domenica 3 luglio 2016

IL SOLARIUM LETTERARIO








DEBITI e PINELLE

(Le pinelle sono come i debiti:
se ne hai troppe sono solo problemi)
- 16° capitolo - 









-Sarà una calda estate… - commenta PIUMA.
Non si riferisce al tempo meteorologico, ma agli abbandoni e ai problemi connessi. In un mese abbiamo ricevuto ben sette donazioni: sei gattini tra le 5 e le 10 settimane di vita e un cucciolo, mezzo ritardato mentale: GGNAZZIO.
Ho saputo dal Capo che una delle piccole ha già trovato casa, gli altri due difficilmente ce la faranno. Gli ultimi tre arrivati ancora non sono stati messi in adozione ma anche per quelli si nutrono scarse speranze sul trovare loro una famiglia. In settimana anche GGNAZZIO verrà messo in adozione: le sue quotazioni sono peggio della Borsa di Milano post-Brexit.
Per contro, abbiamo avuto la perdita accertata di ARTU’, la scomparsa (che non lascia presagire nulla di buono) di ORTICHINO e pure BERETTA sono diversi giorni che latita.
Ricambio generazionale si chiama… mi sembra.

16

La interrogo con uno sguardo.
- E’un segnale che si mette sopra le tombe degli animali.
Continuo a guardarla perplesso.
- Li ho visti per la prima volta al cimitero degli animali, alla villa della Marchesa Adalgisa. Dietro alla rimessa che abbiamo ristrutturato c’è la zona con le tombe dei gatti. Ogni sepoltura ha un letto di ciottoli su tutta la superficie, un sasso bianco di fiume con il nome del gatto sepolto e, in cima, un’asta come quella con il numero della tomba. La marchesa era molto scrupolosa, aveva anche un registro con tutte le sepolture: gatto e data.
- E al 18 chi ci sta?
- Non ne ho idea. Ora, al cimitero sono seppelliti 63 gatti. Abbiamo uno stock di quelle aste fino al numero 100. Bisognerebbe controllare il registro.
- Domattina hai da fare?
- Dopo le 10 sono libera.
- Bene. Ti passo a prendere alle 10,30. Mi porti alla villa.
- A fare?
- Una cosa - rimango sul vago.
- Ci vuoi andare ora?
- Ti ringrazio, ma di notte preferisco fare qualcos’altro che andare a visitare cimiteri.
- Sarebbe?
- Andiamo in camera - le mormoro col sorriso da gatto non sterilizzato.
Alle 11,00 siamo alla villa. Nel bagagliaio della Regina ho un piccone e una pala. Arrivati alla “dependance” dei gatti Catia mi presenta una volontaria, giovane e carina.
- Andrea, lei é Caterina.
- Piacere.
Poi, sottovoce dico a Catia: - Mandala via con una scusa, non la voglio qua.
- Perché?
- Fai come ti dico - chiudo bruscamente il discorso.
Dopo 10 minuti Caterina ci lascia e noi ci incamminiamo verso il cimitero degli animali.
- 16… 17… 19! Questa è la 18! Manca il segnalino.
Sul sasso bianco c’è scritto il nome, quasi sbiadito: Michel.
- Michel – leggo - l’hai conosciuto?
- No. Di sicuro è morto prima che conoscessi la Marchesa. Perché non c’è la data sul sasso?
- Secondo me non c’è neppure il gatto, sotto.
Mi allontano e torno con la pala e il piccone.
- Mica avrai intenzione di scavare la tomba? - chiede preoccupata Catia.
Non le rispondo e comincio a scalzare i ciottoli di fiume con la pala.
Dopo una manciata di minuti di lavoro la pala tocca qualcosa di solido. Scalzo la terra con le mani guantate e scopro una piccola cassetta di legno con le assi mezze marcite. Inchiodata su un’asse c’è una targhetta di alluminio, ovale, con inciso il numero 18. Allargo la buca fino a riuscire ad afferrare la cassetta e sollevarla.
Appena la appoggio a terra un paio di assi si frantumano.
Con il piccone schiodo le altre assi del coperchio e, all’interno del contenitore di legno, tra i detriti di terra penetrati, scorgo un’altra piccola cassetta, stavolta di metallo, tutto ossidato.
Tombola!
- Cos’è? - chiede Catia.
- Abbiamo preso il pozzo. Ora andiamo a fare il burraco.
Afferro la cassettina metallica e la ripulisco con la mano.
Apro le cerniere di chiusura del coperchio, senza romperle, e mi compare una busta di plastica trasparente con dentro un piccolo volume e un altro sacchetto trasparente che protegge due buste di carta gialla sigillate.
Sorrido.
- Vammi a prendere un cartone vuoto e mettici dentro qualche confezione di crocchette.
- Perché?
Uno sguardo quasi feroce le fa capire che non è il momento di domande.
Catia torna con il cartone e le crocchette appena richiusa la fossa, mentre ci sto sistemando sopra i ciottoli.
Ripristino la tomba in maniera tale che lo scavo non sia molto visibile, rimetto a posto il sasso bianco e infilzo l’asta col numero 18 nella parte superiore.
Metto la cassettina di metallo nel cartone e la copro con le confezioni di crocchette. Prendo pala e piccone e getto tutto dentro il bagagliaio della Regina.
- Andiamocene - faccio a Catia - Stasera vieni a cena a casa mia.
- Non controlliamo ora?
- No.
- Perché?
- Stasera ti spiego.
Torno a casa e appoggio il cartone sul tavolo della cucina. Prendo un sacchetto di crocchette, chiamo i gatti in veranda e gliele verso nella ciotola. Dopo pranzo faccio il mio solito pisolo, come se nulla fosse successo, e, alle 16, comincio a controllare il piccolo volume: è un’elegante diario personale scritto con penna stilografica e una raffinata calligrafia.

Marchese Ottaviano Peruzzi de’ Medici
promemoria ai posteri
Grosseto, li 12 novembre 1946

Il Debito.
Tutti sappiamo che la Guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra, nel XIV secolo, ci ha rovinato economicamente. L’ingente prestito, mezzo milione di fiorini d’oro, fatto alla Corona Inglese, nello specifico al Re Edoardo III, mai restituito, ha portato al fallimento la nostra attività di banchieri in Firenze e la famiglia nostra: tutta.
Anche i Bardi e gli Acciaioli, altre famiglie di banchieri, hanno subito la stessa disgrazia ma, nella loro sfortuna, non hanno patito le nostre sofferenze.
Da poco ho saputo che il debito conseguito dalla Corona Inglese è stato prescritto; tra le clausole degli accordi sul rimborso dei danni di guerra gli Inglesi hanno inserito pure l’estinzione dei debiti contratti con le tre famiglie fiorentine. Nulla è dovuto: è scritto.
Ma esiste un cavillo, una piccola postilla, un’appendice al contratto di debito che annulla questa imposizione della nazione vincitrice.
Guidalberto Peruzzi, amministratore dei beni di famiglia, aveva capito prima di tutti che sarebbe stato impossibile esigere il credito in tempi brevi. Fece un nuovo contratto con Re Edoardo III in cui si specificava che il credito sarebbe stato esigibile in qualsiasi momento da un discendente maschio della famiglia Peruzzi; indipendentemente da qualsiasi altro tipo di accordo stipulato con terze parti.
Ma, ahimè, questo contratto sparì nel nulla; come sparirono i denari che la Casa Reale Inglese ci doveva.
Dopo il fallimento della congiura de’Pazzi, pur non essendone partecipi, fummo accusati e costretti all’esilio, lontani dalla nostra Firenze.
Rami della famiglia Peruzzi si stabilirono in Veneto, Umbria, Marche e si sparpagliarono nella stessa Toscana, dove ancora avevano possedimenti. Un ramo si rifugiò addirittura in Francia.
       Ritornammo col tempo a Firenze, dove riprendemmo il nostro lustro, ma non la ricchezza persa, e nel 1895 ereditammo il titolo di Marchesi de’ Medici per ravvivare il ramo estinto dei Granduchi di Toscana.
Nel 1907 il ramo francese si estinse con la morte del Marchese Rodolphe de Perussis e l’appendice al contratto, che si credeva perduta per sempre, tornò in mie mani.
Il Notaio Carlo Alberto Ercolanoni in Firenze mi fece pervenire, in qualità di unico erede, una cassetta con tutti i documenti del ramo dei de Perussis estinto, nel 1938.
Provai, tramite persone vicine al Duce, di far aprire un contenzioso con la Corona Inglese ma, visti i tempi che correvano e il probabile conflitto alle porte, il Governo Fascista decise di rimandare ogni tipo di azione legale internazionale a tempi migliori.
Provai anche a cercare appoggi in Vaticano: il Cardinale Bernini ascoltò le mie suppliche e mosse alcuni passi con diplomatici inglesi.
Di lì a breve fui protagonista di due singolari incidenti.
Fui fatto bersaglio, erroneamente scambiato per un cinghiale, da un cacciatore mai visto nelle nostre parti, ma venni solo sfiorato dalla micidiale palla e terminai, con la mia Alfa Romeo, giù per una scarpata. Qualcuno aveva sabotato i freni dell’automobile.
      In quel momento ripensai a tutte le raccomandazioni di mio padre, Marchese Carlo Luigi Peruzzi de’ Medici, e alla leggenda che voleva, da secoli, gli eredi maschi del Casato Peruzzi sfortunati.
Tanti erano morti in circostanze singolari, per non dir sospette, su altri, invece, si era accanita la malattia.
Malattia che non aveva risparmiato neppure mia moglie, Marchesa Maria Vittoria Peruzzi de’ Medici.
Pure mia sorella, Elena Peruzzi, ne era afflitta, lo sapevo per certo anche se, appena raggiunta la maggiore età era fuggita in America con un attore di teatro di quart’ordine e, per questo, diseredata da titoli e beni terreni da mio padre.
Sempre con la fattiva collaborazione del Cardinale Bernini riuscii a trovare un accordo con la Casa Reale Inglese: mi astenevo, vita natural durante, a richiedere qualsiasi tipo di risarcimento in cambio di un corposo vitalizio consistente in 2.000 sterline al mese rivalutabili.
       Richiesi, e mi fu accordata, la clausola che tale vitalizio fosse esteso, alla mia morte, a mia figlia Adalgisa nella quantità stabilita di 20.000 sterline fisse mensili.
Non fidandomi degli Inglesi, come la storia mi ha insegnato, diedi solo la mia parola di erede dei Peruzzi de’ Medici e custodii il prezioso documento in un posto segreto senza farne parola con nessuno, Adalgisa compresa.
Una notizia mi colse di sprovvista alla fine di dicembre 1943.
Il Cardinale Bernini mi comunicò che mio nipote, figlio di mia sorella Elena, aveva preso i voti e apparteneva all’ Ordine Benedettino.
Michel Peruzzi, questo il suo nome, sarebbe giunto in Vaticano entro la fine di febbraio del successivo anno per poi raggiungere il monastero di Montecassino.
Purtroppo una brutta influenza non mi permise di incontrare questo sconosciuto nipote. Il Cardinale Bernini mi raccontò che Michel, oramai ventenne, non era stato riconosciuto dal padre, anzi, si ignorava del tutto chi fosse, visto lo stile dissennato di vita della madre.
Mia sorella Elena, seppi sempre dal Cardinale, morì poco tempo dopo il parto per una banale infezione e il piccolo Michel venne affidato ad un orfanatrofio; successivamente ad un monastero dell’Ordine Benedettino.
Mi consigliai col Cardinale sul da farsi. La comparsa in scena di un nuovo erede maschio della stirpe Peruzzi de’ Medici cambiava le carte in tavola e, di certo, gli accordi stretti con la Casa Reale Inglese.
Comunque la vita di Michel era in pericolo: dovevo avvertirlo in qualche modo.
Non potei recarmi a Montecassino in quanto il fronte di guerra si era arenato proprio là e i collegamenti erano interrotti.
Venne il fatidico 15 febbraio 1944, i bombardieri americani rasero al suolo l’Abbazia provocando centinaia di vittime tra i civili che vi si erano rifugiati e i pochi monaci presenti.
Venni subito informato dal Cardinale Bernini che Michel era vivo e, con l’aiuto del comando tedesco, trasportato in luogo sicuro. A breve sarebbe tornato tra le mura vaticane.
Finalmente ebbi l’occasione di incontrare il figlio di mia sorella: un giovane alto e magrissimo, dall’aspetto e parlata mite.
Parlammo un intero pomeriggio, di sua madre, del nonno e della ferma volontà di continuare la sua opera per il Signore dentro le mura di qualche altro convento dove c’era bisogno di dare aiuto e conforto alla popolazione civile, stremata dalle miserie della guerra.
Gli raccontai del debito contratto dalla Casa Reale Inglese con i nostri avi e della lunga scia di sangue che aveva provocato. Di come avevo raggiunto un accordo di pace, sicuro di essere l’ultimo erede maschio della Casata Peruzzi de’ Medici e di quanto, ora, la sua vita fosse in pericolo.
Lui non sembrò spaventarsi e mi rispose: “Sono qui per eseguire la volontà di Dio, debiti, eredità e titoli nobiliari non mi interessano. Mi interessa la gente che soffre.”
Capii che non c’era alcuna possibilità di convincerlo a rimanere, al sicuro, dentro le mura Vaticane e mi affidai al Cardinale Bernini affinché a Michel fosse cambiato il nome  e venisse destinato ad un monastero dove non corresse rischi, rimanendo non visibile alle spie e ai sicari inglesi.
Il Cardinale Bernini mi rassicurò a tal riguardo: aveva già pensato ad una soluzione simile. Aveva pure trovato il nuovo nome per il monaco Michel Peruzzi. Da ora si sarebbe chiamato monaco Miki Americano: avrebbe avvisato lui stesso l’Abate Primate del cambiamento di nome.
Quando mi congedai da Michel, dopo avergli rivolto ulteriori raccomandazioni per la sua sicurezza, gli chiesi come mai dalla sua mano sinistra mancasse una falange del mignolo.
“E’ stata la volontà del Signore: un piccolo lavoro di falegnameria eseguito con scarsa perizia”, mi rispose.
Lo salutai e mi raccomandai ancora con il Cardinale della sua salvaguardia e per avere, quando possibile, sue notizie.
L’unica notizia che ebbi, però, fu quella della sua morte durante un bombardamento al monastero dove era stato assegnato: un piccolo cenobio situato alle pendici di Monte Cucco, vicino Gubbio.
Capii che gli Inglesi avevano saputo e agito di conseguenza.
Contattai il Cardinale Bernini per sapere dove fossero le sue spoglie: la risposta non arrivò mai. Anche il Cardinale Bernini aveva cessato la sua esistenza.
Ora lascio questo piccolo diario a mia figlia Adalgisa e ai suoi discendenti con la preghiera di scoprire il luogo di sepoltura di Michel e portarvi un fiore da parte mia.

Rileggo le poche pagine diverse volte. Non sono molto convinto di questa storia. O meglio: vorrei dei riscontri più precisi. Ma il Marchese è morto da tempo, pure il Cardinale Bernini e la figlia Adalgisa.
Mi affido a Google per conoscere la storia dei banchieri Peruzzi di Firenze. Google mi conferma gran parte di quello che il Marchese ha scritto. Ma ho sempre un dubbio: quanto scritto potrebbe essere l’invenzione della mente annoiata di un nobile che ha ricamato un episodio su fatti storici.
Guardo Misha che, accovacciata sulla mia scrivania, mi sta osservando immobile. I quattro micetti-sommergibili dormono accatastati uno sopra l’altro sul divano.
si sono abituati alla mia presenza
Controllo l’ora e vedo che è tardissimo. Prendo il telefonino e chiamo Catia: - Ciao! Stai arrivando?
- Sì! Sono partita da 5 minuti.
- Benissimo! Allora, alla prima pizzeria che incontri compra due pizze e un paio di birre, poi ti restituisco i soldi.
- Cosa?
- Mi si è bruciata la cena - invento.
Dopo mezz’ora arriva portando due margherite con la mozzarella di bufala e due birre Leffe rosse.
- Cinquanta Euro! – dice - Servizio a domicilio.
- Poi ti pago in natura…
Mentre stiamo mangiando, con i gatti che girano intorno al tavolo -interessatissimi- chiede: - Allora?
- Dopo il caffè ti spiego.
Appena si accende la sua malefica sigaretta inizio a raccontarle tutto.
- E’ una storia un po’ inverosimile. Parte dalla prima metà del 1300 - Catia manda giù una boccata di fumo e aggrotta le sopracciglia - e -nello specifico- da un ingente prestito fatto dalla famiglia Peruzzi a Edoardo III, re d’Inghilterra.
- Una famiglia che presta i soldi a un re?
- Non una famiglia qualsiasi: i Peruzzi di Firenze erano tra i più grossi banchieri d’Europa e varie corti si erano già rivolte a loro per finanziare le mille guerre in corso per il continente. L’Inghilterra era impegnata nella Guerra dei Cent’anni contro la Francia e tre famiglie di banchieri fiorentini, i Peruzzi, i Bardi e gli Acciaioli, fecero una cordata per concedere un prestito alla Corona Inglese di proporzioni astronomiche, a quei tempi. Tale prestito non fu mai restituito.
- Corretti, gli inglesi! - mi interrompe Catia.
- Sì! E la cosa provocò il fallimento delle tre banche e la caduta in disgrazia delle famiglie.
- Non era possibile farsi restituire i soldi, in qualche modo?
- Credo solo con una guerra. Ma è assurdo prestare i soldi a qualcuno e poi fargli guerra. Il patriarca della famiglia Peruzzi, però, fece firmare una clausola aggiuntiva al contratto di debito: il denaro dovuto doveva essere rimesso in ogni caso, finché ci fosse stato un discendente maschio della famiglia Peruzzi che lo reclamasse.
- Perché?
- Sicuramente il vecchio dei Peruzzi aveva capito che era stata fatta una grossa cazzata e, per far rientrare quei soldi, sarebbero occorsi anni; se non secoli. Nello scritto del Marchese si insinua anche di strane morti dei maschi del Casato Peruzzi nei tempi a venire.
- Morti gli uomini, nulla era dovuto - puntualizza Catia accendendosi un’altra sigaretta.
- Esatto. Ma fammi finire. Quel documento con la postilla scomparve misteriosamente e ritornò in mano al Marchese Ottaviano dopo la morte dell’ultimo discendente del ramo francese dei Peruzzi, poco prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Il Marchese cercò di avviare un’azione legale per la restituzione del debito ma fu praticamente sconsigliato, forse dal Duce stesso.
- Perché?
- Credo sia molto semplice come ragionamento. Pensa a quanto sarebbe ammontata -con i dovuti interessi- la cifra da restituire di un prestito colossale fatto 600 anni prima. Non sarebbe bastato tutto l’Impero britannico per estinguerlo. Il Marchese lo capì e raggiunse un accordo con la Casa Reale Inglese: un vitalizio, estensibile a sua figlia Adalgisa, ultima discendente della casata, alla sua morte. E così fu. Ora si spiegano quelle 20.000 sterline che arrivavano, ogni mese, sul conto corrente della Marchesa. Ed ecco perché, dal mese della sua morte, non sono arrivate più.
- Ma il monaco?
- Eccolo, aspetta. Il Marchese Ottaviano aveva una sorella: Elena. Un tipo irrequieto e indipendente. Fuggì in America con un attore e lì condusse una vita spericolata mettendo al mondo anche un figlio: Michel Peruzzi, di padre ignoto, rimasto orfano poco dopo perché sua madre morì per un’infezione. Il bambino finì in un monastero benedettino, poi prese i voti e divenne monaco.
- Non lo sapevo.
- Veramente anche il Marchese era all’oscuro dell’esistenza di questo nipote e della morte della sorella. Avevano tagliato i ponti tra loro. Ma in Vaticano il Cardinale Bernini, amico di famiglia, ne era a conoscenza. Probabilmente era rimasto in contatto con Elena Peruzzi de’ Medici. Quando Michel decise di venire a fare il missionario in Italia avvertì il Marchese e gli raccontò tutto. Michel andò prima a Montecassino, ma l’abbazia fu bombardata dagli americani e ritornò in Vaticano dove incontrò lo zio che gli spiegò tutta la storia del debito con gli inglesi, cercando di proteggerlo.
- Perché?
- Era spuntato fuori (dal nulla) un nuovo erede maschio della Casata Peruzzi. Poteva essere richiesta la restituzione del debito, anche se si era in guerra con l’Italia: Michel era italo-americano. Hai presente come funziona la giustizia negli Stati Uniti? A guerra finita il governo americano avrebbe potuto appoggiare un’eventuale legittima richiesta di rimborso. Comunque Michel non era interessato a questa cosa, lui aveva la vocazione del missionario: del vero monaco benedettino. Voleva continuare la sua opera di aiuto alla popolazione sofferente.
- Mah...
- Ognuno ha i suoi ideali - mi verso un goccio di bourbon - Michel, sotto la protezione del Cardinale Bernini, venne inviato al monastero vicino a Pascelupo. Quello che è successo lo sappiamo.
- E’ morto? - chiede Catia.
- Sì, sembrerebbe, nel bombardamento del monastero.    Ma…
- Ma?
- Non si sa dove sia sepolto.
- Strano.
- Già.
- Ci credi a questa storia? - chiede perplessa.
- I fatti storici sono realmente accaduti. Il prestito e il mancato rimborso, il fatto del suo annullamento inserito tra i danni di guerra pagati dall’Italia agli Alleati, l’estinzione del ramo francese del Casato Peruzzi, il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino e del monastero di Pascelupo sono verità. Ho controllato nella rete. Forse è esistito pure un Michel Peruzzi e -di certo- la missione fallita da Lionel Hawtin è verità. Ma si potrebbe ipotizzare pure che il Marchese abbia ricamato una storia da romanzo su dei fatti reali.
- Non l’ho conosciuto: non so che tipo fosse. Mi sembra, invece, strano il comportamento della Marchesa.
- A me no. La Marchesa Adalgisa ha preferito tacere  e tenersi la sua rendita mensile senza farsi troppi problemi. Forse, in punto di morte, ha deciso di lavarsi la coscienza.
Bevo un sorso di birra.
- Ti dicevo, sarebbe ipotizzabile un lavoro di fantasia se non ci fossero tre piccoli particolari che aiutano a confermare quanto scritto dal Marchese.
- Cioè?
- Il primo. Il libro è stato scritto nel 1947. Il Marchese è morto nel 1946. Ho verificato: non poteva sapere della missione fallita. Questo potrebbe essere un pesante indizio di conferma della veridicità di quanto ha scritto.
- Forse è solo una coincidenza. Il secondo particolare?
- E’ da quando sono andato a parlare con Margaret Hawtin-Stutton che noi due siamo controllati dai servizi segreti inglesi. Uno più uno fa sempre due, per me.
- Controllati dai servizi segreti inglesi? Come lo sai? - Catia è preoccupata.
- Ho un angelo custode che mi controlla e controlla se qualcuno mi controlla. Scusa il gioco di parole.
- Perché?
- Probabilmente hanno paura che possiamo tirargli fuori i panni sporchi dalla cesta del bucato.
- No! Perché hai un angelo custode che ti controlla?
- Domanda non pertinente.
E, come da copione, Catia mette il muso.
- Troppi misteri - mormora.
- Misteri che si stanno svelando.
- I tuoi. Mi riferivo ai tuoi misteri: quelli che non vuoi svelare.
Non rispondo e le preparo un altro caffè.
- Facciamo il torneo insieme domani sera? - chiede.
- Non ne ho voglia - la risposta secca.
Catia se ne va poco dopo: sembra delusa.
Anche io: non ho potuto pagare il debito delle pizze in natura.
E -soprattutto- non ho potuto parlarle del terzo piccolo particolare: i due documenti nelle buste. Gli ho dato una sbirciata: sono scritti in lingue a me poco comprensibili (presumo siano il volgare italiano e l’inglese del XIV secolo) ma, dalle firme e dalle date, dovrebbero essere proprio il documento di debito e il contratto con la clausola aggiuntiva.

La saggia PIUMA 

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