LE MALEDETTE
di Catus Silvestris
18a puntata
Rassicurati dalla notizia che PUNTINO sta bene, malgrado il calcio in
bocca ricevuto (perché di tale si tratta), ci appropinquiamo a leggere uno
degli ultimi capitoli de “Le Maledette”, mentre il Capo sta conducendo la sua
indagine personale.
Dopo ore di snervanti interrogatori a tutti i mici della Colonia è
riuscito a tracciare un sommario identikit del ‘calciatore di felini liberi’ e
ha lustrato e rifatto l’impugnatura al suo dissuasore di frassino stagionato
preferito.
Poi ci ha dettagliatamente istruiti – Se un giorno sentite grida di
dolore ripetute, alternate da secchi colpi, non vi preoccupate. Non guardate e
nulla avrete da raccontare in giro. Solo un favore, trovatemi un posto sicuro
dove nascondere il cadavere. Meglio di quello dell’ultima volta, possibilmente…
Gli risponde CREMINO – Cos’aveva il buco dell’altra volta che non
andava, a parte il fatto di essere la tana di una famiglia di cinghiali? Ancora
ci stanno ringraziando per il sontuoso pasto!
Un noir nel noir… speriamo solo che non ci arrestino!
18
Alle 11 sono alla stazione della Forestale di Paese. Vestito da macchia,
con la barba lunga e l’espressione incazzata: voglio punire Carla per la sua
assenza.
Quando entro nel suo ufficio lei alza la testa da un mucchio di
scartoffie che ha davanti e dice –Ancora non è arrivata, non ho sentito il
rombo.
Non capisco e faccio per accomodarmi ma mi stoppa –Ho da fare, scusa.
Accomodati fuori, per favore. Poi…- guardandomi bene – forse è meglio che passi
dal barbiere e ti fai radere.
Esco e vado al bar, proprio là davanti a farmi un buon caffè col
Varnelli.
- Te lo macchio io il tuo caffè! – fa una voce alle mie spalle.
E’ Stevan che con un sorriso pieno di rabbia repressa sputa dentro alla
mia tazzina.
- Così è meglio, bamboccio! – e si volta per uscire.
E’ un attimo, carico il braccio destro e gli rifilo uno schiaffo da
dietro che lo fa cadere alcuni metri più in là e lo lascia tramortito.
- Fermo, Sorbo… - consiglia Angelo, il proprietario del bar, quando mi
vede che sto caricando anche la gamba destra per un calcione tra le scapole.
Mi blocco. Respiro profondamente e gli chiedo scusa (ad Angelo).
Stevan si rialza, ancora rintronato e mi omaggia del classico gesto
dell’indice che attraversa la gola.
- Sei morto, Sorbo – si ripete.
- Se ti rincontro ti stacco la testa a schiaffi e te la ficco nel culo.
Stai attento tu, miserabile di uno zingaro!
Se ne va, ferito nell’orgoglio e con un orecchio rosso mattone.
Angelo provvede a rifarmi il caffè e mentre lo assaporo sento il rombo
del motore di una potente moto che viene spenta. Curioso fuori dalla vetrina,
come tutti gli altri avventori del locale, e vedo scendere da una moto di
enorme cilindrata un centauro in tuta da motociclista nera. Si toglie il casco
integrale, sempre nero, e spunta un viso femminile, magro, con un naso a punta
pronunciato e capelli biondi, corti con uno strano ciuffo all’insù sopra la
fronte. Da un occhiata in giro e si accende una sigaretta. Poi sputa in terra
una gomma da masticare e dirige verso la stazione della Forestale.
- E’ arrivato Terminator! – commenta qualcuno – Sorbo, quello viene a
saldare i conti!
- Ma no! Non vedi che è una donna? – un altro.
- Una donna? – la risposta stupita.
- E anche una gran bella fica, secondo me!
Lascio questi discorsi oziosi e raggiungo l’ufficio di Carla.
Appena entro vedo la bionda Laura nella sua interezza: si è sfilata il
pezzo superiore della tuta. Alta, magra, ancora più di Carla, non ha un viso
bello ma è molto particolare: oserei dire decisamente interessante.
Mi squadra con sufficienza mentre Carla ci presenta.
- E così sei tu lo scopatore! - dice con un sorriso.
Rimango interdetto.
- Non ti preoccupare – continua – tra amiche si usa fare queste
confidenze.
- Scusate – interrompe Carla – vorrei terminare queste pratiche per
avere poi il pomeriggio libero. Andate a prendervi un caffè, fate conoscenza e…
lasciatemi lavorare.
- Nervosa, oggi? – la rimbecca Laura.
- Fuori.
Torno al bar con Terminator e, appena entriamo, cala un silenzio da
funerale. ‘Terminator’ e ‘bella fica’ pagano le loro consumazioni e se ne
vanno. Prendiamo due caffè ed è lei a rompere il ghiaccio – Ho trovato il
bandolo della matassa – dice – Quello che sta scritto nel diario è vero.
- Sssss… - le faccio.
Capisce al volo e cambia discorso – Ti piacciono le moto?
- Poco.
Mi guarda sospettosa – E allora di che cazzo parliamo?
Rispondo con un’alzata di spalle, non le sto facendo una grande
impressione.
- Ho capito – continua – Usciamo a parlare dei nostri affari fuori.
Mentre fumiamo una sigaretta le racconto dei ritrovamenti con dovizia di
particolari cercando di spiegarle anche la geografia della Corone.
- Non ce l’hai una cartina? – domanda.
- In auto, vieni.
La faccio accomodare sulla Toyota che osserva attentamente – Questa è
l’auto da lavoro, vero?
- No, per lavoro ho un pickup e un camioncino 4X4. Questa è l’auto di
tutti i giorni.
- Il fascino selvaggio di questa zona si vede anche nei particolari –
commenta, e non capisco.
Mi siedo al posto di guida e stendo la cartina IGM che mi ha dato Carla
su tutto lo spazio dei sedili anteriori. Con una biro le indico la cava e la
strada per salirci e il posto dove si trova il bunker. Lei si piega e comincia
a guardarla attentamente mentre con l’unghia di un dito comincia a fare
ghirigori sulla mia coscia, sotto la cartina. Mi irrigidisco, ma lei continua
imperterrita. Il dito arriva all’interno coscia e lo assecondo allargandole un
poco. Poi sale, lento, a spirale, e incontra quel coso che non è rimasto
indifferente al movimento. Comincia a circumnavigarlo, avvicinandosi lentamente
e pericolosamente. Non so come gestire la situazione, comincio ad avere caldo e
sento delle vampe che salgono in viso. Ma lei continua imperterrita ad
esplorare quella zona che non dovrebbe, visto il rapporto di amicizia con
Carla.
Forse non è solo amicizia, penso, ma anche una società; si dividono
utili e perdite. Comunque sono in evidente imbarazzo che esplode quando Carla
apre di scatto il mio sportello e dice –
Ho finito e ho una fame da lupi! Andiamo – Poi mi osserva; dovrei essere
paonazzo in viso.
Al Covo mangiamo mentre racconto dell’incontro con Stevan, poi
ascoltiamo le novità di Laura.
- Quanto mi hai raccontato è tutto vero: ho controllato la storia di
Felice Ambrosetti che risulta tuttora scomparso. Il bossolo che mi hai dato è
stato, verosimilmente, sparato dalla stessa arma utilizzata nella rapina al
furgone portavalori. Una Beretta, forse ex ordinanza. Ma per una risposta
precisa occorrerebbe altro tempo e troppe autorizzazioni che non posso
richiedere senza insospettire qualcuno. Diamo per buono che la pistola sia la
stessa. Il primo cadavere che hai trovato è quello del componente della banda
riuscito a fuggire con i soldi. Salvatore Esposito, un pregiudicato già
conosciuto. Sicuramente era lui che aveva gli agganci per trovare dei documenti
falsi, li ha trovati e se ne è tenuto uno: quello sbagliato. Se non avesse
fatto questo errore non lo avremmo mai scoperto, ma lui non poteva sapere che
Pietro Paolo Floris era già stato ucciso ed attendeva solo di essere
dimenticato. Ora ci rimane da finire il lavoro.
- Avvertendo i Carabinieri? – chiedo.
- Sei scemo? – risponde ancora Laura – Per i Carabinieri il caso è
finalmente chiuso, ed in maniera pulita. A noi rimane di ritrovare i soldi
della rapina, più di un miliardo di lire.
- Per… ? – altra domanda che potevo risparmiarmi.
Stavolta Laura non risponde ma guarda, in maniera sconsolata Carla, che
risponde: - Per tenerceli, Fosco. Per dividerli per tre. O… a te non interessano?
- Capito.
- Ora – interviene Laura – se vogliamo fare un salto su…
- E’ tardi, oramai. Tra poco farà buio. Meglio rimandare a domattina,
avremo tutto il tempo necessario – replico e Laura mi guarda con sospetto.
Le riaccompagno a Paese e me ne torno a casa a preparare un carico da
consegnare domenica mattina. Doccia, con relativa rasatura, e si torna al Covo
per la serata.
Laura rimane affascinata dalla trasformazione del locale in pochi
minuti, subito dopo la cena. Si diverte un mondo a ballare tutto quello che
sente suonare dall’orchestrina, anche se è vestita da discoteca e balla il
liscio come fosse disco dance. Faccio la figura del gran fico al tavolo con
quelle due stangone. Torniamo a Paese relativamente presto e, salutando le due
fanciulle sotto l’ingresso dell’appartamentino di Carla dirigo verso la mia
Toyota, ma vengo stoppato.
- Non sali? – domanda stupita Carla.
- Veramente…
- Vieni su, dai! – interviene Laura – Un posticino per dormire te lo
rimediamo!
La mia perversa immaginazione comincia a cavalcare su praterie
sterminate e sconosciute. Le accompagno sulle scale appoggiando loro le mani
sul culo.
Riesco a frenare i miei istinti fino a quando le due vanno insieme –
come tutte le donne – al bagno.
Mi infilo nel lettone, al suo centro esatto e comincio, distrattamente a
sfogliare la rivista ufficiale del Corpo Forestale di Stato.
Mi piombano sul letto sorridenti e vestite di una castigatissima t-shirt
lunga.
Laura spegne la luce e augura la buonanotte. Carla pretende il relativo
bacetto. Il mio pisello va in depressione, ma il bacetto della buonanotte lo
risveglia immediatamente. Non è il classico, svogliato e frettoloso bacetto
dato dove capita perché non si vede l’ora di appisolarsi; è il trionfante
preludio ad una selvaggia pomiciata con tanto di aggrovigliamento di mani sulle
zone più sensibili. Dopo qualche istante i conti non mi tornano più. Carla ha
una mano dietro la mia nuca, l’altra rovista tra le sue gambe, una terza (non
mia) mi massaggia l’uccello già pronto alla battaglia. Ho un attimo di
esitazione, Carla mi sussurra all’orecchio – Lasciala fare, vuole finire il
lavoro di stamattina – poi mi infila la lingua dentro al padiglione.
Accetto il consiglio volentieri e la assecondo girandomi un poco. Dopo
alcuni minuti e una manciata di fazzolettini di carta ci auguriamo
definitivamente la buonanotte.
La mattina, quando scendiamo insieme al bar per la colazione, divento
subito l’eroe di Paese, me ne accorgo dagli sguardi pregni si ammirazione (e
invidia) dei presenti, il solito gruppo eterogeneo di maschietti sfaccendati.
Mi gonfio come un tacchino e, mentre le fanciulle ordinano bomboloni e
cornetti, ne approfitto per fare (sottovoce) una telefonata a zia: la rassicuro
che sono vivo e vegeto e che tornerò per pranzo, forse. Dopo un’ora superiamo
il cancello principale delle Corone, stavolta faremo il percorso inverso. Alla
cava Laura vuole vedere il modulo con il primo cadavere trovato. Glielo indico.
Lei supera la striscia di plastica e guarda i sigilli alla porta. Tira la maniglia,
la apre e li strappa.
- Ehi! – le grido – Non mi far passare guai coi caramba!
- Non ti preoccupare – risponde tranquilla – Qui non verrà più nessuno.
Poi… chi può dire che sei stato tu?
Entra e la accompagniamo. Vedo che i Carabinieri non si sono portati via
niente e lo faccio notare anche a loro.
- Naturale – ancora Laura – Non gli interessa nulla, ora. Il caso è
chiuso e archiviato.
Mentre discutono della posizione del cadavere comincio a dare
un’occhiata al baule con i libri, sembra ci siano tutti. Comincio ad estrarli e
a controllare le copertine.
- Cosa fai? – domanda Carla.
- Una curiosità, controllare quello che leggeva l’eremita.
Letteratura italiana, soprattutto, di svariati generi. Ma non trovo
quello che cerco.
Usciamo dal modulo e facciamo un giro intorno. Entriamo nelle altre
unità abitative o adibite a magazzino e altro. Ma non troviamo nulla di quello
che andiamo cercando.
- Forse tra i mezzi accantonati? – ipotizza Carla.
Cerchiamo anche là, frugando dentro cassoni, cabine e cofani motore. Ma
niente: il borsone coi soldi non ci sta.
Decidiamo di andare al bunker del secondo cadavere. Carla è impietrita
durante il fuoristrada, Laura entusiasta. Arriviamo e libero l’ingresso dalle
frasche appoggiate. Comincia pure là la perlustrazione.
- Quanti altri bunker ci stanno? – chiede Laura.
- Non saprei – rispondo.
- Dobbiamo trovarli e perquisirli.
- Secondo me è inutile – aggiungo.
- Perché? – domandano insieme.
- Il borsone e i soldi non stanno più qua.
- Vuoi forse dire che lo hai già trovato e lo nascondi? – Laura,
diplomaticamente.
- No. Il problema è questo – illuminando il teschio dentro al bunker.
Segue un silenzio carico di aspettative.
- Il problema è – continuo – che questo qua non è Felice Ambrosetti.
Ancora silenzio.
- Questo è il cadavere di Terzilio Monotti, alias Vampiro: il
bracconiere delle Corone.
- Come lo sai? – interviene Carla.
- Ho avuto il sospetto notando i canini superiori del teschio, poi tu mi
hai dato un prezioso suggerimento per controllare il mio sospetto.
- Io? Sarebbe?
- La clavicola. Ho ricordato che Vampiro si era fratturato una
clavicola, anni fa. Ma non ricordavo quale; ecco perché sono rientrato nel
bunker a prendere anche l’altra. Un amico, all’ospedale di Città, mi ha
confermato la presenza di una piccola frattura saldata alla clavicola sinistra.
Per cui, senza dubbio lui è Vampiro.
- E allora? ‘Sti soldi, chi se l’è presi? – interviene Laura.
- Logico: il mitico eremita delle Corone.
- Ma se è una leggenda! – commenta Carla.
- Ti assicuro che non è una leggenda; i libri che ho controllato prima e
il vecchio motorino sono le prove della sua esistenza e permanenza qua.
- Allora ho fatto un viaggio per niente!
- Beh - sorridendo – proprio per niente non direi.
-Imbecille… - commenta Carla che ha capito il senso sbagliato della mia
battuta.
- Credo di sapere chi ha quei soldi – chiarisco – Penso proprio di
conoscere l’ex eremita delle Corone.
- Che facciamo, allora? – ancora Carla.
- La domanda la faccio io: quanto?
Pensano in silenzio alcuni istanti, senza decidere che cifra poter
ricavare. Le tolgo dell’impasse.
- Gran parte di quei soldi già li dovrebbe avere spesi, ma un centinaio
di milioni a testa possiamo provare a spillarglieli.
- Trecento milioni di lire?
- In totale, sì. Credo che sia la cifra giusta e possibile, ma ho
bisogno del vostro aiuto.
- Correremo dei rischi? – domanda Laura.
- Non ne ho idea, ma in tre è difficile. Torniamo a Paese che devo fare
una telefonata.
Al ritorno le due fanciulle sono cupe e silenziose, sicuramente deluse
dal fatto di non aver trovato il borsone con i soldi della rapina. Si scuotono
solo quando devo passare sull’incisione a strapiombo sulla forra. Al silenzio
si aggiunge un pallore cadaverico.
Arriviamo sani, salvi e silenziosi a Paese. Torniamo al bar per un caffè
e per la famosa telefonata. Per fortuna ho con me l’agendina con relativa
rubrica telefonica.
Faccio la telefonata e riesco a strappare un invito per le 17, ora del
tè.
Mando a pranzo le fanciulle da sole,per non dare troppe spiegazioni e me
ne torno a casa a farmi una doccia e tranquillizzare zia.
E’ contenta di vedermi, ancora tutto intero: chissà perché, se modifichi
le tue abitudini, i vecchi devono pensare subito ad una disgrazia. Comunque
cerca di sapere cosa abbia fatto e dove sia stato.
- Da Carla – le spiego – è arrivata sua cugina da Roma, siamo andati a
cena fuori e bevuto un po’ troppo. Non me la son sentita di tornare in auto da
solo.
- Bravo! – commenta soddisfatta.
- Stasera – aggiungo – le porto a
cena qua, così la conosci pure tu.
Si commuove subito, pensa ad un probabile annuncio di fidanzamento
ufficiale.
Dopo il pisolo pomeridiano, ne avevo veramente bisogno, torno a Paese a
prendere le due amiche.
Mentre saliamo la strada che va a Cima faccio loro le dovute
raccomandazioni.
- Stasera siamo a cena da zia. Tu – indicando Laura – sei sua cugina,
ricordatelo, e cerca di non dire parolacce che a zia disturbano.
Mi guardano come se fossi un pazzo in libera uscita.
Appena davanti a casa del Professore il cancello viene aperto
automaticamente, anche lui è curioso di conoscere ed elargire preziosi consigli
a due aspiranti scrittrici.
- Buonasera! – ci accoglie – Fosco, mi meraviglio di te! Non solo libri,
ora anche di scrittrici ti occupi!
- Mi ha convertito, Professore.
- Bene.
Passiamo nel suo grande studio a bere il tè.
Il Professore comincia a parlare di scrittura, letteratura e scrittori
vari.
Io mi estraneo cominciando a camminare davanti alla sua maestosa
libreria cercando un titolo tra i numerosi volumi.
Lo trovo, lo estraggo e lo mostro alle fanciulle.
- Cosa è, Fosco? – domanda il Professore, un poco scocciato per
l’imprevista interruzione.
- Il libro che cercavo: ‘Il cadavere scambiato’ del nostro amico Franco
Galli.
Il Professore rimane in silenzio.
- Vede, Professore, al telefono mi aveva raccomandato di non far portare
scritti da valutare alle mie amiche. Ho mantenuto solo in parte la promessa; lo
scritto da valutare gliel’ho portato io.
Tolgo dalla tasca del giubbotto il quaderno con le memorie di Felice
Ambrosetti e glielo porgo.
- Comunque, questo, non l’ho scritto io; non sarei capace di scrivere
come lei.
- Cosa significa? – domanda con lo sguardo accigliato.
- Che è scritto bene, potrebbe diventare benissimo lo spunto per
costruirci un romanzo. Naturalmente da una persona capace, come lei.
- Non capisco.
- Eppure lei il contenuto di quel quaderno lo conosce bene: l’ha
scritto, probabilmente in questo studio.
- Sta scherzando? – è già sulla difensiva, è passato al lei.
- Ora le racconto una bella storia, si metta comodo.
- Non ho tempo da perdere! – risponde alterato.
- O no… del tempo ne ha e, comunque, lo trova visto che queste due
signore non sono aspiranti scrittrici ma il comandante della stazione della
Forestale di Paese – indicando Carla – e un commissario di polizia – è la volta
di Laura – giunta apposta da Roma per risolvere un piccolo enigma che si è
creato alle Corone.
Il Professore fa un respiro profondo e chiude gli occhi – Ascoltiamo
questa storia, ma sia stringato.
- Un affermato professionista di Ferrara, il professore Felice
Ambrosetti, vede la sua vita finire a rotoli. La famiglia, la depressione, i
soldi che non ci stanno più… è quello che lei ha scritto nel quaderno e che la
Polizia ha confermato. L’Ambrosetti, dicevo, decide di sparire dalla
circolazione, anche per evitare i numerosi creditori che gli stanno mangiando
tutto quello che era riuscito a costruire in anni di carriera. Vagando
solitario per lande sconosciute… bella frase, eh?
- Smetta di fare lo spiritoso e arrivi al dunque, ho da lavorare ad un
romanzo – interviene.
- Il Professore approda alle Corone e decide che saranno il suo rifugio;
d'altronde non manca nulla, comode abitazioni, acqua, luce e riscaldamento.
Viene a sapere che la zona gode di una triste fama e tutti ne stanno alla
larga. Le Maledette, le chiamano a Borgo e a Paese. Diventano il suo perfetto
nascondiglio per anni. Ma questo lo sa benissimo; lo ha scritto!
- Allora veniamo al dunque! – ribatte.
- Un giorno succede un fatto straordinario: un estraneo, non del posto,
arriva al suo campo base. E’ braccato, ha appena compiuto una tragica rapina e
i suoi complici sono stati uccisi o catturati, ancora non lo sa. E’ armato,
completamente ignaro di dove sia capitato ma si deve nascondere. Lui e i soldi
della rapina che porta con se. Più di un miliardo di lire in banconote nuove di
zecca. Probabilmente lo minaccia poi, magari, credendo di avere a che fare con
un pazzo, lo blandisce e gli assicura una parte dei soldi se lo aiuterà a stare
nascosto, aspettando che le acque si calmino. Il pazzo, cioè lei, non è mica
stupido, pero! Si è informato sulla rapina e ha capito che, comunque vada, il
bandito lo ucciderà per non lasciare testimoni e per non sprecare denaro.
Comunque decide di giocare di anticipo. Non so come, l’autopsia del cadavere
del bandito è ancora in corso – bluffo spudoratamente – lo uccide e tra i suoi
effetti trova diversi documenti, forse falsi, che servivano a tutti i
componenti della banda. Si impossessa
del denaro, non sappiamo se fosse l’intero bottino della rapina o solo una parte,
per la verità. Potrei avere un bicchiere di acqua?
Carla mi versa della minerale in un bicchiere mentre riordino le idee.
- Il nostro Professore ‘pazzo’, trovandosi tutti quei soldi a
disposizione decide che è giunto il momento di riscattare la sua vita anzi:
cambiarla completamente! Esiste la possibilità di cambiare identità sfruttando
uno dei documenti falsi che aveva il bandito, però occorre un altro cadavere
che prenda i suoi dati anagrafici. E qui entra in gioco una terza persona:
Vampiro, il bracconiere delle Corone, che lei già conosceva e con cui era in
contatto. Forse vi scambiavate pure favori, lei controllava le trappole o le
poste, lui la riforniva di quello che occorreva limitando le sue uscite dalle
Corone. Il Professore ha il classico lampo di genio: decide che Vampiro
potrebbe benissimo diventare Felice Ambrosetti, a patto, però, che insieme al
cadavere venga ritrovato il suo documento e un diario che confermi la vera
identità del morto. Sa anche come ucciderlo: a tradimento, con la pistola del
bandito. E così fa.
- Perché mai questo pazzo
avrebbe dovuto architettare una macchinazione così complicata? – domanda
interessato alla storia.
- Semplice: Felice Ambrosetti deve sparire definitivamente, oltre che
per i debiti anche per qualche pendenza penale con la giustizia e il fisco. Sa
già come fare; quel romanzo regalatogli dal libraio di Città è un ottimo
spunto. Le è piaciuto, poi, Professore?
- Rimaniamo sui binari, la prego. E’ già difficile seguirla.
- Ha ragione. Le riassumo brevemente il tutto, sa, non sono molto
abituato a parlare. Lei, l’eremita della Corone, uccide il bandito per salvarsi
e, per godere senza problemi il bottino della rapina, uccide anche Vampiro
affibbiandogli la sua identità. Commette però degli inevitabili errori.
- Sarebbero? –domanda interessato.
- Il primo è inconsapevole. Lascia accanto al cadavere del bandito il
documento di Pietro Paolo Floris, che crede sia il suo vero nome. Purtroppo
anche quello è un documento falso, sicuramente l’avrà scoperto mesi dopo quando
l’unico superstite della banda, in galera, si è deciso a parlare perché
Salvatore Esposito, il bandito arrivato alle Corone, non aveva provveduto a far
consegnare la metà del bottino alla sua famiglia. Decide, comunque, di non
intervenire. Che sia Pietro Paolo Floris o Salvatore Esposito non cambia nulla
del suo piano poi, parliamoci chiaro, è alquanto improbabile che qualcuno trovi
il o i cadaveri in breve tempo. E qui ha ragione.
- E dove sarebbe l’errore? – ancora interessato.
- Lei, come il bandito, non poteva sapere che Pietro Paolo Floris era
stato ucciso ma ne era stata dichiarata la scomparsa per evitare pericolose
indagini. Primo errore, ma senza colpa. Secondo errore, una leggerezza che ha
pesato sulle indagini. Non poteva immaginare che a trovare il secondo cadavere,
quello con la sua identità, fosse qualcuno che conosceva bene il bracconiere
Vampiro. Se le avesse mozzato la testa e nascosta tutto sarebbe filato liscio.
- Perché la stampa non ha riportato la scoperta di questo secondo
cadavere? – nuova osservazione.
- Perché la signora qui presente aveva già iniziato le sue indagini e,
su mio consiglio, aspettava il risultato di un esame autoptico, si dice cosi?,
su un osso di Vampiro.
- Non capisco.
- Terzilio Monotti, alias Vampiro, il bracconiere delle Corone era
chiamato così per via dei suoi canini enormi.
- Pfff… sa quanta gente ha denti spropositati?
- Forse molte persone, ma solo una ha i canini da orso e la saldatura di
una frattura alla clavicola sinistra. Vampiro, appunto.
- Mah…
- Terzo errore, grossolano. Quando ha ucciso Vampiro e deciso di
allontanare il raggio d’azione delle sue sicure ricerche ha abbandonato il suo
fuoristrada sotto una collina distante molti chilometri. peccato che quella
collina fosse la zona di un altro bracconiere e, tra loro, vige una regola
ferrea: ognuno ha la suo territorio e non deve essere violato, pena una sicura
fucilata alle spalle. Ha fatto passare dei guai anche all’altro bracconiere,
sa?
- Ce la faremo per cena? – torna ad essere arrogante, forse è ora di
dargli il colpo mortale.
- Quarto errore, imperdonabile –ora sbarra gli occhi e riconquisto la
sua attenzione mentre tolgo un foglietto piegato dal mio portafogli.
- Lo riconosce? – glielo mostro – E’ l’elenco dei libri consigliati che
ha scritto di suo pugno. Stranamente la calligrafia è identica a quella della
scrittura nel quaderno. Deve essere ancora sottoposto a perizia, ma anche un
cieco vedrebbe che l’ha scritto la stessa mano.
Ora è sbiancato e le mani stringono sui braccioli della sua poltrona.
- C’è l’ultimo errore, ancora.
- Un altro? – chiede con brutalità.
- Un altro, un’altra leggerezza anzi, direi una cazzata bella e buona.
La pistola. Perché si è portato via la pistola del bandito dopo averci ucciso
Vampiro? Non era più logico che la lasciasse accanto al cadavere nel modulo
abitativo? Che senso ha costruire tutta questa complicata macchinazione, come
l’ha definita, se poi non fa trovare l’arma del delitto di Felice Ambrosetti?
Credeva, forse, che la Polizia si sarebbe accontentata del semplice bossolo
lasciato lì quasi per caso, come i suoi documenti? Professore, mi creda, non è
tagliato per il crimine. Continui a scrivere, tanto ora ne avrà tutto il tempo
in galera.
- Bella storia! – commenta – Anche verosimile. Ha ragione, Fosco, ci si
potrebbe imbastire un bel romanzo. Ma ora, ditemi: come mai non mi avete
convocato in questura per raccontarmela? Perché non vedo altri poliziotti
armati se sono così pericoloso?
- Perché lei ha i soldi della rapina – interviene Laura – A noi interessano
quelli.
- Lo sospettavo – dice con un sorriso – Cos’è? Un ricatto? Uno scambio?
Ditemi.
- Tutti e due – rispondo – Ricatto, uguale duecento milioni. Cento per
uno a loro due. Scambio, il quaderno contro la pistola del bandito.
- E… i tuoi cento milioni? – chiede Carla.
- Non li voglio. Quei soldi grondano del sangue di mio fratello. Luca
Sorbelli era una delle tre guardie giurate di scorta al trasporto valori. La
pistola che ha il Professore è, probabilmente, quella che gli ha dato il colpo
di grazia alla nuca. Io voglio la pistola. Solo quella.
E’ il Professore a rompere il silenzio creatosi dalla mia rivelazione.
- Tutto ciò è comunque assurdo – dice – Spero ve ne rendiate conto e
togliate, rapidamente, il disturbo.
- Trent’anni di galera non sono assurdi – risponde Carla.
- Mmm… due omicidi volontari con occultamento di cadavere, false
generalità, appropriazione indebita, possesso di arma da fuoco senza regolare
licenza… più tutto quello che già aveva collezionato prima, fa un
bell’ergastolo. E, in galera, quelli che uccidono altri malavitosi non sono poi
così ben visti – stavolta è Laura – Che fa, concilia?
Il Professore chiude gli occhi e comincia a muovere le labbra, mi fa
ricordare quell’investigatore americano del giallo che ho letto recentemente.
Li riapre e mi indica uno scaffale della libreria - La Divina Commedia,
Fosco. Non te la consiglio; non ti piacerebbe. Il volume centrale, Il
Purgatorio. Prendilo.
Mi avvicino al ripiano indicato e scorgo il volume, un grosso tomo
rilegato in pelle rossa. Lo afferro e glielo porgo. Il Professore lo piazza in
mezzo alla scrivania e solleva la copertina. Dentro, incastrata in una sagoma
di gommapiuma c’è la pistola con due
caricatori ai lati dell’impugnatura.
- Eccola – rivolgendosi a me – Ora dammi il quaderno e la lista.
- I soldi – intima Laura.
- Devo scendere in cantina, sono là.
- Forse è meglio se la accompagno, Professore.
- Non c’è problema, Fosco.
Scendiamo nella cantina, grande e con il soffitto a volta, forse in
passato era una stalla.
Una parete è quasi occupata da degli scaffali con molte bottiglie di
vino coricate. Lo vedo estrarne una, infilare la mano nel posto vuoto e tirare
qualcosa. Poi afferra un montante del mobile tirandolo verso di se. E’ come una
piccola porta che si apre, lentamente. Guardo oltre e vedo una nicchia profonda
circa un metro dove sono montati dei ripiani. Su uno di questi ci sono sei
scatole come quelle delle scarpe, tutte uguali. Il Professore ne prende due e
richiude delicatamente la parete mobile rimettendo a posto la bottiglia.
- E’ la mia cassaforte – chiarisce.
Nello studio consegna le due scatole a Laura, che le apre e tira fuori
delle mazzette di banconote da centomila lire nuove di pacca, ancora con la
fascetta con scritto Banca d’Italia.
- Sono dieci milioni a mazzetta, può controllare – il Professore – Un
silenzio molto caro. Ma ora, siamo complici. Vi prego di andarvene e non
tornare mai più. Tu no, Fosco! Puoi venire quando vuoi.
- Grazie, Professore.
Poi ci ripenso, mi volto e concludo – Grazie per la vendetta che mi ha
tolto, non credo ne sarei mai stato capace. Grazie anche da parte della
comunità di Borgo per averci tolto dalle palle quell’essere spregevole di
Vampiro.
- Prego.
CREMINO si allena a fare l'indifferente |
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