sabato 12 marzo 2016

IL SOLARIUM LETTERARIO







LE MALEDETTE

di Catus Silvestris
18a puntata










Rassicurati dalla notizia che PUNTINO sta bene, malgrado il calcio in bocca ricevuto (perché di tale si tratta), ci appropinquiamo a leggere uno degli ultimi capitoli de “Le Maledette”, mentre il Capo sta conducendo la sua indagine personale.
Dopo ore di snervanti interrogatori a tutti i mici della Colonia è riuscito a tracciare un sommario identikit del ‘calciatore di felini liberi’ e ha lustrato e rifatto l’impugnatura al suo dissuasore di frassino stagionato preferito.
Poi ci ha dettagliatamente istruiti – Se un giorno sentite grida di dolore ripetute, alternate da secchi colpi, non vi preoccupate. Non guardate e nulla avrete da raccontare in giro. Solo un favore, trovatemi un posto sicuro dove nascondere il cadavere. Meglio di quello dell’ultima volta, possibilmente…
Gli risponde CREMINO – Cos’aveva il buco dell’altra volta che non andava, a parte il fatto di essere la tana di una famiglia di cinghiali? Ancora ci stanno ringraziando per il sontuoso pasto!
Un noir nel noir… speriamo solo che non ci arrestino!

18
Alle 11 sono alla stazione della Forestale di Paese. Vestito da macchia, con la barba lunga e l’espressione incazzata: voglio punire Carla per la sua assenza.
Quando entro nel suo ufficio lei alza la testa da un mucchio di scartoffie che ha davanti e dice –Ancora non è arrivata, non ho sentito il rombo.
Non capisco e faccio per accomodarmi ma mi stoppa –Ho da fare, scusa. Accomodati fuori, per favore. Poi…- guardandomi bene – forse è meglio che passi dal barbiere e ti fai radere.
Esco e vado al bar, proprio là davanti a farmi un buon caffè col Varnelli.
- Te lo macchio io il tuo caffè! – fa una voce alle mie spalle.
E’ Stevan che con un sorriso pieno di rabbia repressa sputa dentro alla mia tazzina.
- Così è meglio, bamboccio! – e si volta per uscire.
E’ un attimo, carico il braccio destro e gli rifilo uno schiaffo da dietro che lo fa cadere alcuni metri più in là e lo lascia tramortito.
- Fermo, Sorbo… - consiglia Angelo, il proprietario del bar, quando mi vede che sto caricando anche la gamba destra per un calcione tra le scapole.
Mi blocco. Respiro profondamente e gli chiedo scusa (ad Angelo).
Stevan si rialza, ancora rintronato e mi omaggia del classico gesto dell’indice che attraversa la gola.
- Sei morto, Sorbo – si ripete.
- Se ti rincontro ti stacco la testa a schiaffi e te la ficco nel culo. Stai attento tu, miserabile di uno zingaro!
Se ne va, ferito nell’orgoglio e con un orecchio rosso mattone.
Angelo provvede a rifarmi il caffè e mentre lo assaporo sento il rombo del motore di una potente moto che viene spenta. Curioso fuori dalla vetrina, come tutti gli altri avventori del locale, e vedo scendere da una moto di enorme cilindrata un centauro in tuta da motociclista nera. Si toglie il casco integrale, sempre nero, e spunta un viso femminile, magro, con un naso a punta pronunciato e capelli biondi, corti con uno strano ciuffo all’insù sopra la fronte. Da un occhiata in giro e si accende una sigaretta. Poi sputa in terra una gomma da masticare e dirige verso la stazione della Forestale.
- E’ arrivato Terminator! – commenta qualcuno – Sorbo, quello viene a saldare i conti!
- Ma no! Non vedi che è una donna? – un altro.
- Una donna? – la risposta stupita.
- E anche una gran bella fica, secondo me!
Lascio questi discorsi oziosi e raggiungo l’ufficio di Carla.
Appena entro vedo la bionda Laura nella sua interezza: si è sfilata il pezzo superiore della tuta. Alta, magra, ancora più di Carla, non ha un viso bello ma è molto particolare: oserei dire decisamente interessante.
Mi squadra con sufficienza mentre Carla ci presenta.
- E così sei tu lo scopatore! - dice con un sorriso.
Rimango interdetto.
- Non ti preoccupare – continua – tra amiche si usa fare queste confidenze.
- Scusate – interrompe Carla – vorrei terminare queste pratiche per avere poi il pomeriggio libero. Andate a prendervi un caffè, fate conoscenza e… lasciatemi lavorare.
- Nervosa, oggi? – la rimbecca Laura.
- Fuori.
Torno al bar con Terminator e, appena entriamo, cala un silenzio da funerale. ‘Terminator’ e ‘bella fica’ pagano le loro consumazioni e se ne vanno. Prendiamo due caffè ed è lei a rompere il ghiaccio – Ho trovato il bandolo della matassa – dice – Quello che sta scritto nel diario è vero.
- Sssss… - le faccio.
Capisce al volo e cambia discorso – Ti piacciono le moto?
- Poco.
Mi guarda sospettosa – E allora di che cazzo parliamo?
Rispondo con un’alzata di spalle, non le sto facendo una grande impressione.
- Ho capito – continua – Usciamo a parlare dei nostri affari fuori.
Mentre fumiamo una sigaretta le racconto dei ritrovamenti con dovizia di particolari cercando di spiegarle anche la geografia della Corone.
- Non ce l’hai una cartina? – domanda.
- In auto, vieni.
La faccio accomodare sulla Toyota che osserva attentamente – Questa è l’auto da lavoro, vero?
- No, per lavoro ho un pickup e un camioncino 4X4. Questa è l’auto di tutti i giorni.
- Il fascino selvaggio di questa zona si vede anche nei particolari – commenta, e non capisco.
Mi siedo al posto di guida e stendo la cartina IGM che mi ha dato Carla su tutto lo spazio dei sedili anteriori. Con una biro le indico la cava e la strada per salirci e il posto dove si trova il bunker. Lei si piega e comincia a guardarla attentamente mentre con l’unghia di un dito comincia a fare ghirigori sulla mia coscia, sotto la cartina. Mi irrigidisco, ma lei continua imperterrita. Il dito arriva all’interno coscia e lo assecondo allargandole un poco. Poi sale, lento, a spirale, e incontra quel coso che non è rimasto indifferente al movimento. Comincia a circumnavigarlo, avvicinandosi lentamente e pericolosamente. Non so come gestire la situazione, comincio ad avere caldo e sento delle vampe che salgono in viso. Ma lei continua imperterrita ad esplorare quella zona che non dovrebbe, visto il rapporto di amicizia con Carla.
Forse non è solo amicizia, penso, ma anche una società; si dividono utili e perdite. Comunque sono in evidente imbarazzo che esplode quando Carla apre di scatto il mio sportello e  dice – Ho finito e ho una fame da lupi! Andiamo – Poi mi osserva; dovrei essere paonazzo in viso.
Al Covo mangiamo mentre racconto dell’incontro con Stevan, poi ascoltiamo le novità di Laura.
- Quanto mi hai raccontato è tutto vero: ho controllato la storia di Felice Ambrosetti che risulta tuttora scomparso. Il bossolo che mi hai dato è stato, verosimilmente, sparato dalla stessa arma utilizzata nella rapina al furgone portavalori. Una Beretta, forse ex ordinanza. Ma per una risposta precisa occorrerebbe altro tempo e troppe autorizzazioni che non posso richiedere senza insospettire qualcuno. Diamo per buono che la pistola sia la stessa. Il primo cadavere che hai trovato è quello del componente della banda riuscito a fuggire con i soldi. Salvatore Esposito, un pregiudicato già conosciuto. Sicuramente era lui che aveva gli agganci per trovare dei documenti falsi, li ha trovati e se ne è tenuto uno: quello sbagliato. Se non avesse fatto questo errore non lo avremmo mai scoperto, ma lui non poteva sapere che Pietro Paolo Floris era già stato ucciso ed attendeva solo di essere dimenticato. Ora ci rimane da finire il lavoro.
- Avvertendo i Carabinieri? – chiedo.
- Sei scemo? – risponde ancora Laura – Per i Carabinieri il caso è finalmente chiuso, ed in maniera pulita. A noi rimane di ritrovare i soldi della rapina, più di un miliardo di lire.
- Per… ? – altra domanda che potevo risparmiarmi.
Stavolta Laura non risponde ma guarda, in maniera sconsolata Carla, che risponde: - Per tenerceli, Fosco. Per dividerli per tre. O… a te non interessano?
- Capito.
- Ora – interviene Laura – se vogliamo fare un salto su…
- E’ tardi, oramai. Tra poco farà buio. Meglio rimandare a domattina, avremo tutto il tempo necessario – replico e Laura mi guarda con sospetto.
Le riaccompagno a Paese e me ne torno a casa a preparare un carico da consegnare domenica mattina. Doccia, con relativa rasatura, e si torna al Covo per la serata.
Laura rimane affascinata dalla trasformazione del locale in pochi minuti, subito dopo la cena. Si diverte un mondo a ballare tutto quello che sente suonare dall’orchestrina, anche se è vestita da discoteca e balla il liscio come fosse disco dance. Faccio la figura del gran fico al tavolo con quelle due stangone. Torniamo a Paese relativamente presto e, salutando le due fanciulle sotto l’ingresso dell’appartamentino di Carla dirigo verso la mia Toyota, ma vengo stoppato.
- Non sali? – domanda stupita Carla.
- Veramente…
- Vieni su, dai! – interviene Laura – Un posticino per dormire te lo rimediamo!
La mia perversa immaginazione comincia a cavalcare su praterie sterminate e sconosciute. Le accompagno sulle scale appoggiando loro le mani sul culo.
Riesco a frenare i miei istinti fino a quando le due vanno insieme – come tutte le donne – al bagno.
Mi infilo nel lettone, al suo centro esatto e comincio, distrattamente a sfogliare la rivista ufficiale del Corpo Forestale di Stato.
Mi piombano sul letto sorridenti e vestite di una castigatissima t-shirt lunga.
Laura spegne la luce e augura la buonanotte. Carla pretende il relativo bacetto. Il mio pisello va in depressione, ma il bacetto della buonanotte lo risveglia immediatamente. Non è il classico, svogliato e frettoloso bacetto dato dove capita perché non si vede l’ora di appisolarsi; è il trionfante preludio ad una selvaggia pomiciata con tanto di aggrovigliamento di mani sulle zone più sensibili. Dopo qualche istante i conti non mi tornano più. Carla ha una mano dietro la mia nuca, l’altra rovista tra le sue gambe, una terza (non mia) mi massaggia l’uccello già pronto alla battaglia. Ho un attimo di esitazione, Carla mi sussurra all’orecchio – Lasciala fare, vuole finire il lavoro di stamattina – poi mi infila la lingua dentro al padiglione.
Accetto il consiglio volentieri e la assecondo girandomi un poco. Dopo alcuni minuti e una manciata di fazzolettini di carta ci auguriamo definitivamente la buonanotte.
La mattina, quando scendiamo insieme al bar per la colazione, divento subito l’eroe di Paese, me ne accorgo dagli sguardi pregni si ammirazione (e invidia) dei presenti, il solito gruppo eterogeneo di maschietti sfaccendati. Mi gonfio come un tacchino e, mentre le fanciulle ordinano bomboloni e cornetti, ne approfitto per fare (sottovoce) una telefonata a zia: la rassicuro che sono vivo e vegeto e che tornerò per pranzo, forse. Dopo un’ora superiamo il cancello principale delle Corone, stavolta faremo il percorso inverso. Alla cava Laura vuole vedere il modulo con il primo cadavere trovato. Glielo indico. Lei supera la striscia di plastica e guarda i sigilli alla porta. Tira la maniglia, la apre e li strappa.
- Ehi! – le grido – Non mi far passare guai coi caramba!
- Non ti preoccupare – risponde tranquilla – Qui non verrà più nessuno. Poi… chi può dire che sei stato tu?
Entra e la accompagniamo. Vedo che i Carabinieri non si sono portati via niente e lo faccio notare anche a loro.
- Naturale – ancora Laura – Non gli interessa nulla, ora. Il caso è chiuso e archiviato.
Mentre discutono della posizione del cadavere comincio a dare un’occhiata al baule con i libri, sembra ci siano tutti. Comincio ad estrarli e a controllare le copertine.
- Cosa fai? – domanda Carla.
- Una curiosità, controllare quello che leggeva l’eremita.
Letteratura italiana, soprattutto, di svariati generi. Ma non trovo quello che cerco.
Usciamo dal modulo e facciamo un giro intorno. Entriamo nelle altre unità abitative o adibite a magazzino e altro. Ma non troviamo nulla di quello che andiamo cercando.
- Forse tra i mezzi accantonati? – ipotizza Carla.
Cerchiamo anche là, frugando dentro cassoni, cabine e cofani motore. Ma niente: il borsone coi soldi non ci sta.
Decidiamo di andare al bunker del secondo cadavere. Carla è impietrita durante il fuoristrada, Laura entusiasta. Arriviamo e libero l’ingresso dalle frasche appoggiate. Comincia pure là la perlustrazione.
- Quanti altri bunker ci stanno? – chiede Laura.
- Non saprei – rispondo.
- Dobbiamo trovarli e perquisirli.
- Secondo me è inutile – aggiungo.
- Perché? – domandano insieme.
- Il borsone e i soldi non stanno più qua.
- Vuoi forse dire che lo hai già trovato e lo nascondi? – Laura, diplomaticamente.
- No. Il problema è questo – illuminando il teschio dentro al bunker.
Segue un silenzio carico di aspettative.
- Il problema è – continuo – che questo qua non è Felice Ambrosetti.
Ancora silenzio.
- Questo è il cadavere di Terzilio Monotti, alias Vampiro: il bracconiere delle Corone.
- Come lo sai? – interviene Carla.
- Ho avuto il sospetto notando i canini superiori del teschio, poi tu mi hai dato un prezioso suggerimento per controllare il mio sospetto.
- Io? Sarebbe?
- La clavicola. Ho ricordato che Vampiro si era fratturato una clavicola, anni fa. Ma non ricordavo quale; ecco perché sono rientrato nel bunker a prendere anche l’altra. Un amico, all’ospedale di Città, mi ha confermato la presenza di una piccola frattura saldata alla clavicola sinistra. Per cui, senza dubbio lui è Vampiro.
- E allora? ‘Sti soldi, chi se l’è presi? – interviene Laura.
- Logico: il mitico eremita delle Corone.
- Ma se è una leggenda! – commenta Carla.
- Ti assicuro che non è una leggenda; i libri che ho controllato prima e il vecchio motorino sono le prove della sua esistenza e permanenza qua.
- Allora ho fatto un viaggio per niente!
- Beh - sorridendo – proprio per niente non direi.
-Imbecille… - commenta Carla che ha capito il senso sbagliato della mia battuta.
- Credo di sapere chi ha quei soldi – chiarisco – Penso proprio di conoscere l’ex eremita delle Corone.
- Che facciamo, allora? – ancora Carla.
- La domanda la faccio io: quanto?
Pensano in silenzio alcuni istanti, senza decidere che cifra poter ricavare. Le tolgo dell’impasse.
- Gran parte di quei soldi già li dovrebbe avere spesi, ma un centinaio di milioni a testa possiamo provare a spillarglieli.
- Trecento milioni di lire?
- In totale, sì. Credo che sia la cifra giusta e possibile, ma ho bisogno del vostro aiuto.
- Correremo dei rischi? – domanda Laura.
- Non ne ho idea, ma in tre è difficile. Torniamo a Paese che devo fare una telefonata.
Al ritorno le due fanciulle sono cupe e silenziose, sicuramente deluse dal fatto di non aver trovato il borsone con i soldi della rapina. Si scuotono solo quando devo passare sull’incisione a strapiombo sulla forra. Al silenzio si aggiunge un pallore cadaverico.
Arriviamo sani, salvi e silenziosi a Paese. Torniamo al bar per un caffè e per la famosa telefonata. Per fortuna ho con me l’agendina con relativa rubrica telefonica.
Faccio la telefonata e riesco a strappare un invito per le 17, ora del tè.
Mando a pranzo le fanciulle da sole,per non dare troppe spiegazioni e me ne torno a casa a farmi una doccia e tranquillizzare zia.
E’ contenta di vedermi, ancora tutto intero: chissà perché, se modifichi le tue abitudini, i vecchi devono pensare subito ad una disgrazia. Comunque cerca di sapere cosa abbia fatto e dove sia stato.
- Da Carla – le spiego – è arrivata sua cugina da Roma, siamo andati a cena fuori e bevuto un po’ troppo. Non me la son sentita di tornare in auto da solo.
- Bravo! – commenta soddisfatta.
- Stasera – aggiungo – le  porto a cena qua, così la conosci pure tu.
Si commuove subito, pensa ad un probabile annuncio di fidanzamento ufficiale.
Dopo il pisolo pomeridiano, ne avevo veramente bisogno, torno a Paese a prendere le due amiche.
Mentre saliamo la strada che va a Cima faccio loro le dovute raccomandazioni.
- Stasera siamo a cena da zia. Tu – indicando Laura – sei sua cugina, ricordatelo, e cerca di non dire parolacce che a zia disturbano.
Mi guardano come se fossi un pazzo in libera uscita.
Appena davanti a casa del Professore il cancello viene aperto automaticamente, anche lui è curioso di conoscere ed elargire preziosi consigli a due aspiranti scrittrici.
- Buonasera! – ci accoglie – Fosco, mi meraviglio di te! Non solo libri, ora anche di scrittrici ti occupi!
- Mi ha convertito, Professore.
- Bene.
Passiamo nel suo grande studio a bere il tè.
Il Professore comincia a parlare di scrittura, letteratura e scrittori vari.
Io mi estraneo cominciando a camminare davanti alla sua maestosa libreria cercando un titolo tra i numerosi volumi.
Lo trovo, lo estraggo e lo mostro alle fanciulle.
- Cosa è, Fosco? – domanda il Professore, un poco scocciato per l’imprevista interruzione.
- Il libro che cercavo: ‘Il cadavere scambiato’ del nostro amico Franco Galli.
Il Professore rimane in silenzio.
- Vede, Professore, al telefono mi aveva raccomandato di non far portare scritti da valutare alle mie amiche. Ho mantenuto solo in parte la promessa; lo scritto da valutare gliel’ho portato io.
Tolgo dalla tasca del giubbotto il quaderno con le memorie di Felice Ambrosetti e glielo porgo.
- Comunque, questo, non l’ho scritto io; non sarei capace di scrivere come lei.
- Cosa significa? – domanda con lo sguardo accigliato.
- Che è scritto bene, potrebbe diventare benissimo lo spunto per costruirci un romanzo. Naturalmente da una persona capace, come lei.
- Non capisco.
- Eppure lei il contenuto di quel quaderno lo conosce bene: l’ha scritto, probabilmente in questo studio.
- Sta scherzando? – è già sulla difensiva, è passato al lei.
- Ora le racconto una bella storia, si metta comodo.
- Non ho tempo da perdere! – risponde alterato.
- O no… del tempo ne ha e, comunque, lo trova visto che queste due signore non sono aspiranti scrittrici ma il comandante della stazione della Forestale di Paese – indicando Carla – e un commissario di polizia – è la volta di Laura – giunta apposta da Roma per risolvere un piccolo enigma che si è creato alle Corone.
Il Professore fa un respiro profondo e chiude gli occhi – Ascoltiamo questa storia, ma sia stringato.
- Un affermato professionista di Ferrara, il professore Felice Ambrosetti, vede la sua vita finire a rotoli. La famiglia, la depressione, i soldi che non ci stanno più… è quello che lei ha scritto nel quaderno e che la Polizia ha confermato. L’Ambrosetti, dicevo, decide di sparire dalla circolazione, anche per evitare i numerosi creditori che gli stanno mangiando tutto quello che era riuscito a costruire in anni di carriera. Vagando solitario per lande sconosciute… bella frase, eh?
- Smetta di fare lo spiritoso e arrivi al dunque, ho da lavorare ad un romanzo – interviene.
- Il Professore approda alle Corone e decide che saranno il suo rifugio; d'altronde non manca nulla, comode abitazioni, acqua, luce e riscaldamento. Viene a sapere che la zona gode di una triste fama e tutti ne stanno alla larga. Le Maledette, le chiamano a Borgo e a Paese. Diventano il suo perfetto nascondiglio per anni. Ma questo lo sa benissimo; lo ha scritto!
- Allora veniamo al dunque! – ribatte.
- Un giorno succede un fatto straordinario: un estraneo, non del posto, arriva al suo campo base. E’ braccato, ha appena compiuto una tragica rapina e i suoi complici sono stati uccisi o catturati, ancora non lo sa. E’ armato, completamente ignaro di dove sia capitato ma si deve nascondere. Lui e i soldi della rapina che porta con se. Più di un miliardo di lire in banconote nuove di zecca. Probabilmente lo minaccia poi, magari, credendo di avere a che fare con un pazzo, lo blandisce e gli assicura una parte dei soldi se lo aiuterà a stare nascosto, aspettando che le acque si calmino. Il pazzo, cioè lei, non è mica stupido, pero! Si è informato sulla rapina e ha capito che, comunque vada, il bandito lo ucciderà per non lasciare testimoni e per non sprecare denaro. Comunque decide di giocare di anticipo. Non so come, l’autopsia del cadavere del bandito è ancora in corso – bluffo spudoratamente – lo uccide e tra i suoi effetti trova diversi documenti, forse falsi, che servivano a tutti i componenti della banda.  Si impossessa del denaro, non sappiamo se fosse l’intero bottino della rapina o solo una parte, per la verità. Potrei avere un bicchiere di acqua?
Carla mi versa della minerale in un bicchiere mentre riordino le idee.
- Il nostro Professore ‘pazzo’, trovandosi tutti quei soldi a disposizione decide che è giunto il momento di riscattare la sua vita anzi: cambiarla completamente! Esiste la possibilità di cambiare identità sfruttando uno dei documenti falsi che aveva il bandito, però occorre un altro cadavere che prenda i suoi dati anagrafici. E qui entra in gioco una terza persona: Vampiro, il bracconiere delle Corone, che lei già conosceva e con cui era in contatto. Forse vi scambiavate pure favori, lei controllava le trappole o le poste, lui la riforniva di quello che occorreva limitando le sue uscite dalle Corone. Il Professore ha il classico lampo di genio: decide che Vampiro potrebbe benissimo diventare Felice Ambrosetti, a patto, però, che insieme al cadavere venga ritrovato il suo documento e un diario che confermi la vera identità del morto. Sa anche come ucciderlo: a tradimento, con la pistola del bandito. E così fa.
- Perché mai questo pazzo avrebbe dovuto architettare una macchinazione così complicata? – domanda interessato alla storia.
- Semplice: Felice Ambrosetti deve sparire definitivamente, oltre che per i debiti anche per qualche pendenza penale con la giustizia e il fisco. Sa già come fare; quel romanzo regalatogli dal libraio di Città è un ottimo spunto. Le è piaciuto, poi, Professore?
- Rimaniamo sui binari, la prego. E’ già difficile seguirla.
- Ha ragione. Le riassumo brevemente il tutto, sa, non sono molto abituato a parlare. Lei, l’eremita della Corone, uccide il bandito per salvarsi e, per godere senza problemi il bottino della rapina, uccide anche Vampiro affibbiandogli la sua identità. Commette però degli inevitabili errori.
- Sarebbero? –domanda interessato.
- Il primo è inconsapevole. Lascia accanto al cadavere del bandito il documento di Pietro Paolo Floris, che crede sia il suo vero nome. Purtroppo anche quello è un documento falso, sicuramente l’avrà scoperto mesi dopo quando l’unico superstite della banda, in galera, si è deciso a parlare perché Salvatore Esposito, il bandito arrivato alle Corone, non aveva provveduto a far consegnare la metà del bottino alla sua famiglia. Decide, comunque, di non intervenire. Che sia Pietro Paolo Floris o Salvatore Esposito non cambia nulla del suo piano poi, parliamoci chiaro, è alquanto improbabile che qualcuno trovi il o i cadaveri in breve tempo. E qui ha ragione.
- E dove sarebbe l’errore? – ancora interessato.
- Lei, come il bandito, non poteva sapere che Pietro Paolo Floris era stato ucciso ma ne era stata dichiarata la scomparsa per evitare pericolose indagini. Primo errore, ma senza colpa. Secondo errore, una leggerezza che ha pesato sulle indagini. Non poteva immaginare che a trovare il secondo cadavere, quello con la sua identità, fosse qualcuno che conosceva bene il bracconiere Vampiro. Se le avesse mozzato la testa e nascosta tutto sarebbe filato liscio.
- Perché la stampa non ha riportato la scoperta di questo secondo cadavere? – nuova osservazione.
- Perché la signora qui presente aveva già iniziato le sue indagini e, su mio consiglio, aspettava il risultato di un esame autoptico, si dice cosi?, su un osso di Vampiro.
- Non capisco.
- Terzilio Monotti, alias Vampiro, il bracconiere delle Corone era chiamato così per via dei suoi canini enormi.
- Pfff… sa quanta gente ha denti spropositati?
- Forse molte persone, ma solo una ha i canini da orso e la saldatura di una frattura alla clavicola sinistra. Vampiro, appunto.
- Mah…
- Terzo errore, grossolano. Quando ha ucciso Vampiro e deciso di allontanare il raggio d’azione delle sue sicure ricerche ha abbandonato il suo fuoristrada sotto una collina distante molti chilometri. peccato che quella collina fosse la zona di un altro bracconiere e, tra loro, vige una regola ferrea: ognuno ha la suo territorio e non deve essere violato, pena una sicura fucilata alle spalle. Ha fatto passare dei guai anche all’altro bracconiere, sa?
- Ce la faremo per cena? – torna ad essere arrogante, forse è ora di dargli il colpo mortale.
- Quarto errore, imperdonabile –ora sbarra gli occhi e riconquisto la sua attenzione mentre tolgo un foglietto piegato dal mio portafogli.
- Lo riconosce? – glielo mostro – E’ l’elenco dei libri consigliati che ha scritto di suo pugno. Stranamente la calligrafia è identica a quella della scrittura nel quaderno. Deve essere ancora sottoposto a perizia, ma anche un cieco vedrebbe che l’ha scritto la stessa mano.
Ora è sbiancato e le mani stringono sui braccioli della sua poltrona.
- C’è l’ultimo errore, ancora.
- Un altro? – chiede con brutalità.
- Un altro, un’altra leggerezza anzi, direi una cazzata bella e buona. La pistola. Perché si è portato via la pistola del bandito dopo averci ucciso Vampiro? Non era più logico che la lasciasse accanto al cadavere nel modulo abitativo? Che senso ha costruire tutta questa complicata macchinazione, come l’ha definita, se poi non fa trovare l’arma del delitto di Felice Ambrosetti? Credeva, forse, che la Polizia si sarebbe accontentata del semplice bossolo lasciato lì quasi per caso, come i suoi documenti? Professore, mi creda, non è tagliato per il crimine. Continui a scrivere, tanto ora ne avrà tutto il tempo in galera.
- Bella storia! – commenta – Anche verosimile. Ha ragione, Fosco, ci si potrebbe imbastire un bel romanzo. Ma ora, ditemi: come mai non mi avete convocato in questura per raccontarmela? Perché non vedo altri poliziotti armati se sono così pericoloso?
- Perché lei ha i soldi della rapina – interviene Laura – A noi interessano quelli.
- Lo sospettavo – dice con un sorriso – Cos’è? Un ricatto? Uno scambio? Ditemi.
- Tutti e due – rispondo – Ricatto, uguale duecento milioni. Cento per uno a loro due. Scambio, il quaderno contro la pistola del bandito.
- E… i tuoi cento milioni? – chiede Carla.
- Non li voglio. Quei soldi grondano del sangue di mio fratello. Luca Sorbelli era una delle tre guardie giurate di scorta al trasporto valori. La pistola che ha il Professore è, probabilmente, quella che gli ha dato il colpo di grazia alla nuca. Io voglio la pistola. Solo quella.
E’ il Professore a rompere il silenzio creatosi dalla mia rivelazione.
- Tutto ciò è comunque assurdo – dice – Spero ve ne rendiate conto e togliate, rapidamente, il disturbo.
- Trent’anni di galera non sono assurdi – risponde Carla.
- Mmm… due omicidi volontari con occultamento di cadavere, false generalità, appropriazione indebita, possesso di arma da fuoco senza regolare licenza… più tutto quello che già aveva collezionato prima, fa un bell’ergastolo. E, in galera, quelli che uccidono altri malavitosi non sono poi così ben visti – stavolta è Laura – Che fa, concilia?
Il Professore chiude gli occhi e comincia a muovere le labbra, mi fa ricordare quell’investigatore americano del giallo che ho letto recentemente.
Li riapre e mi indica uno scaffale della libreria - La Divina Commedia, Fosco. Non te la consiglio; non ti piacerebbe. Il volume centrale, Il Purgatorio. Prendilo.
Mi avvicino al ripiano indicato e scorgo il volume, un grosso tomo rilegato in pelle rossa. Lo afferro e glielo porgo. Il Professore lo piazza in mezzo alla scrivania e solleva la copertina. Dentro, incastrata in una sagoma di gommapiuma c’è la pistola  con due caricatori ai lati dell’impugnatura.
- Eccola – rivolgendosi a me – Ora dammi il quaderno e la lista.
- I soldi – intima Laura.
- Devo scendere in cantina, sono là.
- Forse è meglio se la accompagno, Professore.
- Non c’è problema, Fosco.
Scendiamo nella cantina, grande e con il soffitto a volta, forse in passato era una stalla.
Una parete è quasi occupata da degli scaffali con molte bottiglie di vino coricate. Lo vedo estrarne una, infilare la mano nel posto vuoto e tirare qualcosa. Poi afferra un montante del mobile tirandolo verso di se. E’ come una piccola porta che si apre, lentamente. Guardo oltre e vedo una nicchia profonda circa un metro dove sono montati dei ripiani. Su uno di questi ci sono sei scatole come quelle delle scarpe, tutte uguali. Il Professore ne prende due e richiude delicatamente la parete mobile rimettendo a posto la bottiglia.
- E’ la mia cassaforte – chiarisce.
Nello studio consegna le due scatole a Laura, che le apre e tira fuori delle mazzette di banconote da centomila lire nuove di pacca, ancora con la fascetta con scritto Banca d’Italia.
- Sono dieci milioni a mazzetta, può controllare – il Professore – Un silenzio molto caro. Ma ora, siamo complici. Vi prego di andarvene e non tornare mai più. Tu no, Fosco! Puoi venire quando vuoi.
- Grazie, Professore.
Poi ci ripenso, mi volto e concludo – Grazie per la vendetta che mi ha tolto, non credo ne sarei mai stato capace. Grazie anche da parte della comunità di Borgo per averci tolto dalle palle quell’essere spregevole di Vampiro.
- Prego.


CREMINO si allena a fare l'indifferente

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