DEBITI e PINELLE
(Le pinelle sono come i debiti:
se ne hai troppe sono solo problemi)
- 9° capitolo -
E’ scomparso di nuovo SAETTA. No, non c’è da
preoccuparsi! SAETTA sta vivendo un momento difficile, dovrebbe aver trovato
una casa dove lo nutrono a sufficienza e, sicuramente, con cibo di qualità
migliore ed ora la sua coscienza è combattuta. Tornare in pianta stabile alla
Colonia a finire di raccontare la nostra storia e a sentire i soliti brontolii
del Capo o abbandonare tutti gli amici prostituendosi per quattro miseri
bocconcini e fare la classica figura di cacca con gli affezionati lettori?
Lo scopriremo solo vivendo… cantava Battisti.
Comunque l’infame felino ogni tanto si
affaccia alla casetta, in orari non pericolosi per non ricevere la solita
sgridata del Capo.
9
Sono seduto al mio solito posto nella sala
dove si tiene il corso. Noto altre due defezioni; forse il giocatore di burraco
non ha voglia di studiare o approfondire il gioco agonistico. Per un istante
penso al bridge, che avevo provato a giocare qualche vita fa, c’è un abisso tra
i due giochi di carte, ma quale dei due sia più noioso ancora non l’ho capito.
Ammesso che si possa fare un paragone.
- Terza lezione - inizia Catia -
l’avvicinamento al pozzetto.
Mi sorride.
- E’ una fase delicatissima, e prendere il
pozzetto prima degli avversari significa -nel 75% dei casi- segnare punti a
proprio favore nello score…
Comincio a comprendere i fortunati che si
sono ritirati da questo corso.
Altra mezz’ora di discussione e un paio di
ore al tavolo a giocare e a correggere errori.
Finita la serata blocco Catia - Offrimi una
birra, ti devo parlare.
- Hai pescato il 10 di quadri? - chiede con
espressione solare.
- Qualcosa ho pescato, ma volevo parlare del
libro.
Il sorriso solare scompare.
Raggiungiamo a piedi un altro pub, più
silenzioso, meno frequentato, senza gusci di frutta secca a terra, con birra di
qualità scadente e prezzi tripli rispetto al “Be-Bop-A-Lula Pub”, ma riusciamo
a parlare.
- Ho finito di leggere il libro - il mio
esordio - Una porcata mostruosamente noiosa. Escluderei le sette missioni che
l’eroe ha dettagliatamente illustrato e mi concentrerei sull’ultima, quella
fallita.
- Concordo - annuisce Catia.
- Poi, è l’unica missione dove il bersaglio è
un essere umano. Una missione maledetta, come l’ha definita lui stesso.
Bevo un sorso di birra, almeno così sembra la
chiamino in questo pub.
- Secondo me mancano troppe indicazioni e
dettagli, rispetto alle altre missioni che ha raccontato. Ho avuto
l’impressione che non ne volesse approfondire la descrizione, non so se perché
l’abbia fallita o se dietro ci fosse ancora qualcosa da nascondere. Fatto sta
che mi piacerebbe rileggerla a quattr’occhi e commentarla insieme.
- Quando vuoi - risponde Catia, ma noto che
il suo pensiero è distratto da qualcos’altro.
- Cosa c’è? - le chiedo.
- Non vorrei farti perdere tempo.
- Ne ho da vendere. Vieni domani sera a casa
mia.
Rimaniamo in un imbarazzante silenzio. Lei
aspetta che le dica qualcosa che le preme. Io ancora non ho deciso cosa fare.
Ci salutiamo, non prima di aver raccolto un
altro piccolo centesimo di Euro abbandonato a terra. Catia osserva la scena
senza commentare.
Nel pomeriggio ricevo un’altra visita di
controllo e cortesia di Irene. Stranamente non riconosco il rumore del Defender
della Forestale e, quando arriva davanti alla veranda, noto una piccola novità.
La Land Rover è stata sostituita da un fiammante IVECO Massif verde con strisce
bianche. Lo osservo, poi sentenzio.
- Non ti dona. Era meglio il Defender.
- Bisogna aggiornarsi, bello! - dice
scendendo dal nuovo fuoristrada - Tu pure, sarebbe ora di cambiarla,
quell’ambulanza!
ambulanza?
- Quando vuoi fare una sfida, sono pronto - ribatto.
- Sono qui per altro. Dimmi - lapidaria.
- E’ una veterinaria, specializzata in
oftalmologia. Abita a Grosseto, ma non so dove, di preciso.
- Ancora non ti ha invitato nel suo letto?
Hai le azioni in ribasso – sorridendo - Via dei Gigli, 24. Un bel trilocale con
terrazza al terzo piano. Ora le puoi spedire un mazzo di rose.
- Mi sembra di aver colto una punta di
gelosia, sbaglio?
Non risponde, salta sul suo mezzo e scompare
nella strada che attraversa la pineta.
Arriva la sera e, dopo un piatto di
tagliatelle ai porcini e una purificatrice insalata mista, arriva l’ora della
lettura di gruppo. Prima verso il caffè per tutti e due e quando vedo Catia
infilarsi tra le labbra una Winston ho l’ennesimo mancamento.
- Leggi tu, per favore, voglio provare ad
analizzare la missione ad occhi chiusi - dico.
Lei comincia la lettura mentre nuvole di fumo
mi avvolgono le narici.
«22
maggio 1944. Siamo in pieno addestramento con la squadra quasi al completo. Tre
giorni fa Irvin si è fratturato una caviglia durante il salto dal muro di due
metri. La missione ha rischiato di fallire ma, prontamente, il comando ci ha
assegnato un nuovo elemento. Non una recluta, ma un sabotatore già navigato. Un
tipo schivo, che non fa gruppo con noi: non mi piace. Ma la missione viene prima di
ogni pregiudizio. Lo sappiamo tutti che manca poco allo sbarco in Europa e noi
abbiamo un compito importante: dobbiamo far saltare una centrale radio a
Chartres. Sono due settimane che ci addestriamo, qui in Scozia, in un castello
che riproduce abbastanza fedelmente quello dove è situata la stazione radio. Di
prima mattina vengo convocato d’urgenza al Comando insieme al nuovo arrivato,
Brett. Sicuramente il grande capo vorrà delle rassicurazioni sul buon esito
della missione e indottrinare Brett. Invece sono atteso da una sorpresa che mi
lascia stupefatto. Un colonnello, mai visto prima, presentatosi con il nome di
Jan Smith mi comunica che devo abbandonare la missione. E pure la mia squadra,
che proseguirà l’addestramento senza di me. Provo a chiedere una spiegazione,
in barba ai regolamenti.
«Sottufficiale
Grant», mi dice il colonnello, «c’è una missione più importante da compiere in
Italia. Sua Maestà e il Primo Ministro stessi mi hanno incaricato di scegliere
gli uomini migliori e metterli a loro disposizione. E’ una missione di vitale
importanza. E’ fallita già una volta perché erano state fatte errate
valutazioni: ora non si può più sbagliare».
Essere
selezionato per una missione espressamente richiesta da Sua Maestà Re Giorgio
VI e Winston Churchill è un onore; mi metto a completa disposizione.
Al sentir nominare Winston il pensiero mi
corre subito alla sigaretta, ancora accesa, di Catia. Non mi devo distrarre.
- Stop! – faccio - Già è iniziato il lato
oscuro. Brett… Jan Smith mi sanno di nomi fasulli, ma verificheremo. La missione
è già fallita una volta, hai capito? Ed è tanto importante da mettere a rischio
un’altra importante operazione col 6 giugno alle porte. Che ne pensi?
- Cos’è successo il 6 giugno? - chiede.
- 6 giugno 1944. Il D-Day, lo sbarco in
Normandia - rispondo con sguardo ammonitrice - Poi, è l’unica sua missione in
Italia. Sicuramente la Marchesa si riferiva a questo episodio.
- Certamente! - sottolinea Catia - Quel
segnalibro era inserito proprio all’inizio del capitolo che sto leggendo.
Prendo in mano il segnalibro in pelle e
mormoro - Pazienza… ci vuole pazienza con
le donne. Prosegui.
«Lo
stesso pomeriggio, io e Brett, veniamo prelevati dal nostro
alloggio,trasportati ad un aeroporto e imbarcati in fretta e furia su un Avro
Lancaster che decolla un’ora dopo con altri quadrimotori. Dopo poco tempo ci
raggruppiamo con altri stormi di bombardieri, decollati da chissà dove. “Ma
come… ci portano in Germania?” penso tra me. Invece, col buio, mi accorgo che
il nostro aereo devia dalla rotta degli altri e prosegue, in solitaria, per
quasi tutta la notte. All’alba atterriamo su un aeroporto nel sud d’Italia,
vengo poi a sapere, pieno di B-24 Liberator dell’USAAF. Veniamo di nuovo
prelevati da auto civili e condotti, dopo un memorabile viaggio su strade
sterrate e dissestate dai bombardamenti, durato diverse ore, in un aeroporto
più piccolo e accompagnati subito al nostro alloggio per qualche ora di riposo.
Ci svegliano alle 12,00 per la colazione e il briefing con un civile che si
presenta come un funzionario del MI 9. Con lui c’è un giovane, in abiti
militari, scorgo il grado di sergente. Ci comunicano che sarà lui il capo
missione. «Come? Devo prendere ordini da un sergente?» penso tra me e la cosa
mi conferma che questa missione proprio non mi piace.
«La
vostra meta è un piccolo monastero dell’Umbria nord-occidentale. Il vostro
obiettivo: un monaco benedettino». E ci sillaba bene il suo nome e cognome. «E’
un italo-americano, alto circa un metro e ottanta, sessanta chili di peso, capelli
castani. Ora il suo nome da religioso è un altro. Unico segno distintivo: manca
dell’ultima falange al dito mignolo della mano sinistra. Lo dovete prelevare e
portare qui. Se ciò non fosse possibile, il caporale Brett si incaricherà di
neutralizzarlo e portare qua la sua mano sinistra; ma mi auguro che ciò non
succeda. Una piccola unità di partigiani vi segnalerà la pista di atterraggio e
decollo in un campo nelle vicinanze del monastero e provvederà al rifornimento
dell’aereo per il viaggio di ritorno. Non incontrerete ostacoli: i tedeschi, in
quella zona, si stanno ritirando e sono rimasti solo pochi uomini fedeli alla
Repubblica Sociale di Mussolini. L’azione deve essere fulminea e daremo il via,
senza preavviso, appena ci giungeranno notizie certe della presenza del monaco
nel monastero. Dovrete raggiungere la meta la notte stessa del suo arrivo. Ora
rientrate nei vostri alloggi e rimanete in stato di allerta».
Ci
congediamo e mentre rientriamo ai nostri alloggi sparo una frase a bruciapelo a
Brett: «Non sapevo che fossi un sicario del SOE».
Mi risponde col silenzio di un sorriso.
E’ una
missione maledetta, me lo sento. Non ho scelto questo mestiere per andare a
rapire o uccidere un religioso. Ma non posso tirarmi indietro. Spero solo che
le informazioni siano sbagliate e il monaco non arrivi mai a quel monastero.
Ma le
mie aspettative vengono deluse la notte stessa. Scatta l’ora X. Ci imbarcano
rapidamente su un Avro Anson senza insegne di nazionalità e codice
identificativo, con un camouflage a vari toni di grigio, mai visto prima. Siamo
in cinque: il sergente capomissione, Brett, io e i due piloti. Durante il
viaggio il sergente ci illustra verbalmente la collocazione del monastero e la
sua minuscola planimetria. «Brett», dice, «dovremmo trovare non più di cinque
frati e, al massimo, l’uomo di servizio. Qualsiasi problema sopraggiunga, sai
cosa fare». Brett annuisce silenziosamente. Voliamo con il motore a bassa
potenza per quasi un’ora, fino a quando un pilota ci comunica: «Siamo in prossimità
del punto di atterraggio, tra 10 minuti toccheremo terra».
Cominciamo
a controllare l’equipaggiamento mentre il bimotore comincia a scendere di
quota.
Ma è un
attimo. Veniamo colpiti da una raffica di mitragliatrice che fa sbandare l’aereo.
Vengo investito da schizzi di liquido, che scopro essere il sangue di Brett. Il
piccolo bimotore perde il controllo mentre un’altra raffica ci centra in pieno
e un proiettile mi ferisce al polpaccio. Cerco di alzarmi per vedere se i
piloti siano in grado di guidare ancora l’aereo ma la planata verso il suolo
diventa una discesa fatta di scossoni e imbardate. Il velivolo è senza
controllo. In un lasso di tempo interminabile, mentre mi rannicchio in posizione
fetale, precipitiamo a terra, su una fitta boscaglia con degli alberi che
frenano la caduta dell’Anson e lo spezzano in due. Sento il violento impatto
dell’urto e perdo conoscenza.
- Una missione maledetta. L’avrei titolato
così il libro - interrompo Catia.
- Chi ha abbattuto l’aereo? - domanda.
- Non lo sappiamo. Glen non ce lo spiega
neppure dopo, quando parla della sua salvezza e convalescenza. Probabilmente un
aereo da caccia notturna. Ti va un altro caffè?
- Volentieri.
Mi alzo e comincio ad armeggiare con la moka,
mentre Catia fa un giro panoramico del salotto e scruta curiosa i titoli dei
libri sugli scaffali della libreria in legno. Si ferma nuovamente davanti alla
cornice con la foto di Ughetto insieme a me.
- Quando è stata scattata? - chiede.
- Quattro anni fa - rispondo col tono
svogliato di chi non vuol proseguire la conversazione.
- E il gatto? Che fine ha fatto?
- E’ morto.
Catia sorseggia il caffè, accende la sua
Winston, poi esce in veranda a fumarsela, tra il silenzio di entrambi.
Appena rientra in casa continua la lettura
del libro. Glen racconta di come i partigiani, che li attendevano, l’abbiano
salvato, curato e nascosto. Specifica di essere rimasto l’unico sopravvissuto
della missione, e di aver saputo che il giorno dopo tre aerei inglesi (forse
Mosquito) avevano bombardato per sbaglio il monastero e lo avevano raso al
suolo. Narra, poi, del suo ritorno tra le truppe britanniche, del rimpatrio per
terminare le cure e della sua messa a riposo per invalidità.
- E qui finisce l’avventura del nostro
combattente. Ora abbiamo tanti punti oscuri nella storia, a partire dal fatto
che non si capisce se sia una storia vera o un romanzo inventato di sana pianta.
- Non credo sia inventato.
- Neppure io – sottolineo - Però abbiamo
anche un punto più oscuro di tutti gli altri.
- Cioè?
- Cosa andiamo cercando? Il monaco? Il sergente
Glen Grant, che poi è un sottufficiale e sicuramente non si chiamerà così? Il
monastero distrutto dal bombardamento sbagliato? Chi è l’erede d’Inghilterra?
Dove sta la chiave di tutto? – incalzo - In poche parole, cosa dobbiamo inseguire?
- Non ne ho la più pallida idea - fa Catia,
senza entusiasmo - Intendi lasciare perdere tutto?
- No. Non so cosa fare; ma ci penserò sopra e
comincerò a raccattare informazioni da tutte le parti sperando che alcune si
incastrino in modo da avere una solida base di partenza.
- Bravissimo! E’ come quando sei senza una
pinella e raccogli di tutto sperando di formare qualcosa da mettere a terra.
questa
è malata
- A proposito di burraco – prosegue - hai
pescato qualcosa di buono per quella scala a quadri?
- Ho trovato l’asso.
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