DEBITI e PINELLE
(Le pinelle sono come i debiti:
se ne hai troppe sono solo problemi)
- 16° capitolo -
-Sarà una calda estate… - commenta PIUMA.
Non si riferisce al tempo meteorologico, ma agli
abbandoni e ai problemi connessi. In un mese abbiamo ricevuto ben sette
donazioni: sei gattini tra le 5 e le 10 settimane di vita e un cucciolo, mezzo
ritardato mentale: GGNAZZIO.
Ho saputo dal Capo che una delle piccole ha
già trovato casa, gli altri due difficilmente ce la faranno. Gli ultimi tre
arrivati ancora non sono stati messi in adozione ma anche per quelli si nutrono
scarse speranze sul trovare loro una famiglia. In settimana anche GGNAZZIO
verrà messo in adozione: le sue quotazioni sono peggio della Borsa di Milano
post-Brexit.
Per contro, abbiamo avuto la perdita
accertata di ARTU’, la scomparsa (che non lascia presagire nulla di buono) di
ORTICHINO e pure BERETTA sono diversi giorni che latita.
Ricambio generazionale si chiama… mi sembra.
16
La interrogo con uno sguardo.
- E’un segnale che si mette sopra le tombe
degli animali.
Continuo a guardarla perplesso.
- Li ho visti per la prima volta al cimitero
degli animali, alla villa della Marchesa Adalgisa. Dietro alla rimessa che
abbiamo ristrutturato c’è la zona con le tombe dei gatti. Ogni sepoltura ha un
letto di ciottoli su tutta la superficie, un sasso bianco di fiume con il nome
del gatto sepolto e, in cima, un’asta come quella con il numero della tomba. La
marchesa era molto scrupolosa, aveva anche un registro con tutte le sepolture:
gatto e data.
- E al 18 chi ci sta?
- Non ne ho idea. Ora, al cimitero sono
seppelliti 63 gatti. Abbiamo uno stock di quelle aste fino al numero 100.
Bisognerebbe controllare il registro.
- Domattina hai da fare?
- Dopo le 10 sono libera.
- Bene. Ti passo a prendere alle 10,30. Mi
porti alla villa.
- A fare?
- Una cosa - rimango sul vago.
- Ci vuoi andare ora?
- Ti ringrazio, ma di notte preferisco fare
qualcos’altro che andare a visitare cimiteri.
- Sarebbe?
- Andiamo in camera - le mormoro col sorriso
da gatto non sterilizzato.
Alle 11,00 siamo alla villa. Nel bagagliaio
della Regina ho un piccone e una pala. Arrivati alla “dependance” dei gatti
Catia mi presenta una volontaria, giovane e carina.
- Andrea, lei é Caterina.
- Piacere.
Poi, sottovoce dico a Catia: - Mandala via
con una scusa, non la voglio qua.
- Perché?
- Fai come ti dico - chiudo bruscamente il
discorso.
Dopo 10 minuti Caterina ci lascia e noi ci
incamminiamo verso il cimitero degli animali.
- 16… 17… 19! Questa è la 18! Manca il
segnalino.
Sul sasso bianco c’è scritto il nome, quasi
sbiadito: Michel.
- Michel – leggo - l’hai conosciuto?
- No. Di sicuro è morto prima che conoscessi
la Marchesa. Perché non c’è la data sul sasso?
- Secondo me non c’è neppure il gatto, sotto.
Mi allontano e torno con la pala e il
piccone.
- Mica avrai intenzione di scavare la tomba?
- chiede preoccupata Catia.
Non le rispondo e comincio a scalzare i
ciottoli di fiume con la pala.
Dopo una manciata di minuti di lavoro la pala
tocca qualcosa di solido. Scalzo la terra con le mani guantate e scopro una
piccola cassetta di legno con le assi mezze marcite. Inchiodata su un’asse c’è
una targhetta di alluminio, ovale, con inciso il numero 18. Allargo la buca
fino a riuscire ad afferrare la cassetta e sollevarla.
Appena la appoggio a terra un paio di assi si
frantumano.
Con il piccone schiodo le altre assi del
coperchio e, all’interno del contenitore di legno, tra i detriti di terra
penetrati, scorgo un’altra piccola cassetta, stavolta di metallo, tutto
ossidato.
Tombola!
- Cos’è? - chiede Catia.
- Abbiamo preso il pozzo. Ora andiamo a fare
il burraco.
Afferro la cassettina metallica e la
ripulisco con la mano.
Apro le cerniere di chiusura del coperchio,
senza romperle, e mi compare una busta di plastica trasparente con dentro un
piccolo volume e un altro sacchetto trasparente che protegge due buste di carta
gialla sigillate.
Sorrido.
- Vammi a prendere un cartone vuoto e mettici
dentro qualche confezione di crocchette.
- Perché?
Uno sguardo quasi feroce le fa capire che non
è il momento di domande.
Catia torna con il cartone e le crocchette
appena richiusa la fossa, mentre ci sto sistemando sopra i ciottoli.
Ripristino la tomba in maniera tale che lo
scavo non sia molto visibile, rimetto a posto il sasso bianco e infilzo l’asta
col numero 18 nella parte superiore.
Metto la cassettina di metallo nel cartone e
la copro con le confezioni di crocchette. Prendo pala e piccone e getto tutto
dentro il bagagliaio della Regina.
- Andiamocene - faccio a Catia - Stasera
vieni a cena a casa mia.
- Non controlliamo ora?
- No.
- Perché?
- Stasera ti spiego.
Torno a casa e appoggio il cartone sul tavolo
della cucina. Prendo un sacchetto di crocchette, chiamo i gatti in veranda e
gliele verso nella ciotola. Dopo pranzo faccio il mio solito pisolo, come se
nulla fosse successo, e, alle 16, comincio a controllare il piccolo volume: è
un’elegante diario personale scritto con penna stilografica e una raffinata
calligrafia.
Marchese
Ottaviano Peruzzi de’ Medici
promemoria
ai posteri
Grosseto,
li 12 novembre 1946
Il
Debito.
Tutti
sappiamo che la Guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra, nel XIV secolo,
ci ha rovinato economicamente. L’ingente prestito, mezzo milione di fiorini
d’oro, fatto alla Corona Inglese, nello specifico al Re Edoardo III, mai
restituito, ha portato al fallimento la nostra attività di banchieri in Firenze
e la famiglia nostra: tutta.
Anche i
Bardi e gli Acciaioli, altre famiglie di banchieri, hanno subito la stessa
disgrazia ma, nella loro sfortuna, non hanno patito le nostre sofferenze.
Da poco
ho saputo che il debito conseguito dalla Corona Inglese è stato prescritto; tra
le clausole degli accordi sul rimborso dei danni di guerra gli Inglesi hanno
inserito pure l’estinzione dei debiti contratti con le tre famiglie fiorentine.
Nulla è dovuto: è scritto.
Ma
esiste un cavillo, una piccola postilla, un’appendice al contratto di debito
che annulla questa imposizione della nazione vincitrice.
Guidalberto
Peruzzi, amministratore dei beni di famiglia, aveva capito prima di tutti che
sarebbe stato impossibile esigere il credito in tempi brevi. Fece un nuovo
contratto con Re Edoardo III in cui si specificava che il credito sarebbe stato
esigibile in qualsiasi momento da un discendente maschio della famiglia
Peruzzi; indipendentemente da qualsiasi altro tipo di accordo stipulato con
terze parti.
Ma,
ahimè, questo contratto sparì nel nulla; come sparirono i denari che la Casa
Reale Inglese ci doveva.
Dopo il
fallimento della congiura de’Pazzi, pur non essendone partecipi, fummo accusati
e costretti all’esilio, lontani dalla nostra Firenze.
Rami
della famiglia Peruzzi si stabilirono in Veneto, Umbria, Marche e si
sparpagliarono nella stessa Toscana, dove ancora avevano possedimenti. Un ramo
si rifugiò addirittura in Francia.
Ritornammo col tempo a Firenze, dove
riprendemmo il nostro lustro, ma non la ricchezza persa, e nel 1895 ereditammo
il titolo di Marchesi de’ Medici per ravvivare il ramo estinto dei Granduchi di
Toscana.
Nel 1907
il ramo francese si estinse con la morte del Marchese Rodolphe de Perussis e
l’appendice al contratto, che si credeva perduta per sempre, tornò in mie mani.
Il
Notaio Carlo Alberto Ercolanoni in Firenze mi fece pervenire, in qualità di
unico erede, una cassetta con tutti i documenti del ramo dei de Perussis
estinto, nel 1938.
Provai,
tramite persone vicine al Duce, di far aprire un contenzioso con la Corona
Inglese ma, visti i tempi che correvano e il probabile conflitto alle porte, il
Governo Fascista decise di rimandare ogni tipo di azione legale internazionale
a tempi migliori.
Provai
anche a cercare appoggi in Vaticano: il Cardinale Bernini ascoltò le mie
suppliche e mosse alcuni passi con diplomatici inglesi.
Di lì a
breve fui protagonista di due singolari incidenti.
Fui
fatto bersaglio, erroneamente scambiato per un cinghiale, da un cacciatore mai
visto nelle nostre parti, ma venni solo sfiorato dalla micidiale palla e
terminai, con la mia Alfa Romeo, giù per una scarpata. Qualcuno aveva sabotato
i freni dell’automobile.
In quel momento ripensai a tutte le
raccomandazioni di mio padre, Marchese Carlo Luigi Peruzzi de’ Medici, e alla
leggenda che voleva, da secoli, gli eredi maschi del Casato Peruzzi sfortunati.
Tanti
erano morti in circostanze singolari, per non dir sospette, su altri, invece,
si era accanita la malattia.
Malattia
che non aveva risparmiato neppure mia moglie, Marchesa Maria Vittoria Peruzzi
de’ Medici.
Pure
mia sorella, Elena Peruzzi, ne era afflitta, lo sapevo per certo anche se,
appena raggiunta la maggiore età era fuggita in America con un attore di teatro
di quart’ordine e, per questo, diseredata da titoli e beni terreni da mio
padre.
Sempre
con la fattiva collaborazione del Cardinale Bernini riuscii a trovare un
accordo con la Casa Reale Inglese: mi astenevo, vita natural durante, a
richiedere qualsiasi tipo di risarcimento in cambio di un corposo vitalizio
consistente in 2.000 sterline al mese rivalutabili.
Richiesi, e mi fu accordata, la clausola
che tale vitalizio fosse esteso, alla mia morte, a mia figlia Adalgisa nella
quantità stabilita di 20.000 sterline fisse mensili.
Non
fidandomi degli Inglesi, come la storia mi ha insegnato, diedi solo la mia
parola di erede dei Peruzzi de’ Medici e custodii il prezioso documento in un
posto segreto senza farne parola con nessuno, Adalgisa compresa.
Una
notizia mi colse di sprovvista alla fine di dicembre 1943.
Il
Cardinale Bernini mi comunicò che mio nipote, figlio di mia sorella Elena,
aveva preso i voti e apparteneva all’ Ordine Benedettino.
Michel
Peruzzi, questo il suo nome, sarebbe giunto in Vaticano entro la fine di
febbraio del successivo anno per poi raggiungere il monastero di Montecassino.
Purtroppo
una brutta influenza non mi permise di incontrare questo sconosciuto nipote. Il
Cardinale Bernini mi raccontò che Michel, oramai ventenne, non era stato
riconosciuto dal padre, anzi, si ignorava del tutto chi fosse, visto lo stile
dissennato di vita della madre.
Mia
sorella Elena, seppi sempre dal Cardinale, morì poco tempo dopo il parto per
una banale infezione e il piccolo Michel venne affidato ad un orfanatrofio;
successivamente ad un monastero dell’Ordine Benedettino.
Mi
consigliai col Cardinale sul da farsi. La comparsa in scena di un nuovo erede
maschio della stirpe Peruzzi de’ Medici cambiava le carte in tavola e, di
certo, gli accordi stretti con la Casa Reale Inglese.
Comunque
la vita di Michel era in pericolo: dovevo avvertirlo in qualche modo.
Non
potei recarmi a Montecassino in quanto il fronte di guerra si era arenato
proprio là e i collegamenti erano interrotti.
Venne
il fatidico 15 febbraio 1944, i bombardieri americani rasero al suolo l’Abbazia
provocando centinaia di vittime tra i civili che vi si erano rifugiati e i
pochi monaci presenti.
Venni
subito informato dal Cardinale Bernini che Michel era vivo e, con l’aiuto del
comando tedesco, trasportato in luogo sicuro. A breve sarebbe tornato tra le
mura vaticane.
Finalmente
ebbi l’occasione di incontrare il figlio di mia sorella: un giovane alto e
magrissimo, dall’aspetto e parlata mite.
Parlammo
un intero pomeriggio, di sua madre, del nonno e della ferma volontà di
continuare la sua opera per il Signore dentro le mura di qualche altro convento
dove c’era bisogno di dare aiuto e conforto alla popolazione civile, stremata
dalle miserie della guerra.
Gli
raccontai del debito contratto dalla Casa Reale Inglese con i nostri avi e
della lunga scia di sangue che aveva provocato. Di come avevo raggiunto un
accordo di pace, sicuro di essere l’ultimo erede maschio della Casata Peruzzi
de’ Medici e di quanto, ora, la sua vita fosse in pericolo.
Lui non
sembrò spaventarsi e mi rispose: “Sono qui per eseguire la volontà di Dio,
debiti, eredità e titoli nobiliari non mi interessano. Mi interessa la gente
che soffre.”
Capii
che non c’era alcuna possibilità di convincerlo a rimanere, al sicuro, dentro
le mura Vaticane e mi affidai al Cardinale Bernini affinché a Michel fosse
cambiato il nome e venisse destinato ad
un monastero dove non corresse rischi, rimanendo non visibile alle spie e ai
sicari inglesi.
Il
Cardinale Bernini mi rassicurò a tal riguardo: aveva già pensato ad una
soluzione simile. Aveva pure trovato il nuovo nome per il monaco Michel
Peruzzi. Da ora si sarebbe chiamato monaco Miki Americano: avrebbe avvisato lui
stesso l’Abate Primate del cambiamento di nome.
Quando
mi congedai da Michel, dopo avergli rivolto ulteriori raccomandazioni per la
sua sicurezza, gli chiesi come mai dalla sua mano sinistra mancasse una falange
del mignolo.
“E’
stata la volontà del Signore: un piccolo lavoro di falegnameria eseguito con
scarsa perizia”, mi rispose.
Lo
salutai e mi raccomandai ancora con il Cardinale della sua salvaguardia e per
avere, quando possibile, sue notizie.
L’unica
notizia che ebbi, però, fu quella della sua morte durante un bombardamento al
monastero dove era stato assegnato: un piccolo cenobio situato alle pendici di
Monte Cucco, vicino Gubbio.
Capii
che gli Inglesi avevano saputo e agito di conseguenza.
Contattai
il Cardinale Bernini per sapere dove fossero le sue spoglie: la risposta non
arrivò mai. Anche il Cardinale Bernini aveva cessato la sua esistenza.
Ora
lascio questo piccolo diario a mia figlia Adalgisa e ai suoi discendenti con la
preghiera di scoprire il luogo di sepoltura di Michel e portarvi un fiore da
parte mia.
Rileggo le poche pagine diverse volte. Non
sono molto convinto di questa storia. O meglio: vorrei dei riscontri più
precisi. Ma il Marchese è morto da tempo, pure il Cardinale Bernini e la figlia
Adalgisa.
Mi affido a Google per conoscere la storia
dei banchieri Peruzzi di Firenze. Google mi conferma gran parte di quello che
il Marchese ha scritto. Ma ho sempre un dubbio: quanto scritto potrebbe essere
l’invenzione della mente annoiata di un nobile che ha ricamato un episodio su
fatti storici.
Guardo Misha che, accovacciata sulla mia
scrivania, mi sta osservando immobile. I quattro micetti-sommergibili dormono
accatastati uno sopra l’altro sul divano.
si sono
abituati alla mia presenza
Controllo l’ora e vedo che è tardissimo.
Prendo il telefonino e chiamo Catia: - Ciao! Stai arrivando?
- Sì! Sono partita da 5 minuti.
- Benissimo! Allora, alla prima pizzeria che
incontri compra due pizze e un paio di birre, poi ti restituisco i soldi.
- Cosa?
- Mi si è bruciata la cena - invento.
Dopo mezz’ora arriva portando due margherite
con la mozzarella di bufala e due birre Leffe rosse.
- Cinquanta Euro! – dice - Servizio a
domicilio.
- Poi ti pago in natura…
Mentre stiamo mangiando, con i gatti che
girano intorno al tavolo -interessatissimi- chiede: - Allora?
- Dopo il caffè ti spiego.
Appena si accende la sua malefica sigaretta
inizio a raccontarle tutto.
- E’ una storia un po’ inverosimile. Parte
dalla prima metà del 1300 - Catia manda giù una boccata di fumo e aggrotta le
sopracciglia - e -nello specifico- da un ingente prestito fatto dalla famiglia
Peruzzi a Edoardo III, re d’Inghilterra.
- Una famiglia che presta i soldi a un re?
- Non una famiglia qualsiasi: i Peruzzi di
Firenze erano tra i più grossi banchieri d’Europa e varie corti si erano già rivolte
a loro per finanziare le mille guerre in corso per il continente. L’Inghilterra
era impegnata nella Guerra dei Cent’anni contro la Francia e tre famiglie di
banchieri fiorentini, i Peruzzi, i Bardi e gli Acciaioli, fecero una cordata
per concedere un prestito alla Corona Inglese di proporzioni astronomiche, a
quei tempi. Tale prestito non fu mai restituito.
- Corretti, gli inglesi! - mi interrompe
Catia.
- Sì! E la cosa provocò il fallimento delle
tre banche e la caduta in disgrazia delle famiglie.
- Non era possibile farsi restituire i soldi,
in qualche modo?
- Credo solo con una guerra. Ma è assurdo
prestare i soldi a qualcuno e poi fargli guerra. Il patriarca della famiglia
Peruzzi, però, fece firmare una clausola aggiuntiva al contratto di debito: il
denaro dovuto doveva essere rimesso in ogni caso, finché ci fosse stato un
discendente maschio della famiglia Peruzzi che lo reclamasse.
- Perché?
- Sicuramente il vecchio dei Peruzzi aveva
capito che era stata fatta una grossa cazzata e, per far rientrare quei soldi,
sarebbero occorsi anni; se non secoli. Nello scritto del Marchese si insinua
anche di strane morti dei maschi del Casato Peruzzi nei tempi a venire.
- Morti gli uomini, nulla era dovuto -
puntualizza Catia accendendosi un’altra sigaretta.
- Esatto. Ma fammi finire. Quel documento con
la postilla scomparve misteriosamente e ritornò in mano al Marchese Ottaviano
dopo la morte dell’ultimo discendente del ramo francese dei Peruzzi, poco prima
che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Il Marchese cercò di avviare
un’azione legale per la restituzione del debito ma fu praticamente
sconsigliato, forse dal Duce stesso.
- Perché?
- Credo sia molto semplice come ragionamento.
Pensa a quanto sarebbe ammontata -con i dovuti interessi- la cifra da restituire
di un prestito colossale fatto 600 anni prima. Non sarebbe bastato tutto
l’Impero britannico per estinguerlo. Il Marchese lo capì e raggiunse un accordo
con la Casa Reale Inglese: un vitalizio, estensibile a sua figlia Adalgisa,
ultima discendente della casata, alla sua morte. E così fu. Ora si spiegano
quelle 20.000 sterline che arrivavano, ogni mese, sul conto corrente della
Marchesa. Ed ecco perché, dal mese della sua morte, non sono arrivate più.
- Ma il monaco?
- Eccolo, aspetta. Il Marchese Ottaviano
aveva una sorella: Elena. Un tipo irrequieto e indipendente. Fuggì in America
con un attore e lì condusse una vita spericolata mettendo al mondo anche un
figlio: Michel Peruzzi, di padre ignoto, rimasto orfano poco dopo perché sua
madre morì per un’infezione. Il bambino finì in un monastero benedettino, poi
prese i voti e divenne monaco.
- Non lo sapevo.
- Veramente anche il Marchese era all’oscuro
dell’esistenza di questo nipote e della morte della sorella. Avevano tagliato i
ponti tra loro. Ma in Vaticano il Cardinale Bernini, amico di famiglia, ne era
a conoscenza. Probabilmente era rimasto in contatto con Elena Peruzzi de’
Medici. Quando Michel decise di venire a fare il missionario in Italia avvertì
il Marchese e gli raccontò tutto. Michel andò prima a Montecassino, ma
l’abbazia fu bombardata dagli americani e ritornò in Vaticano dove incontrò lo
zio che gli spiegò tutta la storia del debito con gli inglesi, cercando di
proteggerlo.
- Perché?
- Era spuntato fuori (dal nulla) un nuovo
erede maschio della Casata Peruzzi. Poteva essere richiesta la restituzione del
debito, anche se si era in guerra con l’Italia: Michel era italo-americano. Hai
presente come funziona la giustizia negli Stati Uniti? A guerra finita il
governo americano avrebbe potuto appoggiare un’eventuale legittima richiesta di
rimborso. Comunque Michel non era interessato a questa cosa, lui aveva la
vocazione del missionario: del vero monaco benedettino. Voleva continuare la
sua opera di aiuto alla popolazione sofferente.
- Mah...
- Ognuno ha i suoi ideali - mi verso un
goccio di bourbon - Michel, sotto la protezione del Cardinale Bernini, venne
inviato al monastero vicino a Pascelupo. Quello che è successo lo sappiamo.
- E’ morto? - chiede Catia.
- Sì, sembrerebbe, nel bombardamento del
monastero. Ma…
- Ma?
- Non si sa dove sia sepolto.
- Strano.
- Già.
- Ci credi a questa storia? - chiede
perplessa.
- I fatti storici sono realmente accaduti. Il
prestito e il mancato rimborso, il fatto del suo annullamento inserito tra i
danni di guerra pagati dall’Italia agli Alleati, l’estinzione del ramo francese
del Casato Peruzzi, il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino e del
monastero di Pascelupo sono verità. Ho controllato nella rete. Forse è esistito
pure un Michel Peruzzi e -di certo- la missione fallita da Lionel Hawtin è
verità. Ma si potrebbe ipotizzare pure che il Marchese abbia ricamato una
storia da romanzo su dei fatti reali.
- Non l’ho conosciuto: non so che tipo fosse.
Mi sembra, invece, strano il comportamento della Marchesa.
- A me no. La Marchesa Adalgisa ha preferito
tacere e tenersi la sua rendita mensile
senza farsi troppi problemi. Forse, in punto di morte, ha deciso di lavarsi la
coscienza.
Bevo un sorso di birra.
- Ti dicevo, sarebbe ipotizzabile un lavoro
di fantasia se non ci fossero tre piccoli particolari che aiutano a confermare
quanto scritto dal Marchese.
- Cioè?
- Il primo. Il libro è stato scritto nel
1947. Il Marchese è morto nel 1946. Ho verificato: non poteva sapere della
missione fallita. Questo potrebbe essere un pesante indizio di conferma della
veridicità di quanto ha scritto.
- Forse è solo una coincidenza. Il secondo
particolare?
- E’ da quando sono andato a parlare con
Margaret Hawtin-Stutton che noi due siamo controllati dai servizi segreti
inglesi. Uno più uno fa sempre due, per me.
- Controllati dai servizi segreti inglesi?
Come lo sai? - Catia è preoccupata.
- Ho un angelo custode che mi controlla e
controlla se qualcuno mi controlla. Scusa il gioco di parole.
- Perché?
- Probabilmente hanno paura che possiamo
tirargli fuori i panni sporchi dalla cesta del bucato.
- No! Perché hai un angelo custode che ti
controlla?
- Domanda non pertinente.
E, come da copione, Catia mette il muso.
- Troppi misteri - mormora.
- Misteri che si stanno svelando.
- I tuoi. Mi riferivo ai tuoi misteri: quelli
che non vuoi svelare.
Non rispondo e le preparo un altro caffè.
- Facciamo il torneo insieme domani sera? -
chiede.
- Non ne ho voglia - la risposta secca.
Catia se ne va poco dopo: sembra delusa.
Anche io: non ho potuto pagare il debito
delle pizze in natura.
E -soprattutto- non ho potuto parlarle del
terzo piccolo particolare: i due documenti nelle buste. Gli ho dato una
sbirciata: sono scritti in lingue a me poco comprensibili (presumo siano il
volgare italiano e l’inglese del XIV secolo) ma, dalle firme e dalle date,
dovrebbero essere proprio il documento di debito e il contratto con la clausola
aggiuntiva.
La saggia PIUMA |
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