domenica 15 febbraio 2015

IL SOLARIUM LETTERARIO





VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
25a puntata




Questi sbalzi di temperatura tra la mattina e le ore centrali della giornata mi provocano un fastidioso mal di gola con raucedine ed abbassamento della voce.
EMILIA prescrive 10 giorni di riposo assoluto e il divieto di fumare qualsiasi cosa: dalle sigarette che rubo al Capo, ai toscani che CORNIOLA frega al contadino, ai siluri artigianali che spaccia INTREPIDO.
Una vita d’inferno! E neppure posso continuare la lettura del capolavoro letterario!
OFELIA mi chiede l’onore di poter leggere gli ultimi capitoli di ‘Vuoto a perdere’ in mia vece; glielo concedo in cambio di un pacchetto di Merit sgraffignato dentro un’auto in sosta.
La micia nera si schiarisce la voce e cominciala la lettura del 30° e penultimo capitolo.

30

Passo una settimana d’inferno. Sono incazzato col mondo intero; non ho finito il lavoro e so che ho un socio di cui non mi posso fidare, anzi. Maltratto il coglione, Serena, i gatti e pure i due somarelli, Gneo e Pompeo, che non c’entrano un cazzo. Ma non riesco a digerire il fatto di essere stato a un passo dal fallimento e dalla mia prematura dipartita.
Cominciano tutti a starmi alla larga, gatti compresi. Finché un pomeriggio arriva Domiziana avvisata da Serena del mio precario stato psichico.
- Cosa ti succede, soldatino?
- Mi sono rotto i coglioni di aspettare per venire ucciso. Voglio scopare!
- Quando?
- Ora!
- Con Antonella?
- Con chi ti pare! Voglio scopare! Ho bisogno di scopare! Anche con te.
- Mmm… Non mi sembra il caso, se lo viene a sapere Agata si incazza.
- Scopo pure lei!
- Zitto soldatino! Vestiti e prendi un cappello che ti copra il viso.
- Perché?
- Andiamo a scopare.
Faccio una doccia in 30 secondi e mi cambio in ancora meno tempo. Afferro un cappellino da baseball e sono pronto.
- Dove andiamo? – le chiedo.
- Ti porto a Perugia, una mia amica ha una casa di appuntamenti. L’ho già avvertita.
- Puttane?
- Puttane. Se un giorno ci sarà l’occasione ti gratificherò io.
- Ogni promessa è debito…
La vedo sorridere sorniona – Contaci, soldatino.
Arriviamo in auto alla periferia di Perugia e parcheggiamo nel garage sotterraneo di un grande condominio. In ascensore vedo Domiziana premere il pulsante per il quattordicesimo piano.
Usciamo dall’ascensore ed entriamo in un appartamento con una porta socchiusa che una splendida donna sulla cinquantina accosta prontamente.
- Ciao, sono Ivette! – mi dice stringendomi la mano e tenendosela per un po’ tra le sue.
- Cosa proponi al mio amico? – le fa Domiziana.
- Ho una giovane moldava molto carina, una rumena con due tette così – mimandole con le mani sul suo petto – Due brasiliane, mulatte, con o senza cazzo. Oppure io!
- Quale vuoi? – indaga Domiziana.
- Tutte. Anche te, Ivette!
- Tutte? Mi costerai una cifra!
- Frega una sega, sono troppi mesi che non trombo.
- Va bene. Ivette, allerta la truppa! Però, con quello che spendo, soldatino, voglio stare là a guardare.
- Così se mi avanzano, due botte le do pure a te!
- Vai soldatino.
Vado. Vengo. Non vinco un cazzo, ma al ritorno a Carpaneta sono un altro.
- Contento? – chiede Domiziana.
- Tu che dici?
- Sei andato mooolto bene! Rinnovo la promessa.
- Non farne parola con Antonella.
- Antonella? Antonella… chi?
Con l’anima, il cuore e il cazzo in pace trascorro quattro giorni sereni a Carpaneta prima della nuova visita di Domiziana e Agata.
- Ci siamo ragazzi! – l’esordio della slovena.
- Ecco il prossimo, e ultimo, bersaglio! – fa Agata porgendomi una busta.
- So già chi è – rispondo svogliato attirandomi addosso sguardi poco benevoli.
- Non sono mica stupido… - aggiungo – comunque credo sia un progetto irrealizzabile.
- Zitto soldatino – Domiziana – Il generale Minutoli ha la sua brava scorta, lo sai, ma anche i suoi punti deboli. Che noi conosciamo.
- Tutti abbiamo punti deboli – obietto – ma lui ha la scorta. O mi procurate tanto di quel tritolo che gli faccio superare il salto di Carrero Blanco o non se ne fa niente. Da solo contro quattro o cinque uomini armati non ci vado.
- In due – aggiunge Ken. – Siamo in due!
- Zitto, coglione.
- Ascoltami – fa Domiziana sedendosi sulle mie cosce e mostrando  un notevole stacco di gambe nude.
- Così è difficile stare ad ascoltarti – le appoggio una mano sulla coscia destra.
Si riprende e apre la busta mostrandomi le foto.
- Ecco com’è oggi il Generale Minutoli – porgendomi la foto. – Questa è la sua auto privata – foto di una Smart. – E questo è il suo punto debole – Una bellissima donna di circa cinquanta anni.
- Lo capisco…
- Lei – prosegue – è dei nostri ed è da tempo la sua amante. Si incontrano in una nostra casa isolata nella campagna poco fuori Roma. Lui è sempre sposato con la sorella di quel politico, e a lei deve la sua carriera. Lei pure è sposata, al marito non frega una sega di cosa faccia, ma sono mesi che ha costretto il generale a incontri nella massima segretezza e senza scorta.
- Allora? – domando.
- Il piano è semplice – interviene Agata. – Voi state a Roma e lei fissa un appuntamento col generale alla casa. Non si presenta ma lo avverte telefonicamente quando lui è arrivato, inventandosi una scusa. Lui è costretto a riprendere l’auto e tornare indietro. La strada che deve fare è stretta, due auto affiancate non ci passano. lo bloccate e lo riempite di piombo. Poi scappate.
- Sarebbe meglio aspettarlo alla casa – commento.
- No, dalla casa si scorge un pezzo della strada provinciale che sta dall’altra parte della collina. Non dovete correre rischi. Aspetterete in auto in uno slargo e vi avviseremo telefonicamente dell’arrivo del generale. Allora opererete. Lungo la strada che porta alla casa.
- No! – obietto – Ora non si può fare. Il generale sarà in massima allerta per quello che abbiamo già fatto. Non è stupido; sa che ora tocca a lui! Aspettiamo ancora qualche mese, che allenti le difese.
- No! – ancora Agata – E’ un coglione; anche ieri sera è andato a scopare con lei. Senza scorta.
- Ok – annuisco malvolentieri – voglio tutti i dettagli, compreso il numero di targa della Smart. Dopo quello che successo l’ultima volta la fiducia è calata.
Un’altra busta appare magicamente nelle mie mani.
Ci sono tutte le informazioni possibili, pure foto della strada nei suoi vari tratti.
- Non siamo sprovvedute – aggiunge Domiziana – Questo è il bersaglio che interessa a noi: non possiamo assolutamente fallire. L’ultimo bersaglio è mio, soldatino. Ricordi?
- Certamente.
Dedico due intere giornate a motivare il coglione.
Lo vedo troppo rilassato, lui ha terminato la ‘sua’ missione, anzi: gliel’ho terminata io. Non ha la minima percezione del pericolo. Sarei tentato di lasciarlo a casa e farmi accompagnare da Agata o Domiziana; sicuramente mi darebbero più garanzie.
Ma il coglione mi rassicura: - Facciamo l’ultimo colpo e leviamoci dai coglioni alla svelta. Sono stufo di tutto, non vedo l’ora di cominciare una nuova vita all’estero.
- A spalare merda di dromedario… - aggiungo – il massimo delle mie ambizioni. Ma vaffanculo!
- Ti vedo teso – continua.
- Sono teso. Devo essere teso. Non posso fidarmi di te. E non mi fido di loro.
- Tranquillo, fratello.
- Ma vaffanculo! Tu e tutto il tuo parentado.
Passiamo una settimana in attesa del via libera studiando e ripetendo alla nausea il piano per neutralizzare il generale. E’ semplicissimo: troppo semplicissimo. Non mi fido.
Il martedì mattina scatta l’ora X.
Ci imbarcano su una monovolume e ci fanno scorta Agata e Domiziana, forse neppure loro si fidano di noi.
Nel primissimo pomeriggio siamo in piena zona operativa.
Saliamo su un’utilitaria per fare la ricognizione di rito. La strada dove dovremo agire è proprio come la descrivono le foto: stretta, con diverse curve e molte buche. Non vedo traccia di altre auto o passanti, neppure telecamere di sorveglianza, anche se, credo, ce ne stiano, ma ben nascoste. Il generale non è un coglione, checché ne dicano. Uno che ha bruciato tutte le tappe ed è a capo dei Servizi Informativi Governativi, pur essendo un militare, ha i coglioni e i contro coglioni foderati di acciaio.
Non mi fido.
Per l’operazione utilizzeremo una vecchia Toyota Land Cruiser verde. Lenta, robusta e con il verricello elettrico applicato al paraurti anteriore.
Alle 16,06 ci comunicano che il generale è in viaggio, con la sua Smart bianca, e si trova a cinque chilometri dal bivio della strada dove opereremo.
Alle 16,13 lo vediamo. Mette la freccia e si arrampica sul nastro di asfalto dove rimarrà senza vita.
Ken mette in moto la Toyota e, dopo un minuto, gli faccio segno di avviarsi.
Parte e imbocca la strada lentamente ripetendo al alta voce le varie fasi del piano.
- No! – gli dico – C’è un cambiamento!
- Ma… - prova a ribattere.
- Silenzio! Si fa come dico io. Cento metri dopo il punto che loro hanno scelto c’è una breve diritta. Lo dobbiamo incrociare là.
- Ma la strada là si allarga! – protesta.
- Silenzio! Appena lo vedi dai tutto gas e ti vai a schiantare contro la Smart. Un frontale, voglio un frontale in piena regola! Non provare a toccare i freni!
Il coglione mi guarda perplesso, poi chiede: - Ma ci devo andare a cozzare contro?
- Esatto! Alla massima velocità possibile! Devi ridurre la sua auto ad un ammasso di lamiere contorte.
- E tu?
- Vedrai.
Arriva la comunicazione di Domiziana che ci informa che il generale è stato avvertito dell’imprevisto.
Da dietro a una curva aspettiamo di vedere la Smart che sta tornando indietro.
La vedo. Faccio cenno a Ken di andare.
- Pista, Dio bono! Pista sull’acceleratore! Più forte! Più forte!
Ken ride come uno scemo e affonda il piede sul pedale.
Vediamo la Smart alla fine delle diritta. Apro lo sportello una decina di centimetri e mi puntello con i piedi e la mano sinistra. Lo Uzi silenziato è tra le mie gambe, senza sicura.
- VAIIII!!! – grido a Ken – PASSAGLI SOPRA!!!
Prima dello schianto ho il tempo di vedere gli occhi pieni di terrore del generale alla guida.
L’impatto è violentissimo, la Smart si piega su se stessa e viene scaraventata e trascinata per una cinquantina di metri. Appena la Toyota si ferma scendo al volo con l’Uzi impugnato con la destra.
Del generale vedo solo un braccio semi staccato dal corpo che penzola da quello che era il finestrino.
In un minuto scarico tre caricatori tra le lamiere, poi impugno la Glock, la infilo vicino al braccio pendulo e scarico tutti i colpi cambiando di poco angolazione.
Un’ultima occhiata per controllare quella specie di Simmenthal contorta e risalgo sulla Toyota.
- Veloce! Vai indietro – ordino.
Ken è bianco come un foglio di carta. Ma, almeno stavolta, non vomita.
Abbandoniamo il fuoristrada su una piazzola a lato della strada principale dopo alcuni chilometri e si materializza subito il monovolume con le due mezze lesbiche; le ho rivalutate dopo la promessa di Domiziana.
- Tutto a posto? – chiede Domiziana, ignorando il cambio di programma.
- Tutto ok. Andiamo via prima che il coglione ci vomiti addosso.
Ho detto la parola magica: Agata ingrana la prima e sottovoce fa a Ken: - Se lo fai te lo faccio pulire con la lingua.
Arriviamo a Carpaneta che è già buio, ma riesco a scorgere alcune auto parcheggiate sul piazzale. Tutte berline di colore scuro. Do un colpetto col gomito a Ken e gli sussurro: - Queste sono qui per noi. Già è tanto che non sono carri funebri.
Il coglione sta dormendo.
Come cazzo farà…

OFELIA - La lettrice degli ultimi due capitoli

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