LE MALEDETTE
di Catus Silvestris
11a puntata
Sfrattati! Letteralmente buttati fuori dalla casetta mentre
ancora eravamo al primo sonno.
Credo ci siano gli estremi per far intervenire gli uffici
legali di ENPA, OIPA e LAV a protezione di quegli scarsi diritti di noi poveri
gatti randagi.
E’ successo stamattina, sul far dell’alba, con il termometro
che segnalava una temperatura artica: chi ti arriva? Il Capo e la Supplente che
ci sbattono fuori senza troppi complimenti.
- Su oggi è giorno di lettura – ha precisato il viscido –
Tutti sul solarium, ché qui impicciate!
Una trentina di punti interrogativi semi addormentati e
praticamente congelati hanno riempito l’esiguo spazio della casetta.
- Oggi si bonifica! – ha spiegato l’aguzzino –Sapete che ASTERIX
ha la FIP!
- Su… - la Supplente che ancora detiene un briciolo di
umanità – venite fuori che vi preparo la colazione.
Morale della favola, mentre il Capo buttava fuori tutte le
cucce e i cubi di polistirolo (alcuni ancora occupati) abbiamo consumato la
frugale colazione (buoni i sandwich all’aragosta!) e siamo saliti a congelarci
sul solarium, tanto lo spiazzo era tutto ingombro di cucce, copertine sporche e
ogni tipo di ciotola che era presente dentro la casetta.
- Nun se po’ campà così… - ha commentato il solito CORNIOLA.
11
E’ una sera al Covo che Antonio mi toglie la curiosità.
- Solo? – chiede per sedersi al tavolo a cenare.
- Certo, Carla è a Roma.
- Naturale – risponde.
- Naturale, perché?
- Lo sai chi hanno trasferito a Roma poco dopo l’arrivo di Carla?
- No.
- La sua fidanzata poliziotta.
Mi scappa una risata.
- Come! Lei qui, in culo al mondo e l’altra a Roma, al centro del mondo?
- L’altra è un pezzo grosso, sembrerebbe. Ha parenti in alto, verso
Montecitorio.
Finito di consumare l’amplesso con la solita bionda popputa ninfomane
penso a questa strana situazione che vede al centro Carla. Lei non mi ha fatto
parola della sua relazione romana e, sicuramente, non l’avrà fatta con la sua
amica della (strana) relazione qua. Sorrido al pensiero che un giorno potremmo
incontrarci tutti insieme.
Finalmente, dopo giorni di lavoro con mille precauzioni, riesco ad
arrivare alla cava. Anche là il grande piazzale è invaso dagli arbusti e da diverse
robinie. Mi ci vogliono quattro lenti giorni di fatica per ripristinarlo. Poi
tiro via un centinaio di quintali di robinia. Su uno spiazzo secondario ci sono
ancora dei rottami di camion e jeep americane della seconda guerra mondiale.
Sono apparentemente integri, ma tutti arrugginiti.
Chiedo a Carla cosa devo farne.
- Una grana – risponde – Non posso farli portare via senza
l’autorizzazione dello Stato Maggiore e, comunque, sarebbe una spesa non
preventivata. Lasciali là, facciamo finta che non esistano.
Un venerdì sera ne parlo con Antonio.
- Come ‘Facciamo finta che non esistano’? – dice sbalordito – Ma lo sai
che i collezionisti venderebbero pure la madre per un rottame in buone
condizioni? Poi… sai che affari si possono fare coi pezzi di ricambio? Altro
che legna a 8.000 lire al quintale!
Visto che quegli automezzi non esistono Antonio organizza un traffico,
credo illegale, di relitti vari e pezzi di ricambio.
Io divento l’operatore ecologico, un suo vecchio amico con ampio
capannone e giuste conoscenze il commerciante e lui il fulcro dell’operazione
di ripulitura piazzale.
Ogni tanto carico sull’Unimog, col braccio meccanico, una jeep. La
ricopro di frasche che non risulti visibile durante il trasporto e la scarico
dentro al capannone dell’amico di Antonio.
Qualche volta devo prelevare pezzi di ricambio da camion o autoblindo
disarmate. Vengo debitamente istruito e dotato della giusta attrezzatura,
smonto i pezzi, li nascondo e li scarico al solito posto.
Devo dar ragione ad Antonio: i rottami rendono più della legna.
Una mattina, girovagando tra i carrelli rimorchio delle jeep mi imbatto
in un motorino. Non un motorino militare, non so neppure se esistessero a quei
tempi. Un motorino nostrano: un vecchio Garelli, credo. Ha le marce al manubrio
e non sembra aver subito lo stesso degrado degli altri mezzi, moto militari
comprese (ce n’erano otto, tutte recuperate). Non capisco cosa c’entri con i
mezzi militari accantonati e perché sia là.
Queste operazioni di recupero mi fanno perdere tempo nel taglio ma
favoriscono lo smaltimento della legna accatastata nel mio piazzale.
Finalmente riesco a liberare anche i viali che portavano alla
casermetta, più che altro un baraccamento di moduli simili agli attuali container.
Mano a mano che li raggiungo comincio a curiosarci dentro. Mi piace questa
specie di caccia al tesoro.
Il primo che raggiungo doveva essere una specie di ufficio o segreteria.
E’ ancora pieno di suppellettili non traslocate. Sedie, scaffali e un paio di
scrivanie. Sugli scaffali ci stanno ancora dei faldoni con fogli ingialliti e
puzzolenti di muffa, come quelli che ho trovato dentro la baracca che doveva
essere la garitta delle guardie, poco dopo il cancello principale. Su un
vecchio tavolo c’è ancora una specie di centralino, o forse, una radio
militare.
Pure il secondo modulo doveva essere un ufficio; ancora scaffali e
armadi metallici, qualche raccoglitore e pure delle vecchie macchine da
scrivere.
Informo Antonio dei ritrovamenti e un sabato mattina mi fa caricare il
centralino, le macchine da scrivere e tutto quello che ritengo essere in
condizioni di vendita.
Dal piazzale dei mezzi accantonati porto via una vecchia berlina
militare e un piccolo trattore, quello lo scarico a casa mia. Vorrei
ripristinarlo ed utilizzarlo per la movimentazione delle stanghe di legna.
Carla torna a fare un altro sopralluogo. La informo di aver rinunciato
al progetto di rivendere carichi di legna a terzi e annuisce soddisfatta. Le
mostro i moduli raggiunti e liberati dalla vegetazione e lì scatta qualche foto
per l’archivio.
- Peccato per tutti quei mobili metallici – osserva – A qualcuno
potrebbero fare comodo. Prendine pure, se ti servono.
- Grazie.
Comincio ad occuparmi del bosco sotto la cava, un bosco bellissimo ricco
di cerri, roverelle, lecci e carpini.
Riempio di nuovo il piazzale dietro al capannone e provo un nuovo
sistema di accatastamento che mi permette di infilarci diverse altre tonnellate
di stanghe, lasciando sempre ampi spazi per la movimentazione meccanica. Col
trattorino ex militare ripristinato,
naturalmente.
A piazzale riempito torno a liberare i moduli abitativi del baraccamento
militare. Magazzini con ancora scorte alimentari e di generi di consumo. Uno
pieno di ricambi dei mezzi accantonati già smontati e catalogati: una manna e
un guadagno extra non indifferente. Trovo il container con il gruppo
elettrogeno, che viene prelevato. Come pure diverse stufe a cherosene e, poche,
a legna.
Una mattina mi fermo ad osservare un modulo che sto per liberare. E’
meno invaso dalla vegetazione degli altri. Meglio conservato, sembra quasi che
qualcuno avesse fatto la sua manutenzione. Non ha neppure vetri rotti alle
piccole finestre o fessure dove la vegetazione è riuscita ad infilarsi. Lo
raggiungo e ci entro dentro. E’ più ordinato degli altri ed arredato come un
piccolo appartamento. C’è una stufa a legna con due pentole sopra e, dentro un
piccolo lavabo dei piatti smaltati ma anneriti dal tempo. Il pavimento è
relativamente pulito. Una paratia con la porta divide in due il locale. Apro la
porta e mi trovo davanti una camera da letto con tanto di branda e armadio.
Sopra il letto, uno scheletro. Faccio un balzo indietro ed esco dal modulo di
corsa.
Ho il batticuore e il respiro affannato. Sento il bisogno di una
sigaretta. L’accendo e mi siedo. Subito dopo vomito. Torno all’Unimog, faccio
salire Picche e scappo via in direzione Paese. Arrivo alla stazione della
Forestale ancora trafelato.
Antonio mi guarda e chiede spiegazioni.
CORNIOLA - Nun se pò campà così... |
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