sabato 5 marzo 2016

IL SOLARIUM LETTERARIO





LE MALEDETTE

di Catus Silvestris
17a puntata





- Ancora nulla dall’Editore? – domando a TARANTOLA, nuova segretaria della Colonia dopo il trasferimento di LIRA alla Reggia.
- Tutto tace – risponde.
- Il ritardo comincia ad essere preoccupante – sottolineo – Avremmo dovuto ricevere il nuovo romanzo con Andrea Rossi di nuovo protagonista già da tempo.
- Nulla – precisa l’enorme gatta grigia – Forse ci hanno licenziati e ancora non lo sappiamo.
- L’editore ci ha licenziato? – interviene RALF con un lampo di gioia negli occhi – Non dovremo più leggere queste porcherie?
- Calma – precisa CERES, la sindacalista della Colonia – mica noi siamo come il Capo che si fa licenziare a 57 anni suonati!
- Vero… - commento – a noi queste fortune non capitano mai. Comunque, ragazzi, domani attaccatevi al telefono e alla posta elettronica e cercate di capire cosa sia successo!
Ora tutti sul tetto, pardon… Solarium, a continuare la lettura de “Le Maledette”.

17

Alle 8,10 arrivo al bar di Paese, Carla sta aspettando – Buongiorno – fa un poco scocciata per il mio ritardo.
- Ho dovuto prendere del materiale necessario per la nostra gita – la informo.
Caffè, sigaretta (la mia) e in sella alla Toyota che da un’egregia prova di arrampicatrice sulla stretta e martoriata carrareccia che ho riaperto per arrivare alla radura.
La Bellona si è ammorbidita e si lascia sfuggire pure un complimento – Guidi meglio di Antonio in fuoristrada!
- Questo non è fuoristrada – preciso – Lo facciamo dopo, il vero fuoristrada.
Infatti, appena arrivati alla radura piego a destra imboccando lo stretto sentiero liberato dalle frasche e dai rami sporgenti che porta al bunker.
Sono un paio di chilometri di profonde pozze di fango, insidiose canalette aperte dalle acque piovane, viscide rocce affioranti e un passaggio sul costone con lo strapiombo sotto. La vedo irrigidirsi tenendosi aggrappata ai maniglioni del passeggero e controllare con apprensione il vuoto che si affaccia a dieci centimetri dal suo finestrino.
- Non potevamo farla a piedi? – domanda dopo il difficile passaggio.
- Ma ora non è nulla, i problemi li troveremo al ritorno.
- Perché? – chiede con un filo di voce.
- Si torna indietro a retromarcia.
La vedo sbiancare.
- Scherzo, scema! Più avanti c’è posto per fare manovra e, comunque, non torneremo da qua.
Mi rivolge uno sguardo perplesso.
- Poi vedrai… - aggiungo.
Ci fermiamo proprio davanti al bunker.
Scendiamo e prendo dal retro della Toyota due potenti torce elettriche e due paia di guanti di lattice.
Ne passo un paio, insieme alla torcia, a Carla.
Davanti al bunker infilo i guanti da lavoro e libero l’ingresso dalle frasche che ci avevo appoggiato, poi li tolgo e indosso quelli di lattice.
Con un bastone sposto le foglie e il terriccio al suolo e raccolgo un paio di vertebre. Le mostro a Carla poi le butto dentro al bunker. Stessa sorte per il femore che ho spezzato e altri pezzi di scheletro umano sparsi qua e là.
Entriamo nella costruzione non terminata e illumino con il fascio di luce quello che rimane dello scheletro a terra.
- Eccolo – le dico, inutilmente – Qua stava la valigetta col quaderno e gli effetti personali – facendo luce sul masso dove era appoggiata.
- Sembra quasi fosse stata messa lì per essere ritrovata – il commento della mia compagna di avventure.
- Anche a me da questa impressione.
- C’era altro? –interroga.
- Non so, non ho cercato – mentre le mostro, con la punta del bastone, il foro nel cranio dello scheletro.
- Lo hanno sparato – la sua deduzione.
- Pistola? – domando.
- Penso proprio di sì, ma ci vorrebbe un esame autoptico.
- Che nessuno farà mai… - aggiungo.
Carla mi osserva aspettando una spiegazione.
- Mi sono rotto i coglioni – chiarisco – delle Corone e dei suoi morti. Se continuiamo a chiamare i Carabinieri per ogni morto che troverò non potrò più lavorare in questo posto. Anche se la cosa non mi dispiacerebbe, in fondo.
- Ancora superstizioso?
- Dopo due morti come dovrei essere?
Carla lascia cadere il discorso e comincia ad esplorare ogni angolo del bunker.
Ad un certo punto si china e raccoglie qualcosa.
- Strano – fa – Non ci sono frammenti di vestiario, una suola di scarpa, neppure un bottone o qualsiasi altra cosa metallica che non si sia decomposta. Come se il cadavere l’avessero messo qui, nudo come un verme. Però hanno lasciato questo – Mi mostra un bossolo di pistola.
- Dici che il morto lo hanno nascosto dopo averlo ammazzato?
- Spogliato e nascosto – aggiunge – Ma ci hanno lasciato il bossolo del colpo esploso – che si infila in tasca.
- Allora lo hanno ucciso qui!
- E perché l’avrebbero spogliato?
- E… perché parliamo al plurale? – ribatto – Come se fosse opera di più persone.
- Perché la faccenda è strana, troppo strana. sembra quasi una scena del crimine preparata ad arte.
- Scena del crimine?
- Certo! Credi forse che questo si sia ammazzato da solo?
- Non lo so. Non so nulla, e non vorrei averlo mai trovato.
- In ogni caso aspettiamo notizie da Roma – conclude Carla.
Concordo mentre usciamo dal bunker che occulto di nuovo con le frasche e ci getto dentro un paio di costole spolpate che mi erano sfuggite prima.
- Gli animali hanno gradito – osservo prima di buttare dentro le costole.
- La legge della natura – osserva Carla.
- Già. Occhio per occhio, dente per dente.
- Cosa c’entra?
Non rispondo e Carla mi porge un osso che non avevo visto – Tieni questa clavicola!
- E’ una clavicola? – domando mentre una luce si accende nella mia mente.
- Certo!
- L’altra… dov’è l’altra?
Carla mi guarda incuriosita mentre riapro l’ingresso al bunker ed entro di nuovo. Con la torcia illumino quello che resta dello scheletro e vedo la seconda clavicola, ancora attaccata al resto del busto. Delicatamente la disincastro e, insieme all’altra, la metto in tasca.
- Fai collezione di clavicole? – ironizza la Bellona.
- No, ma a Picche piacciono.
- Che schifo!!! – quasi urla, mentre Picche, sentendosi tirato in ballo risponde col suo monotono ‘Uof!’
Saliamo sul fuoristrada e proseguiamo il sentiero accorgendomi di essere stato troppo ottimista: la guida è molto più impegnativa e gli ostacoli più insidiosi. A complicare le cose ci si mettono pure dei rami bassi che attraversano lo spazio della strada. Devo scendere spesso armato di motosega da potatura per liberare la luce utile al nostro passaggio. Dopo un paio di ore, e una manciata di chilometri, lo stradello si fa decisamente più percorribile; il fondo è migliore e ci sono poche frasche che ingombrano il passaggio. Ancora pochi minuti e arriviamo allo spiazzo della cava, sbucando proprio dietro ai moduli abitativi.
- Visto? – le dico – Con la strada in ordine ci vorrebbe solo mezz’ora a raggiungere il bunker da qua.
- In auto?
- A piedi. Sono quattro chilometri e trecentocinquanta metri dal bunker – osservando il contachilometri parziale.
- Non capisco.
- Potrebbe essere vero quello che Ambrosetti ha scritto. Ha tentato la fuga per questa strada che conosceva e, magari, percorreva sempre col motorino. Ma è stato raggiunto e ucciso dal bandito. Almeno così potrebbe sembrare.
- E perché non è fuggito col motorino? – la giusta osservazione – Non sarebbe mai stato raggiunto.  E perché è stato spogliato? O, forse, è stato ucciso qua e trasportato nel bunker, nudo, per non favorirne un eventuale riconoscimento? Magari portato col motorino stesso? E perché è stato lasciato il bossolo dentro al bunker?
- Troppi perché.
- Ancora uno. Perché non abbiamo ancora trovato il borsone con dentro i soldi?
- Perché non lo abbiamo cercato – rispondo – Forse lo hanno già trovato i Carabinieri e se li sono divisi. O forse è ancora nascosto qua, ma i soldi sono marciti. O, forse, non è più qua.
- Cioè?
- Qualcuno potrebbe essere arrivato prima di noi.
- Chi?
- Un bracconiere, per esempio. Un cercatore di funghi o tartufi. Qualcuno che si è perso. Ma, forse, è meglio aspettare qualche notizia da Roma. Potrebbe essere tutta una farsa.
- Ma i cadaveri ci stanno - conclude Carla.
Venerdì sera rimango orfano, Carla decide di andarsene a Roma a portare il bossolo alla sua amica poliziotta. Avrei molto gradito e apprezzato (sicuramente accettandolo) un invito ad accompagnarla, che non c’è stato.
- Non ci preoccupiamo, noi – dico a Picche – Tanto, prima o poi, ci andremo insieme a Roma!
- Uof!-
Mi stupisco, al Covo, di non cercare qualche preda per sostituire l’assente ingiustificata. Eppure di materiale ce ne sarebbe! Forse comincio ad invecchiare e, conseguentemente, a rincoglionirmi.
Infatti, poco dopo mezzanotte, sono a letto –da solo-.
Carla non torna con buone notizie anzi, torna con nessuna notizia. La sua amica sta ancora verificando e bisogna attendere per avere qualche risposta concreta.
Attraverso una settimana di merda, comincio a temere l’influsso malefico delle Corone.
Carla deve andare tre giorni ad un corso di aggiornamento: salta così l’appuntamento scopereccio gastronomico del mercoledì, che spesso era rinviato o anticipato al giovedì o martedì. Tornerà giovedì nella serata e ha già fatto capire che non sarà disponibile. Per ripicca non mi faccio la barba per una settimana.
Buco la gomma posteriore destra dell’Unimog carico all’inverosimile di stanghe che stavo trasferendo dalla macchia al piazzale. Devo chiamare il carro attrezzi con i martinetti per riuscire a cambiare la ruota.
Un paio di clienti di città mi fanno sapere che passano al riscaldamento a metano –E’ tanto comodo… - spiegano.
Rompo pure la catena della motosega media. Mi manca la classica colica renale per mettere la ciliegina sulla torta.
L’unico momento tranquillo lo assaporo una mattina a Città: vado all’ospedale a trovare un vecchio amico infermiere per chiedergli un favore che sbriga in poco più di un’ora. Mi rimane del tempo per passare a trovare il mio amico libraio e fare un altro acquisto.
Giovedì sera mi chiama al telefono Carla. E’ per strada; sta tornando.
- Ciao bello! Domattina passa al mio ufficio. Arriva Laura con un po’ di notizie.
- Chi è Laura?
- La mia amica di Roma, tonto! La poliziotta.
- Ah.
- Verso le 11. Ti aspetto. Poi si va a mangiare un boccone insieme e si discute della faccenda.
- Che novità ci stanno?
- Non saprei, ma buone visto che Laura alza il culo e viene su.
Finalmente conosco questo fenomeno, penso tra me, appena riagganciata la cornetta.
Passo il resto della serata ad immaginarmi come possa essere questa Laura, fisicamente.
Avevo già ipotizzato che fosse bassa, tracagnotta, tutta tette. Ora me la immagino pure pigra, col culo grosso e pedante da morire.

L'obesa TARANTOLA, nuova Segretaria della Colonia

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