sabato 4 giugno 2016

IL SOLARIUM LETTERARIO







DEBITI e PINELLE

(Le pinelle sono come i debiti:
se ne hai troppe sono solo problemi)
- 12° capitolo -









Piove, esce il sole e piove ancora: quest’anno la stagione della caccia alle lucertole è andata a puttane. ATTILA è triste e sconsolata, ORTICHINO è partito per un safari promettendo che sarebbe tornato con il carniere pieno; sono dieci giorni che latita. In compenso SCHIZZETTA si è nuovamente trasferita in Colonia; con il colore del suo mantello e la proverbiale vista imperfetta di ORTICHINO non voleva finire dentro al carniere.
Gatto che va, gatto che viene…

12

La sera stessa ricevo la visita, inaspettata, di Catia con una notizia bomba.
- Margaret Hawtin-Stutton! - fa raggiante - Ti dice nulla?
- No.
- I cognomi che mi hai detto ieri sera non mi erano nuovi e ho fatto una piccola ricerca. Margaret è la figlia del sergente e di Claire Stutton! - fa con il sorriso che le rende ancora più bello il viso.
- Chi te lo ha detto?
- Lei stessa!
Rimango paralizzato.
- La conosci?
- Sì. E’ una giocatrice di burraco e la presidentessa del circolo “I Ceri Mezzani” di Gubbio. L’ho incontrata diverse volte al tavolo, una buona giocatrice. L’ultima volta, a Firenze, abbiamo cenato assieme e ci siamo scambiati i numeri di cellulare. Stamattina l’ho chiamata.
- E cosa le hai raccontato? - l’espressione del mio viso comincia a virare sull’incazzato mosso.
- Che un amico -giocatore pure lui- mi ha raccontato che sta scrivendo un libro di storia su un fatto poco conosciuto della seconda guerra mondiale e ha fatto il suo cognome. Praticamente l’ho chiamata per sapere se lei fosse una parente e, nel caso,  ti potesse aiutare in qualche modo.
- E?
- Ha detto che ci aspetta sabato prossimo a Gubbio e ci ha invitati al torneo regionale che ha organizzato all’”Ikuvium Park Hotel”. Ma non mi sembri particolarmente contento.
- Non lo sono. Avrei preferito saperlo prima e che non ti fossi esposta in prima persona senza istruzioni da parte mia. Stiamo svolgendo un’indagine su una cosa poco chiara che non sappiamo ancora dove ci può portare. In poche parole hai corso un inutile pericolo e rischiato di mandare a puttane tutto.
Il sorriso di Catia scompare e fa posto a un motto di stizza non represso.
- A burraco sei tu che insegni e io ti seguo - rincaro la dose, - nell’indagine è l’opposto. E l’indagine è più pericolosa di un mazzo di carte.
- Parla l’uomo navigato - esclama.
- No. Parla l’uomo che ha beccato cinque pallottole per aver sbagliato una valutazione in un’ indagine e ha rischiato la vita anche tre anni fa per aver sottovalutato un’azione.
- Cos’è successo tre anni fa?
- Qualcosa per cui ora sto qua - dico senza spiegare - Ora raccontami tutto di nuovo e -parola per parola- quello che vi siete dette al telefono.
Come avevo pronosticato è comparsa una donna e sono ricominciati a guai.
Il giorno successivo comincio a prepararmi mentalmente l’incontro con la figlia del sergente. Non vorrei scoprire troppo le carte, ma ho l’impressione che, oramai, Catia abbia già fatto la frittata.
Telefono pure a Serena, chiedendole asilo per un paio di giorni a Carpaneta e informandola di essere tornato a fare indagini.
La sera prima della partenza ricevo la mail che aspettavo da Ken.
“ Notizie fresche fresche dagli archivi del SOE,
mio benefattore!
Eccoti i 7 fascicoli in file zippati delle missioni
del Sottufficiale Lionel Hawtin.
Gli ho dato una sbirciata ma non ho trovato
nessuna missione in Italia.
Era quella che volevi, no?
Forse l’ultima cartella è quella relativa.
Il problema è che il file negli archivi riporta solamente
il numero della missione e la dicitura
“Fascicolo trasferito all’Archivio della Casa Reale, 10 maggio 1947”.
Buon divertimento!
Ken”
Apro i file e li decomprimo. Inizio la loro lettura.
Sono le missioni già menzionate nel libro, solo con più riferimenti e dettagli.
L’ultimo file riporta quello che mi ha scritto Ken.
missione misteriosa…
Prima di addormentarmi faccio il punto della situazione.
E’ quella la missione che mi interessa, sicuramente contiene la famosa chiave che non trovo.
La mattina dopo, prima di passare a prendere Catia, rileggo velocemente il capitolo del libro relativo alla missione del monaco: ancora buio pesto. Metto il libro dentro il cassetto portaoggetti .
Puntuale alle 8,00 passo a prelevare Catia sotto casa che si presenta con un borsone e due pesanti valige metalliche.
???
Infilo le valige nel bagagliaio della Range e Catia fa ammirata - Però! Ce n’è di spazio nell’ambulanza!
Non reagisco alla provocazione anche perché ho una piccola punta di preoccupazione per la Regina. Nelle ultime due settimane il liquido del circuito di raffreddamento ha bollito due volte.
Michele, il meccanico di Marina, ha detto che forse il giunto viscoso della ventola di raffreddamento è andato o, più pessimisticamente, una delle due testate crepate.
Fatto sta che non sono per niente tranquillo ad affrontare il viaggio e la prospettiva di finirlo su un carro-attrezzi pende su di me come la spada di Damocle.
Come Catia sale a bordo fa - Ti devo confessare una cosa. Mi sento a disagio a viaggiare su quest’auto.
- Perché? - faccio meravigliato.
- E’… come dire, troppo vistosa.
- Troppo vistosa? E il tuo cassonetto catarifrangente, allora?
Si incazza immediatamente e mette il muso. Fortuna che al chilometro 8,600 facciamo la prima tappa per comprare le sigarette, quasi terminate. Per punirmi dell’offesa arrecata alla sua zucca a quattro ruote Catia accende una Winston appena seduta sul sedile senza chiedere il minimo permesso.
cominciamo bene…
Poi, ripensandoci, al chilometro 22,160 si ammorbidisce e mi regala un complimento - Però è comoda. Sembra di viaggiare su una nuvola.
Le sospensioni pneumatiche apprezzano e, dopo il solito gioco di lampeggiamenti dei led arancioni, si posizionano in modalità autostradale.
- Cosa succede? - chiede Catia.
- L’auto ha capito di viaggiare in superstrada e ha abbassato le sospensioni - rispondo con tono orgoglioso, come se avessi un figlio genio che va a ritirare il premio Nobel.
Il viaggio scorre tranquillo fino a quando arriva la domanda che rovina tutto.
- Cosa facevi in Sudamerica?
- Mi occupavo di piantagioni - regalandole la classica mezza verità.
- Non sapevo che fossi un agronomo!
- Non lo sono. Sono laureato in psicologia, in sociologia e in scienze comportamentali - Stavolta è la verità.
- Ah! - fa meravigliata - E cosa coltivavi in Sudamerica, banane?
- Coca - rispondo serio - Erano coltivazioni di piante di coca.
Sbarra gli occhi - Coltivavi cocaina?
- La cocaina è il prodotto che si estrae dalle foglie della coca con un semplice procedimento chimico, non è una pianta – preciso - Comunque non ero là a zappettare e concimare le piante ma a proteggere gli interessi della famiglia mafiosa proprietaria delle coltivazioni.
- Mafia? Sei un esponente mafioso? - Catia si sposta sul sedile come a prendere le distanze da me.
- No. Ero lì solo perché mi dovevo nascondere, loro mi nascondevano e io li aiutavo. Non ci ho guadagnato una lira, se è questo che vuoi sapere.
- E perché ti nascondevi?
- Perché ero stato curioso e avevo fatto troppe domande - chiudo il discorso, ma lo riapro prima che Catia metta il broncio o torni all’attacco.
- Cosa ci sta in quelle valige metalliche?
- La mia attrezzatura medica – risponde - Devo visitare alcuni gatti delle colonie di Serena.
- L’hai sentita?
- Certo! Ma non abbiamo parlato di te, stavolta! Capirai… mica siamo delle curiose che facciamo troppe domande, noi!
La fortuna mi assiste al chilometro 101,330.
- Ho voglia di un caffè - fa Catia.
Dopo qualche minuto ci fermiamo ad una grande stazione di servizio Agip. Catia va al bar mentre io faccio il pieno alla Regina.
La raggiungo per mangiare una crostatina e bere un cappuccino. Catia paga le consumazioni e, tirando fuori una banconota da 20 Euro fa - Dividiamo la benzina?
- Lascia perdere - rispondo alzando la mano sinistra.
- Dai! Quanto hai messo? - insiste.
- Cento Euro.
Cambia espressione in un baleno.
- Cento Euro? Per andare e tornare da Perugia? Ma sei impazzito?
- Io, no. Neppure il benzinaio. E, forse, nemmeno basteranno per tornare.
- Se vuoi un consiglio - fa con voce materna rimettendo i 20 Euro nel portafoglio - cambiala. Con la mia, 100 Euro di metano li spendo in un mese, se faccio parecchi chilometri.
- Ci penserò - Stavolta non le regalo neppure la mezza verità.
Prima di risalire in auto mi chino a raccogliere una moneta da 1 Euro che i miei occhi rapaci hanno scorto dietro lo pneumatico di un’auto parcheggiata.
- E’ un vizio? - domanda Catia appena abbiamo ripreso la superstrada.
- Cosa?
- Quello di raccogliere monetine a terra.
- Ah - faccio sollevato dalla domanda, già pensavo che mi avesse steso di nuovo sul tavolo settorio.
- Una vecchia abitudine. Non sai quante monetine perde la gente. A me piace raccattarle.
- Vecchia quanto? Più di tre anni?
La rivedo proprio sopra a me -nudo- lei col camice bianco e il bisturi in mano.
- Sì - cambiando subito discorso - Parlami un po’ della Marchesa Adalgisa Peruzzi.
- Una donna semplice, pratica, amichevole. Non uno di quei monumenti ingioiellati e restaurati che ti mettono subito le distanze per via del loro titolo nobiliare e dei loro soldi.
- Era ricca?
- Ricca proprio, non direi, ma benestante. Campava con la pensione sociale e una rendita mensile ereditata dal padre.
- Il padre?
- Il Marchese non l’ho conosciuto. E’ morto alla fine degli anni 80. La Marchesa Adalgisa ha ereditato il titolo e tutti i possedimenti.
- E la rendita - preciso.
- Sì. L’amministratore mi ha detto che erano 20.000 sterline al mese.
- 20.000 sterline? Le arrivavano dall’Inghilterra?
- Sì. Una qualche forma di pensione, credo. L’amministratore è stato vago in merito.
- E ora?
- Ora non ci sono più. Morto Cristo, spenti i lumi, si dice, altrimenti non avremmo problemi per tenerci pure la villa.
- 20.000 sterline al mese sono tante per una donna semplice, anche se marchesa - rifletto ad alta voce - dovrebbe aver lasciato un discreto patrimonio in banca.
- Invece no - ribatte Catia - Ho avuto l’impressione che, durante gli anni, l’amministratore si sia ingrassato in modo strano.
- Classico. Come mai aveva l’amministratore?
- Anche quello l’aveva ereditato da suo padre. L’avvocato Farolfi, così si chiama, era pure l’amministratore del Marchese.
- Non esistono altri eredi: sei sicura?
- Sicurissima, il notaio l’ha confermato. Farolfi mi ha raccontato che Adalgisa era figlia unica, il Marchese vedovo da molti anni e mai risposato. Il Marchese aveva una sorella ma è morta molto prima di lui in America. Senza lasciare figli o mariti.
Siamo in prossimità di Perugia quando Catia attacca una nuova discussione.
- Ho trovato il nome per i micetti.
Resto silenzioso in attesa del verdetto.
- Michelangelo, Raffaello, Leonardo e Donatella - fa sorridendo.
- Guarda che sono gatti, mica tartarughe mutanti. Bocciati.
Catia rimette il muso ma dura poco: siamo in vista di Carpaneta.
- Ci sei mai stata a Carpaneta?
- No.
- Preparati a vedere qualcosa di unico.
- Conosci da molto Serena?
- Dieci anni circa.
- Come mai?
- Gatti. Non sapevo come sistemare i gatti di mia zia che era morta - dico, mentre mi si accende una lampadina in testa.
Arriviamo al cancello superiore di Carpaneta.
Carpaneta è un borgo, costruito sulle fondamenta di un antico castrum romano che prima era un luogo di culto etrusco. E’ composto da 3 case, l’immancabile chiesetta rurale e una casa torre unite tra di loro come un piccolo fortilizio, con uno spiazzo imbrecciato sul davanti dove c’è un magnifico leccio secolare. E’ situato in cima a una collina (sui 700-800 metri di altitudine) e il panorama visto dal piazzale e dal tetto terrazzato della casa torre è incantevole.
Carpaneta è chiamato il borgo, la collina dove sorge e tutta la tenuta (vasta) che comprende pure una seconda collina, meno elevata, e delle pozze di acque termali denominate “Le Piscine”.
Ora ci abita solo Serena, in compagnia di una famiglia di domestici extracomunitari e della segretaria, che cambia spesso. Serena ha ereditato la tenuta dal precedente proprietario: il suo amico e amante Giorgio Gaddi, un quasi mio coetaneo morto alcuni anni fa per un infarto e che è stato la causa scatenante di tutte le mie vicissitudini da 10 anni a questa parte per una mia indagine nei suoi confronti.
Finalmente posso allentare la tensione per l’autopsia e per il problema della Regina.

La lucertolina SCHIZZETTA teme per la sua incolumità

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