DEBITI e PINELLE
(Le pinelle sono come i debiti:
se ne hai troppe sono solo problemi)
di Autore Ignoto
- 5° capitolo -
La vita scorre tranquilla in Colonia: il
solito tran-tran fatto di ozio, riposo e contemplazione spalmati sotto i raggi
del sole. Solo quel gran rompicoglioni di QUARK interrompe il necessario
silenzio esternando al mondo i suoi dubbi esistenziali.
- Ragazzi, quando avremo finito di leggere
questo romanzo dovremo chiudere il Solarium! Saremo disoccupati e ci dovremo
inventare qualcosa di nuovo per ammazzare la domenica mattina!
- Andiamo a trovare il Capo alla Reggia! –
propone incautamente BERETTA.
- Già… - la replica del saggio ARCHIMEDE –
Così una volta ci fa lavare l’auto, un’altra pulire casa, quella dopo portare
la legna…
- Non c’è bisogno di arrivare alla Reggia per
fare questo! – interviene il OSCAR, che oramai ha preso in pugno la gestione
della colonia – La domenica mattina
curerete la pulizia della casetta, cambierete le coperte delle cucce, pulirete
accuratamente lo spiazzo fino alla recinzione e andrete a raccogliere
l’immondizia che i soliti umani porci lasciano dentro al bosco.
Comincia a sorgerci il dubbio di un tacito
accordo tra il colosso felino e il Capo…
5
La mattina dopo Catia fu puntuale come la
bolletta dell’Enel. Parcheggiò al solito posto, scaricò una cuccia di legno e
un grande cesto di vimini. Li sistemò in un angolo della veranda, ci appoggiò
due cuscini e delle copertine di pile.
- Perfetto! - disse compiaciuta - Questa sarà
la loro nuova casa. Devi appoggiare il cibo lì vicino e lasciargli una ciotola
per l’acqua e una per le crocchette.
La osservai con una malcelata punta di
scetticismo.
- Vedrai che si adatteranno subito – confermò
- Si abitueranno alla tua presenza e, pian piano, diventeranno gatti domestici.
loro si
devono abituare alla mia presenza?
- Ora - cambiò discorso - fammi vedere cosa
hai trovato oggi.
Il camioncino dei pompieri in metallo, i due
gettoni telefonici e l’anello di acciaio erano sopra al tavolo. Glieli indicai.
- Che altro? - chiese diffidente.
Andai in cucina e tornai con la preda della
giornata. Un anello in oro bianco e giallo con un brillantino incastonato.
Lo prese in mano e strabuzzò gli occhi.
- Farebbe la felicità di una donna - disse.
- Sicuramente l’ha fatta, ma, forse, è stato
pure causa di disperazione per la perdita.
- Quanto varrà?
- 6,1 grammi d’oro; il brillantino va
valutato. Ti fermi a pranzo?
- Non posso ho un appuntamento.
A pranzo feci l’esperimento. Posizionai i
piattini vicino alla cuccia e al cesto, come indicato da Catia, e mi sedetti a
tavola a consumare il piatto di linguine al pesto col quotidiano aperto. Ma non
lessi, sbirciai per vedere la reazione dei felini al cambiamento. Misha rimase
interdetta, sospettosa, non salì sulla veranda. I micetti, guidati dal tigrato
più scuro (il pioniere del gruppo) uno alla volta, salirono gli scalini e si
avvicinarono al cibo. Mangiarono. Quando anche Misha superò la diffidenza, si
misero ad annusare il loro nuovo alloggio. Sorrisi soddisfatto sotto i baffi.
Ma un rumore, che ben conoscevo, li spaventò
e tutti fuggirono via scomparendo tra i cespugli.
- Non vi preoccupate! - dissi loro - E’
arrivato il mio angelo custode.
Dal viale sbucò il Defender verde oliva del
Corpo Forestale dello Stato con seduta, sul sedile anteriore del passeggero,
Irene: l’incaricata dai Servizi Informativi al mio controllo e protezione.
Il fuoristrada si fermò davanti alla veranda.
Irene scese.
- Siete giusto in tempo per il caffè! - dissi
ai tre forestali.
- Solo per me, grazie! - replicò Irene - Loro
vanno a fare il solito giro di perlustrazione. Torneranno tra una mezz’oretta.
Li salutò con un cenno della mano, l’autista
ingranò la marcia e ripartì lentamente verso la sterrata che attraversa la
pineta per controllare l’eventuale presenza di campeggiatori abusivi o altri
intrusi e verificare la situazione della vegetazione.
- Bene - sorrisi alla bionda Irene - allora
abbiamo tempo anche per un pompino.
- Se avessi l’uccello te lo farei fare molto
volentieri, grazie - ribatté pronta.
- Novità? - chiese mentre osservava la cuccia
e il cesto.
- Mi sono accoppiato con una gatta nera e
sono diventato papà di quattro gattini - la informai.
- Non era meglio se ti accoppiavi con la
moretta?
- Nulla ti sfugge.
- E’ il mio lavoro. Chi è?
- Una gattara.
Mi guardò perplessa.
- Di solito le gattare sono vecchie,
straccione e un po’ pazze.
- Questa invece è giovane, elegante e non mi
sembra dissociata.
- Come l’hai conosciuta?
Le raccontai di Misha, dei gattini e della
telefonata a Serena.
- Che -tra parentesi- è un’altra gattara
giovane, elegante e decisamente sveglia - puntualizzai.
- Come si chiama?
- Catia Pucci, Catia con la C.
- Abita a…
- Grosseto, credo.
- Lavoro?
- Boh? Se vuoi mi informo - mentre le versavo il caffè.
- Grazie. Per me senza zucchero.
Bevve il suo caffè amaro e continuò con
l’interrogatorio.
- I gatti?
Glieli indicai. Erano usciti dal cespuglio e
tre piccoli stavano giocando con una pigna.
- Te li devo sistemare io? - domandò
togliendo la Beretta dalla fondina.
La guardai con occhi truci.
- Stupido! Scherzavo! Li hai adottati? -
sorrise.
- Veramente sono loro che hanno adottato me.
-Non ti preoccupa la proliferazione di
mostriciattoli pelosi?
- Catia provvederà alla sterilizzazione.
- Bene. Ecco i miei uomini di ritorno. Informati
sul lavoro della giovane, bella ed elegante gattara. Tornerò presto.
Stava per salire sul Defender ma la bloccai -
Irene!
- Sì? - voltandosi verso di me.
- Quella cosa… me la fai la prossima volta!
Rispose con un sorriso e il dito medio della
mano destra alzato.
Complice una perturbazione dal mare Tirreno,
con piogge e calo di temperatura, l’abitudine dei gatti alla mia presenza si
completò. Presero fissa dimora nel grande cesto, di giorno, e nella cuccia, di
notte. Loro si erano abituati ed io mi ero adattato.
Un pomeriggio arrivò Catia a controllare la
situazione.
Sorrise soddisfatta, un micetto si lasciava
pure accarezzare (inutile dire che era il tigrato pioniere).
- Quando saranno diventati domestici
cominceremo con lo sterilizzare Misha - disse.
- Mi sento in debito con te - le risposi
mentre stendevo il bucato colorato ad asciugare: pantaloncini corti verde
militare, un paio di jeans sdruciti, alcune t-shirt variopinte e un camicione a
scacchi.
- Vedo che vai spesso alle serate di gala -
fece ammirando il mio guardaroba.
- Non esco mai la sera – precisai - Ti fermi
a cena o hai un altro appuntamento?
- Volentieri! Oggi col lavoro ho chiuso.
Colsi la palla al balzo.
- Che lavoro fai?»
- Veterinaria. Oftalmologa veterinaria.
- Vuoi dire che piazzi gatti e cani davanti
al tabellone luminoso e gli fai leggere “MIAO” e “BAU” scritti con caratteri di
differente corpo?
- Stupido! – ribatté - Non hai idea di quanti
animali domestici soffrano di problemi alla vista.
- E… gli fai mettere gli occhiali?
- No. Quando è possibile li opero.
- Davvero? - domandai meravigliato.
- Certamente! - fece con una malcelata punta
di orgoglio - Tu, invece?
- Campo di pensione - risposi con una
malcelata punta di imbarazzo.
- Di già?
- Pensione per infortunio sul lavoro -
precisai.
- Facevi?
- Ero al servizio dello Stato.
- Poliziotto?
- Più o meno…
- Ti sei beccato una pallottola - la sua
logica conclusione.
- Cinque, per la precisione - chiarii.
- E tu? Non ne hai ammazzato nessuno?»
Non capendo se il tono fosse ironico o meno,
risposi sorridendo - Tutti. Sei -per la precisione.
Catia decise di cambiare discorso.
- Cos’hai trovato di buono questi giorni?
- Solo un po’ di spiccioli in spiaggia. Il
mare era mosso e non potevo cercare in acqua.
- Spiccioli? E cosa ci fai?
- Li ripulisco e ci metto la benzina alla mia
Regina - indicando la mia splendida Range Rover, seconda serie (P38 per gli
intenditori e Regina per tutti gli appassionati di Land Rover) bianca con il
tetto in vinile nero.
- Regina? La chiami così quell’ambulanza?
ambulanza?
Passammo una gradevolissima serata in
veranda, in compagnia dell’oramai immancabile famigliola felina, a
chiacchierare delle più svariate cose senza, però, entrare troppo nel
personale.
Finché…
- Ma è vero che non esci mai la sera? - domandò
con noncuranza.
- Raramente. Se mi va, qualche volta, vado al
circoletto a Marina a farmi una partita a carte.
- Giochi a carte?
Annuii.
- A burraco? - indagò.
- No, briscola e tressette. A burraco ho
giocato in Sudamerica. Secondo me è un gioco per tardone isteriche e annoiate.
- In Sudamerica? - fece stupita - Sarai un
campione, allora!
Sorrisi - Diciamo che so tenere le carte in
mano.
- Benissimo! Allora sei precettato.
La interrogai con lo sguardo.
- Domani sera - era diventata seria - comincia
un corso di approfondimento al burraco presso il Circolo “I soliti 4 gatti” a
Grosseto. Una buona occasione per uscire e socializzare.
- Non mi interessa, grazie - troncai il
discorso.
- Sbagli. E’pieno di donne, pardon, tardone
isteriche e annoiate, e ci sarò anche
io.
- Ma… - ribattei.
- Per te è gratis. Se poi ti piace puoi
diventare socio del circolo.
- Ma… - continuai.
- Niente“ma”! E’pieno di donne! Alle 21 al
circolo in Via Tornabuoni. Sai dov’è?
Negai col capo.
- L’ambulanza non ce l’ha il navigatore?
Continuai a negare.
- E fatti un’auto seria!
magari
come il tuo brucomela
Catia prese carta e penna, disegnò uno
schizzo della viabilità di Grosseto e scrisse tutte le indicazioni necessarie
per arrivare alla meta.
- Ti aspetto - concluse con un sorriso che
non ti lasciava scampo.
Così, la sera successiva, mi trovai a
vestirmi in maniera civile per andare a verificare se fosse vero che il burraco
brulicasse di donne (magari tardone, isteriche e annoiate).
magari…
invece di spendere tutti gli spiccioli della spiaggia in puttane
Il saggio ARCHIMEDE |
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