VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
7a puntata
Continua a piovere, tutti i pomeriggi che il calendario ha
creato.
Ci distraiamo un poco proseguendo la lettura dell’inedito di
Favio Bolo.
Solo il Professor PALLUCCHINO, terminati gli scrutini e gli
esami, si rifiuta di partecipare alla lettura collettiva e fa la guardia ai
nuvoloni in cielo.
CAPITOLO 11
Mi accampo
nell’appartamento perugino per ovvi motivi di praticità: non ho più un’auto e
in città ci si muove meglio, ho Antonella vicina e, soprattutto, non me la
sento di tornare al convento di Migiana. Ho saputo che la zia è morta un paio
di mesi dopo il mio attentato. Niente crepacuore per il dispiacere: una banale
influenza non curata e trasformatasi in una letale polmonite.
La mia convalescenza
cittadina va benissimo. Acquisto un’altra auto, un’utilitaria usata,
combattendo contro la volontà di Antonella che aveva deciso per una Mercedes
station wagon (nuova). Trombo come un riccio, cercando di tornare in pari con
gli arretrati, con Antonella. E comincio a ricordare.
Qualche pezzo di puzzle
già l’avevo cominciato a mettere al posto giusto, da solo, senza parlarne con
alcuno. Ricordo dei miei trascorsi (fallimentari) nei Servizi Informativi
Militari, qualche piccola operazione dei SIG, alcune discussioni con Ursula, ma
non riesco a far luce sugli ultimi avvenimenti. Non so chi e perché mi abbia
sparato e non riesco a collegare nessun ricordo a questo cazzo di Celestino
Pancrazio, di professione anarcoinsurrezionalista. Mi faccio una cultura in
merito a questi nuovi professionisti dell’eversione e giungo alla medesima
conclusione del commissario Mistretta: sono un parafulmine da utilizzare quando
le istituzioni sono in difficoltà.
Il commissario
Mistretta si fa viva un paio di volte per avere qualche buona notizia fresca,
ma non viene soddisfatta.
Questa è una matassa
che so non quanto mi convenga e abbia voglia di sbrogliare.
Un nodo lo sciolgo una
sera con Antonella.
-Mi spieghi perché dici
che sei mia moglie? Non risulta che siamo sposati.
-E’ come se lo fossimo.
Avevamo deciso per il matrimonio, dovevamo solo fissare la data a seconda della
disponibilità della chiesa.
-Sposarci in chiesa?
Quando mai ho acconsentito a questa pazzia?
-Poco prima che ti
sparassero, - risponde. -Avevamo deciso per il matrimonio classico, prima di
mettere in cantiere un bambino.
-Un bambino? Odio i
bambini! Sono mostri. Li detesto quasi quanto i gatti. Sei sicura di averne
parlato con me?
Si incazza, mette il
muso e se ne va. Per dieci giorni non si tromba.
La richiamo io, ho la
scusa per fare pace: il Ministero delle Finanze vuole che paghi la tassa di
successione, un salasso.
Voglio che mi
accompagni alla casa di Migiana, so che ha le chiavi.
Ho scoperto che la vita
di città non mi piace, troppo rumorosa e caotica. Poi vorrei prendere una decisione:
per pagare la successione devo, necessariamente, vendere l’appartamento di
città o il convento di Migiana.
Ne parlo con Antonella
e, naturalmente, lei mi consiglia di vendere la casa di Migiana.
-Già era vecchia prima.
Ora, dopo due anni di abbandono, sarà un mezzo rudere, - la sua teoria, neppure
presa in considerazione dal sottoscritto.
Un giovedì pomeriggio
mi ci accompagna.
Come scendo dall’auto e
respiro l’aria pulita e il silenzio di Migiana decido cosa vendere; addio
Perugia!
Apro la porticina
nell’antico e monumentale portone di ingresso al chiostro e rimangono subito
sorpreso. Dal giardino, che continua ad essere curato e non invaso da sterpi ed
erbacce come immaginavo. E dai gatti: ce ne sono una ventina stesi sull’erba a
prendere il sole. Alcuni mi vengono incontro e si strusciano sulle mie gambe.
Li allontano sgarbatamente e li fulmino con sguardi feroci.
Antonella apre la porta
del mio appartamento. Entro. Tutto in ordine, solo un po’ di puzza di muffa e
uno spesso velo di polvere sul mobilio e i pavimenti. La stessa cosa nell’ex
appartamento della zia.
-Come mai non hanno
staccato l’energia elettrica? - domando. -Pure il giardino è curato.
-Ci ho pensato io, -
risponde la futura consorte. -Ho
pagato le bollette che sono arrivate e ho fatto fare manutenzione al giardino.
-Grazie, poi facciamo i
conti!
Mentre mi accendo un
sigaretta noto un particolare che stona: i gatti.
-Mia zia è morta da
quasi due anni e questi ancora stanno qua. Come mai non se ne sono andati?
La risposta mi appare
alla porticina di ingresso al chiostro. Una giovane fanciulla con due secchi di
plastica e una busta nelle mani. Tutti i gatti le vanno incontro festanti.
?
-E quella chi è? -
chiedo ad Antonella.
La ragazza deposita i
secchi a terra e si avvicina.
-Ciao, Antonella! - fa.
La guardo sospettoso.
-Andrea, lei è Catia,
volontaria di un’associazione animalista. Si è occupata dei gatti in questi
anni. Io non potevo e non sapevo come risolvere il problema.
-Li cacciavi, semplice.
Catia, invece di
porgermi la mano, mi lancia uno sguardo di fuoco.
-Sono arrivati i
problemi? - domanda ad Antonella.
-Forse, - risponde.
-Sicuro, - replico.
Catia non mi guarda e
non risponde, comincia a versare il cibo per gli animali su delle ciotole.
-Se ne devono andare, -
sentenzio.
-Aspetta un attimo, -
mormora Antonella.
La volontaria continua
imperterrita il suo lavoro.
-Ne parliamo dopo, -
continua la sempre meno probabile futura moglie.
-Intanto io ne parlerò
con Serena, - interviene la gattara, mentre accarezza uno degli ex gatti della
zia.
Inizio a passeggiare,
nervoso, per il giardino. Noto un’altra cosa. Un vecchio ripostiglio, forse un
corridoio inutilizzato, ha una porta nuova con una gattaiola montata. La apro e
vedo che il locale è diventato il dormitorio dei sacchi di pulci. Ci sono
cucce, cestini e scatole con delle coperte dappertutto.
-E qui? Cos’è questo
schifo? - quasi urlo.
-Il ricovero per i
gatti, - risponde Antonella. -Non si potevano più far entrare in casa e quella
era la soluzione migliore.
-Questo locale va
sgombrato, - ordino. -Mi serve lo spazio per metterci il mobilio di Perugia.
-Aspetta, Andrea.
-Cosa?
Ce ne torniamo a
Perugia che sono incazzato come una locomotiva.
L’unica frase, durante
il viaggio, è di Antonella: -Ci penso io a risolvere la situazione, stai
tranquillo.
A cena riscopro l’uso
della parola.
-Vorrei sapere come ti
è venuto in mente…
-Vorrei vedere cosa
avresti fatto tu, al posto mio! Conosco la presidentessa di quell’associazione
animalista e le ho chiesto aiuto. E’ lei che ha provveduto alla manutenzione
del giardino, - spiega.
-Grazie.
-Già, - continua,
-avevo il rimorso di aver trascurato tua zia. Ma lo sai: non andavamo
d’accordo. Era fastidiosa come una zanzara.
zanzara…
Chiudiamo la serata da
perfetti promessi sposi: ognuno a casa propria.
E’ alle quattro del
mattino che ho la folgorazione.
Zanzara!
Mi sveglio, mi alzo dal
letto e preparo il caffè.
lei può aiutarmi…
La mattina stessa vado
a Colle San Giovanni, mi sono ricordato del nostro ufficio.
Quando suono alla porta
vedo una targa che mi lascia perplesso.
STUDIO ASSOCIATO Avv.
TARDIOLI
? avrò sbagliato porta?
Si affaccia una
segretaria e le domando della S.E.A. la ditta di copertura della nostra
agenzia.
-Non saprei, -
risponde, -l’avvocato ha preso questi locali un anno fa. Credo che prima ci
fosse una ditta di informatica fallita.
Ringrazio e dirigo al
vicino distaccamento della Camera di Commercio.
Faccio una visura sulla
S.E.A. e scopro che non è mai esistita.
svanita pure Zanzara
Medito se far partecipe
della scoperta il commissario Mistretta, poi ricordo che anche Zanzara è cosa nostra. Soprassiedo.
Il Professor PALLUCCHINO si rifiuta di assistere alla lettura del capolavoro di Favio Bolo |
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