al vicino distaccamento della Camera di Commercio.
Faccio una visura sulla S.E.A. e scopro che non è mai esistita.
svanita pure Zanzara
Medito se far partecipe della scoperta il commissario Mistretta, poi ricordo che anche Zanzara è cosa nostra. Soprassiedo.

Il Professor PALLUCCHINO si rifiuta di assistere alla lettura
del capolavoro di Favio Bolo

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