RINGO di guardia al Gatto-salvadanaio |
La storia de I Gatti di Monte Malbe, due bande di felini semirandagi che hanno adottato un umano in cambio della loro sussistenza giornaliera. (Vai a Presentazione)
sabato 31 gennaio 2015
giovedì 29 gennaio 2015
GATTARO (il)
MIKIpedia
Iniziamo la nuova rubrica con un termine molto utilizzato,
ma di cui pochi conoscono il vero significato letterario e psicologico.
GATTARO (il)
- (reg.) abitante di Roma che accudisce e porta da mangiare
ai numerosi gatti che popolano l’Urbe, spesso fra le rovine degli antichi
edifici di età romana - recita un dizionario online
o, più semplicemente:
- (fam.) persona che nutre e accudisce i gatti randagi,
soprattutto nelle grandi città - un altro dizionario online.
Mah!
Definizione fredda, stringata ed errata del termine.
Il gattaro è vero che, sì, nutre ed accudisce gatti randagi,
ma anche in altri luoghi oltre che a Roma o nelle grandi città. Forse nei
piccoli borghi non esistono gatti randagi?
Ma non cominciamo subito a litigare coi sapientoni della
Crusca che poi il Prof. PALLUCCHINO si incazza.
In sostanza il GATTARO è colui, solo ed esclusivamente in
versione maschile (le gattare, pur svolgendo il medesimo compito presentano
risvolti psicologici e patologie correlate ben più gravi), che occupa parte del
suo prezioso tempo per giocare a fare il papà responsabile con un mucchio di
quadrupedi pulciosi, indisciplinati e miagolanti. Tale presunta prole si presta
volentieri al gioco, purché sia di breve durata giornaliera (giusto il tempo di
aprire e versare sui piatti una decina di scatolette di cibo di qualità
decente, riempire le ciotole con fragranti crocchette in busta sigillata e
sostituire l’acqua delle scodelle con altra limpida e fresca). Solitamente il
gioco papà/bebè pulciosi si interrompe se il GATTARO avanza assurde pretese
quali: mettere l’antipulci ai suoi bambini, portarne qualcuno dai veterinari
per un visitina di controllo o impedire loro di portare a spasso le prede
ancora agonizzati a mò di trofeo.
Il GATTARO è una persona semplice, anche se riesce a vivere
solo di complicazioni, parco nei consumi personali e non dedito ad abuso di
droghe leggere o pesanti, malgrado le apparenze. Si nutre fondamentalmente di
caffè, nicotina e Fernet, talvolta rompe la dieta con piatti di pastasciutta
ben conditi o insalate che sanno di plastica riciclata.
Il GATTARO è una spugna; assorbe completamente le abitudini
dei suoi protetti e le metabolizza, succede spesso di vederlo a fare pipì sui
mucchi di sabbia da costruzione o in invitanti fioriere con la terra smossa.
Il GATTARO vive solo ed esclusivamente per i suoi amati
pulciosi; col tempo tende ad annullare completamente la sua vita privata,
cancellare i suoi affetti umani più cari e dimenticare le gioie terrene
riservategli dalla natura, tipo ferie, sesso (coniugale ed extra), serate al
tavolo di burraco, uscite spensierate sui cucuzzoli dei monti appenninici a
cercare chissà cosa.
il GATTARO, col tempo, comincia a pensare e comportarsi come
i felini che protegge; vive accoccolato accanto al termosifone acceso
d’inverno, l’estate sotto i cespugli più ombrosi e freschi, spesso si arrampica
sulle piante da frutto in attesa che un inesperto uccellino vada a beccare le
ciliegie, scatta come una molla appena sente il rumore di una scatoletta di
Gourmet Gold aperta nel raggio di due
chilometri, prima guarda con sospetto i cani, poi comincia a detestarli, entra
in auto solo ed esclusivamente dal finestrino lasciato aperto, spesso sbaglia
anche auto e viene minacciato o percosso dal legittimo proprietario.
Il GATTARO non vuole noie o seccature; il mondo deve
necessariamente adattarsi a girare intorno a lui mostrandogli solo la sua parte
migliore.
Il GATTARO, col tempo, mentre sogna muove le sue zampette
posteriori, la coda e fa strani versi con la bocca, talvolta russa, ma basta sverminarlo
con regolarità un paio di volte all’anno.
Il GATTARO è colto; legge e scrive per compensare la sua
visione del mondo bicromatica, lui conosce solo il bianco e il nero.
Se capisce di essere fotografato si muove in continuazione,
come se le pulci stessero giocando a rugby in prossimità del suo pube.
Al GATTARO piace rovistare e rubare gli avanzi dai
cassonetti della spazzatura, ecco perché a Perugia oramai tutti sono chiusi col
lucchetto.
Il GATTARO ama bere dalle pozzanghere di acqua piovana,
specie se torbide.
Il GATTARO è un simpatico ed innocuo animaletto, non
maltrattatelo, ma adottatelo,se potete. Non è vero che sia poi così asociale
anzi: è di estrema compagnia, soprattutto se lo lasciate dormire nel vostro
letto la notte.
Classica espressione pensierosa del GATTARO |
mercoledì 28 gennaio 2015
IL SOLARIUM LETTERARIO
VUOTO A PERDERE di Favio Bolo
23a puntata
Continuo imperterrito la lettura anche per tenere compagnia
ai solito paio di colleghi che beccano il raffreddore e devono rimanere al
calduccio della loro cuccia dentro la casetta, tanto è tornata la tramontana e
di stare sopra il tetto (pardon, solarium) non se ne parla.
27
Arriva il grande giorno.
Dopo due ricognizioni e la conferma delle
abitudini dei fratelli siamo pronti a colpire. Il piano è semplice, quasi
elementare, ma si sa: le cose più sono semplici e meglio riescono. L’unico
inconveniente è la massiccia presenza di telecamere di sorveglianza nella via
della gelateria e nelle strade adiacenti. Saremo scoperti in un paio di ore e
dopo dieci minuti avremo tutti i Servizi alle calcagna. Ma è quanto ci basta
per tornare nel rifugio di Carpaneta.
Alle 7,40 scarichiamo dal furgone un
ciclomotore ed io, vestito da postino, aspetto il segnale di Ken nelle
vicinanze della gelateria. Ken parcheggia nella stessa via del locale vestito
da operaio di una fantomatica ditta di impiantistica telefonica e,
arrampicandosi su una scala, finge di riparare una scatola di derivazione controllando
l’ingresso della gelateria.
Alle 8,30 mi comunica che uno dei fratelli è
arrivato ed è entrato nel locale.
Alle 8,42 arriva pure il secondo.
Alle 8,57 li raggiunge il fratello anziano,
il basista.
Sono tutti: tocca a me.
9,03 parcheggio il motorino a fianco
dell’ingresso della gelateria. L’Uzi silenziato che ho dentro la borsa da
postino è già armato e senza sicura. Così pure la Glock infilata nella cintura,
dietro la schiena.
Busso alla serranda della gelateria, il
fratello giovane mi vede e con un cenno della testa chiede cosa voglia.
-Raccomandata!- rispondo, mostrando una
lettera con la mano.
-Da qua!- mi dice senza alzare la serranda.
-C’è da firmare- rispondo mostrando un
grosso blocco che non entra nelle maglie della saracinesca.
Spazientito, il sicario alza la serranda ed
entro nel locale.
-Da dove viene?- domanda.
-Perugia- lascio cadere la busta a terra
mentre sopraggiunge anche il fratello anziano.
Il giovane si china per raccoglierla mentre
estraggo l’Uzi e freddo l’anziano con una raffica che lo centra in pieno
scaraventandolo contro la vetrina del gelato.
L’altro rimane paralizzato, poi morto,
raggiunto da una seconda breve raffica.
Mi precipito dietro al bancone ed entro nel
laboratorio. Sorprendo l’ultimo fratello che sta cercando di afferrare qualcosa
dentro al cassetto di un tavolo di acciaio. Una raffica e il rivestimento di
piastrelle bianche del muro alle sue spalle si macchia di chiazze rosse.
Estraggo la Glock, gliela punto alla testa e
sparo un altro colpo silenziato.
Torno nello spazio di vendita mentre Ken è
davanti alla porta della gelateria a fare da scudo e copertura. Un colpo alla
testa anche all’anziano e all’altro.
-Fatto. Via!- dico a Ken che vedo
impallidire e quasi barcollare.
Gli assesto uno schiaffo. -Sbrigati, coglione!
Lo scaravento dentro alla cabina del furgone
e mi metto al posto di guida, contrariamente a quanto progettato.
Per fortuna.
Ken vomita sul cruscotto appena superiamo il
primo semaforo verde.
Nel parcheggio di un condominio vicino al
raccordo Terni-Orte lasciamo il furgone e saliamo nell’auto che avevamo
lasciato due ore prima.
Via! Di corsa, ma non troppo, verso
Carpaneta. In prossimità di Todi Ken vomita una seconda volta.
-Coglione!- gli ripeto -La prossima volta
vieni digiuno.
Quando usciamo dalla E45, proseguendo per
una strada secondaria il coglione si rianima e riprende l’uso della parola.
-Non avevo mai visto uccidere…
-E ti volevi fare vendetta da solo. Comunque
ora comincia il difficile.
-Che schifo la testa che scoppia…
Continuo a guidare in silenzio fino a che il
coglione domanda: -Quanti?
-Quanti… cosa?
-Quanti ne hai uccisi in vita tua?
Borbotto una risata.
-Erano i primi. Non ero un agente operativo
in quel senso.
-I primi?
Proseguo, in silenzio, fino a Carpaneta.
28
Seguiamo gli avvenimenti ai telegiornali e
nei quotidiani.
Per tutti è un regolamento di conti fatto da
una cosca rivale. Ma sappiamo che loro sanno la verità e ora ci stanno dando la
caccia.
Ce lo confermano Domiziana ed Agata durante
una visita di controllo.
-Innanzitutto: complimenti!- l’esordio della
bionda forestale. –Mai avrei scommesso che ce l’avreste fatta.
-Grazie per la fiducia- commento.
-Comunque, ora viene il difficile- prosegue
-I SIG hanno sguinzagliato una squadra speciale e alcuni professionisti del
settore sulle vostre tracce. Vi vogliono morti. Tutti e due.
-Polizia e Carabinieri?- domando.
-I Carabinieri li hanno sotto controllo e a
loro sono affidate le indagini che porteranno ad un regolamento di conti
interno ad una cosca. La Polizia è stata messa da parte dopo che un commissario
della stazione di Perugia, Carmen Mistretta, vi ha riconosciuti e ha cominciato
a fare ipotesi differenti sul movente degli omicidi.
-Come l’avete convinta a mollare?- chiedo.
-Trasferita. A Roma. Con effetto immediato e
altro incarico più prestigioso, meno pericoloso e adeguatamente retribuito.
-Non ha protestato?
-L’unico suo commento è stato: “Sono cazzi
vostri, pelateveli da soli.”
-Grande...
-Tra i killer che vi stanno cercando ce n’è
una che vi interessa- interviene Domiziana, appoggiando sul divano una busta
gialla.
La apro e trovo le foto della bionda dagli
occhi di ghiaccio.
-La conosco- commento.
-Certamente- ancora Agata. -Lei ha ucciso il
tuo capo, Ursula. E’ la migliore sterminatrice dei SIG. Sarà un osso duro.
-Forse- rispondo -Datemi qualche giorno per
elaborare un piano.
Ma, invece di elaborare il piano, i miei
pensieri vanno a quello che è successo a Terni. Stento a riconoscermi; mai
avrei pensato che sarei stato capace di uccidere a sangue freddo. Faccio tutte
le ipotesi e congetture plausibili per trovare una spiegazione. Forse sono
davvero cambiato caratterialmente dopo l’attentato subito o, forse, sono stato
spinto dall’istinto della vendetta o, più probabilmente, ho realizzato che, una
volta entrato nella gelateria, o io ammazzavo loro o loro uccidevano me:
semplice istinto di sopravvivenza. Ma un pericoloso tarlo si insinua nel mio
cervello devastato.
come
troverò la motivazione per uccidere anche gli altri?
Forse la possibilità maggiore è che gli
altri uccidano me. E il coglione.
Bisogna buttarsi nell’impresa e, all’ultimo
momento, far prevalere l’istinto di sopravvivenza.
se
ci si arriverò all’ultimo momento
Ken ha cambiato atteggiamento nei miei
confronti. Non sono più il socio che ha trascinato nella sua missione suicida:
sono il capo, il maschio alfa.
Non si lamenta più se lo chiamo coglione e,
talvolta, è intimorito dalla mia presenza e dai miei silenzi.
quasi
quasi smetto di chiamarlo coglione, tanto non reagisce più
Infatti, due giorni dopo.
-Ho pronto il piano, coglione.
-Dimmi- domanda con rispetto.
-Antonella- mi spiego, -loro le staranno alle
calcagna con la speranza che li porti a me. Noi ci dobbiamo mettere in coda e
scoprire chi la controlla.
-E’ pericoloso- obietta -Ci riconosceranno.
-Non sarà un lavoro nostro.
Il giorno successivo nuova riunione
operativa nel salone di Carpaneta.
-Qualcuno si deve scoprire- espongo -e
verificare se Antonella è controllata.
-Io non posso- replica Agata.
-Serena neppure- aggiungo.
-Mica penserete che…- Domiziana.
-Esatto- concludo -Sei l’unica che non
conoscono e neppure Antonella ti conosce. Sei perfetta.
-Da sola non ce la farò mai!
-Andrè- suggerisce Agata.
-Non se ne parla di metterlo in mezzo!-
ribatte la slovena.
-Se vuoi l’assassino di Marta qualcosa
dovrai pur fare- aggiungo.
Non so come ma dopo tre giorni le due belle
tornano a Carpaneta con un completo reportage fotografico e delle preziose
informazioni.
-Avevi ragione!- conferma Agata -Sono in
quattro a stare dietro alla tua bella. E, tra questi, c’è pure chi ci
interessa- mi porge la foto della bionda dagli occhi di ghiaccio.
-Ha preso un appartamento nel palazzo a
fianco di quello di Antonella- continua Domiziana -E’ lei che inizia il pedinamento
e lo termina.
-E queste sono le planimetrie del suo
appartamento- conclude Agata.
-Ottimo! Ora mi serve solo un telefonino
pulito.
Agata e Domiziana si osservano perplesse.
-Antonella farà da esca per un falso
appuntamento con me. Invece io aspetterò il ritorno di “occhi di ghiaccio” nel
suo appartamento. Trovatemi pure un passepartout.
E’ più facile di quanto pensassi. I
predatori non concepiscono l’idea di diventare prede. La bionda dagli occhi di
ghiaccio controlla costantemente Antonella, insieme ad altri quattro uomini dei
servizi. Hanno una sede in un piccolo appartamento vicino alla stazione
ferroviaria, a metà strada tra l’abitazione di Antonella e la redazione del suo
giornale. Ma “occhi di ghiaccio” soggiorna nell’altro locale, davanti al
palazzo di Antonella.
Una telefonata da un cellulare rubato e
fisso un appuntamento con Antonella.
-Stai molto attenta a non farti seguire, io
farò altrettanto. Se avessi il sospetto di qualche pericolo non mi presenterò e
ti ricontatterò in seguito. Un bacio, ho voglia di te.
L’appuntamento è per la mattina di martedì,
alle 10, in un bar poco lontano dal suo ufficio. Ma alle 10 io sono già dentro all’appartamento
di “occhi di ghiaccio”, in sua attesa. Attesa che termina alle 19, quando
Antonella, delusa, torna a casa.
Sento la serratura del portoncino scattare.
Ken ha provveduto a riposizionare in modo corretto le semplici, ma efficaci,
spie che permettono di verificare subito se qualcuno fosse entrato in tua
assenza.
“Occhi di ghiaccio” si toglie subito il
giubbotto e appoggia la pistola sul tavolo della cucina. Mentre è di spalle a
versare dell’acqua in un bicchiere mi presento.
-Giornata dura, eh?
Si volta di scatto e porta una mano dietro
alla schiena. Ma non ha il tempo necessario ad afferrare l’altra pistola. La
freddo con tre colpi al petto e il quarto alla nuca. La mia firma; così non
avranno dubbi.
Prima di lasciare l’appartamento mi intasco
la pistola sul tavolo e quella che aveva alla cintura, dietro la schiena.
Dopo mezz’ora sono a Carpaneta.
-Sei un killer nato!- il commento di Agata,
tre giorni dopo -Ora sei il ricercato numero 1 dai Servizi.
-Meglio prendersi qualche settimana di riposo-
aggiunge Domiziana -Poi si passa alla rossa.
-Quella è tutta mia!- interviene Ken.
-Prego- lo invito.
Ma non è sua
per niente, me lo sento. Qualcosa mi dice che dovrò assisterlo spiritualmente e
materialmente per il buon esito della missione. Non ce lo vedo Ken a schivare
materia cerebrale mentre fa scoppiare una testa. Poi, ultimamente, il feeling
tra il coglione e Serena ha raggiunto l’apice. Ho il sospetto che si incontrino
di nascosto la notte, dopo che sono andato a dormire. Ma sono cazzi squisitamente
loro.
Per tenerlo in tensione e accrescergli la
motivazione nomino spesso Zanzara.
Finalmente le due belle tornano a Carpaneta,
speravo per cominciare a lavorare seriamente sulla rossa.
-C’è un problema- l’esordio di Agata. -La
rossa è dei nostri.
-Significa?
-Occhi di ghiaccio era una sterminatrice dei
SIG, la rossa è un’operativa saltuaria dei SIM.
-Un’operazione un po’ fuori dagli schemi-
replico.
-Esatto. Ci manca un pezzo: il capo missione. E non sappiamo dove andarlo a
cercare.
-Non vi preoccupate: so io dove trovarlo- le
stupisco -Ma avrete tutte le indicazioni a tempo debito. Ora come ora non
costituisce un ostacolo ma… sarà un problema che dovrete risolvervi da sole. Io
e Ken non ci possiamo entrare.
-Parla- intima Domiziana.
-Quando tutto sarà finito.
Se ne vanno deluse ed incazzate: qualcosa è
sfuggito al loro controllo, o meglio al controllo di chi le sta manovrando.
-Non ci ho capito una sega- confessa il
coglione.
-Non ti preoccupare. Non è mai capitato che
i due Servizi lavorassero insieme ad una missione. Qualcuno ha coordinato il
tutto e ha assunto il comando per annientare la nostra squadra.
-E tu sai chi è?
-Sì. E so pure dove trovarlo. Ma a noi non
interessa.
-Perché?
-Vuoi commettere un altro omicidio? Lascia
che si sporchino le mani anche loro.
Il fatto di sapere un qualcosa che loro
ignorano aumenta le mie quotazioni e cambia il rapporto con le datrici di lavoro.
Riesco ad ottenere un nuovo permesso per una
cena da Claudio, all’agriturismo, ma, anche questa volta, senza prestazioni
extra di giovani o attempate cameriere.
Si continua a vivere di seghe.
Dopo una ventina di giorni le belle tornano
a visitarci e Domiziana mi porge la solita busta gialla con foto e informazioni
della prossima vittima.
-Tutta vostra. Preparatevi ad un’altra
trasferta.
Leggo attentamente il rapporto che riguarda
la rossa. Su una cosa non mi ero sbagliato: è una troia per vocazione.
Tutti i sabati e, talvolta, anche durante la
settimana frequenta un club privè di scambisti sul litorale romano. Si mischia con
chi le capita, meglio se di colore e ben armato, e spesso si fa pagare la
prestazione. Intanto raccoglie informazioni su svariati personaggi, fa
reportage fotografici che usa per eventuali ricatti. Non capisco se sia più un
agente dei SIM o una manovale della malavita. Fatto sta che le piace assai
scopare, preferibilmente con grossi calibri.
-La potremmo beccare direttamente dentro al
locale, la freddiamo e scappiamo via – il piano consigliato dal coglione.
-Già. Peccato che il sabato ci saranno
almeno un centinaio di persone là dentro. Se qualcuno reagisce, che fai? Una
strage? – obietto – Ci vuole un altro piano.
- La aspettiamo fuori dal locale quando se
ne va e la terminiamo! – altra ipotesi di Ken.
-Fuori da quei locali è pieno zeppo di
telecamere di sorveglianza in presa diretta; si accorgerebbero subito di noi.
Poi… se esce in compagnia? Altra strage? No.
L’idea mi balena nel pomeriggio, ma devo
avere delle conferme da Agata e Domiziana che Serena convoca per il giorno
dopo.
-Domanda numero uno – il mio esordio – cosa
sa di quello che sta succedendo la rossa?
-Lo ignoriamo – la risposta di Agata.
-Passiamo alla numero due, allora: è in
rapporti molto stretti coi SIG o lavora solo a gettone?
-Non lo sappiamo – ancora Agata.
-L’ultima: è per caso immischiata anche con
la malavita?
-Certamente! – stavolta Agata mi soddisfa
–Era una narcotrafficante e quando i SIG l’hanno beccata le hanno proposto di
collaborare a una certa operazione. Ora le è rimasto il vizio della cocaina.
-Ottimo. Allora devo farne un’altra, di
domanda.
-Spara – stavolta è Domiziana.
-E’ possibile che la rossa conosca
l’esistenza di Ken o abbia visto delle sue foto?
Il silenzio come risposta.
-Benissimo, informatevi e tornate con
qualche dose abbondante di coca.
Ancora due lunghe settimane di attesa. Per
non annoiarmi collaboro alla gestione domestica: sono diventato uno taglialegna
provetto e la cosa mi aiuta a sfogarmi fisicamente e a mantenermi in forma.
Faccio una incredibile scoperta: dopo una
notte di ricarica della batteria e una gonfiatina agli pneumatici la vecchia
Land di Giorgio si rimette in moto e, con passo lento ma sicuro, trasporta
quintali di legna dalla collina alla legnaia.
Le due amiche tornano con i compiti fatti e
una decina di bustine di cocaina.
- Sono per te? – domanda preoccupata Serena.
- No – rispondo – Per lui – indicando Ken –
che le omaggerà alla troiona rossa.
- Per me? – Ken stupito.
- Zitto!
La rossa, che di nome fa Mariagrazia (tutto
attaccato), sono diversi mesi che non collabora con i SIG ed è all’oscuro di
tutto quello che sta succedendo. Non conosce Ken, neppure in foto, e tira come
un’aspiraceneri.
Non solo: per sopravvivere batte anche nel
suo appartamento di Fregene dove vive sola in compagnia di alcuni gatti.
Pettegolezzi interni raccontano che i SIG la
stiano mollando definitivamente in quanto poco gestibile ed inaffidabile per
via della coca.
Un quadro perfetto. Per Ken.
Dopo un paio di giorni illustro il piano a
Ken.
- E’ abbastanza semplice e, volendo,
divertente. Una sera vai in quel club privè e cerchi di agganciarla.
- In che senso?
- Le proponi una marchetta, ma a casa sua,
per un giorno qualsiasi della settimana. Però rifiuta un paio di orari o date,
fai vedere che sei impegnato o fuori Roma. Devi sembrare un oscuro uomo di
affari.
- Capito.
- Falle decidere il prezzo, accettalo e
proponigli pure un regalino, se sarà brava.
- Che regalino?
- Coca. Intanto falle vedere una bustina, ma
solo vedere.
- E se la volesse come acconto?
- Mmm... la mossa migliore sarebbe che te la
scopassi al privè e facessi finta di rimanerne molto soddisfatto.
- Me la devo scopare? – domanda stupito,
quasi schifato.
- Se potessi me la scoperei volentieri io…
con gli arretrati che ho! Sì! Te la dovresti scopare! Ma c’è un problema da non
sottovalutare.
- Quale?
- Il calibro. Il tuo calibro.
- Che calibro?
- Il tuo cazzo, coglione! Va bene che paghi,
ma mica puoi andare là con un pistolino ridicolo!
Ken mi osserva ancora più stupito, poi mi
appoggia il braccio sulla spalla e mormora: - Ti faccio una confidenza: sai
perché Zanzara mi chiamava Ken?
- No.
- Ken Parker, il fumetto: hai presente?
- Ho presente e non vedo attinenza.
- La copertina del primo numero e come
veniva anche chiamato.
?
- Ken Parker, Lungo fucile.
- Sì. ho visto. Un vecchio archibugio ad avancarica.
E allora?
- Indovina io dove lo tengo il Lungo fucile!
Sbarro gli occhi.
Ken si cala i pantaloni e le mutande e
compare una proboscide da far invidia ad un elefantino.
- La potrei ammazzare con questo… -
suggerisce.
- Va bene! L’importante è che ti fai portare
al suo appartamento. Poi… la scopi, non la scopi, fai tu! Basta che l’ammazzi.
- Non la scopo; l’ammazzo solo.
- Bene. Ora controllo quello che ti serve e
faccio richiesta alle due lesbiche.
Espongo il piano a Domiziana e Agata che lo
approvano con riserva: non possono coinvolgere nessuno a Roma e saremo lasciati
soli come cani.
Dico che la cosa non mi interessa, anche se
sono convinto che saremo controllati da qualcuno dei loro in ogni nostro
spostamento; semplicemente non vogliono far scoprire persone che potrebbero
essere collegate a chi sa cosa.
In una decina di giorni ho tutto, indirizzi,
piantine, orari, foto aggiornate, una calibro 22 silenziata e un paio di
confezioni di preservativi.
La nostra base logistica sarà un piccolo
monolocale in un residence quasi deserto sul litorale romano. Ci viene
assegnata una Fiat Croma a gasolio che denuncia più anni di quelli che ha e un’
Alfa già parcheggiata nel garage sotterraneo del residence.
Finisco di istruire il coglione e gli spiego
come funziona la calibro 22.
- Questa è per fare il lavoro. Le devi
scaricare tutto il caricatore addosso, a distanza ravvicinata, escluso gli
ultimi due colpi che glieli piazzi in testa. Non ti preoccupare, i 22 non ce la
fanno a far scoppiare la zucca delle persone e rimangono dentro la scatola
cranica facendo come la pallina del flipper. Non ti sporchi e non vomiti.
- Grazie – fa prendendola in mano.
Durante il viaggio verso Roma, il venerdì,
gli ripeto fino alla nausea il piano e quello che deve e non deve fare.
Comunque il coglione mi sembra caricato come una molla, ho solo la
preoccupazione che se la svigni dopo aver sistemato la rossa, lasciandomi solo
e nella merda. Non mi sfiora neppure un attimo il sospetto che non ce la faccia
a portare a termine il compito. Nella malaugurata ipotesi dovrò intervenire.
Come, non so.
I due raffreddati di turno: BAIOCCO e LIRA |
lunedì 26 gennaio 2015
CHEESE! Scatti felini a Monte Malbe
UNA NUOVA RUBRICA
LA CUCCIA DEL CAPO
Sempre più spesso arrivano dai nostri lettori richieste di
spiegazioni o chiarimenti riguardo alcuni termini utilizzati nel comune
linguaggio dei gattofili e gattari (anche nella declinazione femminile).
Me ne scuso; mi rendo conto che quello che a me sembra un
termine comprensibile o un’esposizione chiarissima per alcuni non prettamente
del ‘mestiere’ possa essere un indecifrabile geroglifico etrusco.
Mi sono rivolto al Professore PALLUCCHINO esponendogli il
problema; come al solito ha avuto il guizzo e l’idea vincente per trovare il
giusto rimedio.
- Un’enciclopedia! Anzi, un piccolo glossario che traduca in
italiano corretto e comprensibile a tutti i termini troppo tecnici.
- Benissimo! – ho commentato – Mettiti subito al lavoro.
- Non posso – ha risposto – Ho già troppo da fare e poco
tempo a disposizione. Troviamo qualcuno che potrebbe sostituirmi.
- Chi?
- Sei tu il Capo, decidi e scegli!
Un’istantanea riunione con TAZZA non ha portato a nessun
nominativo utile e meritevole di gestire in autonomia una rubrica del blog;
sembra di stare a scegliere il nuovo Capo di Stato.
Alla Reggia CANNIBALE ha
fatto la proposta giusta.
- MIKI! Così la smette di fare il discolo e rompermi i
coglioni quando dormo. E’ perfetto poi!
- Poi?
- Certo! Con MIKI responsabile abbiamo trovato pure il nome
per la nuova rubrica.
- Sarebbe?
- MIKIpedia, Capo!
E MIKIpedia sarà!
MIKI - Cazzo dovrei fare? |
domenica 25 gennaio 2015
ARRIVI & PARTENZE
PERICLE
Il valente informatico della Reggia stanotte ci ha lasciati
in silenzio.
Inutile dire che me lo aspettavo, anche se ieri sera si era
spazzolato due piattini di cibo e aveva preso il suo antibiotico.
Era messo maluccio: un vecchietto FIV+ con problemi
respiratori e frequenti raffreddori che lo abbattevano per una decina di
giorni. Da questa estate aveva cominciato a perdere peso, la malattia aveva
cominciato il suo sporco lavoro.
Un vecchietto simpatico, gentile e pulito buttato in Colonia
tre anni fa denutrito e pieno di pulci ma, stranamente socializzato. Timido con
gli altri gatti, sfrontato con me: chiedeva sempre più cibo e lo accontentavo
per rimetterlo in forze. Era quasi diventato una palletta a forza di mangiare
ma i rapporti con i suoi simili non riuscivano a migliorare; stava sempre in
disparte sul ceppo di qualche vecchio castagno abbattuto.
Dopo la sanguinosa incursione canina del febbraio 2012 era
scomparso, tantoché lo avevo dichiarato disperso e quasi depennato dalla lista
dei coloni.
Invece tornò dopo ventuno giorni, sporco, affamato e
raffreddato. Fu necessario un ricovero
dai veterinari per rimetterlo in carreggiata e il passo per arrivare alla
Reggia risultò breve.
Qui ha passato i suoi ultimi due anni di vita da pascià,
sempre sopra la mia scrivania o spalmato sul divano o su una sedia appoggiata a
un radiatore del riscaldamento, quando questo
veniva acceso.
Dispiace che se ne sia andato, come tutti gli altri gatti
che ho assistito fino alla fine. Sono contento, per contro, che non mi abbia
costretto all’ennesimo penoso viaggio dai veterinari per chiudere chimicamente
la sua esistenza. Spero per lui che si sia goduto in pace e tranquillità questi
due anni da gatto domestico, sogno spesso irrealizzabile di tanti suoi colleghi
sfortunati come lui.
PERICLIN ! (il suo nome mi è stato ispirato dal libro di
Pennacchi ‘Canale Mussolini’ col suo protagonista narratore: Pericle Peruzzi)
sii orgoglioso di lasciare il tuo posto ad una collega della Colonia che da
tempo aspetta di godersi i lussi della Reggia.
Vedrai, OFELIA ti ringrazierà.
Ciao PERICLIN !
E sempre: Maladeti Zorzi Vila !!!
PERICLE alla Colonia Nuova - Gennaio 2012 |
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