sabato 6 febbraio 2016

IL SOLARIUM LETTERARIO





LE MALEDETTE

di Catus Silvestris
13a puntata





Nulla di nuovo all’orizzonte, a parte il fatto che cominciano a girare strane voci su ARTU’: i più delicati dicono sia un micio sfortunato, i diretti interessati che sia un vero iettatore portasfiga.
Riassumiamo brevemente i fatti: ARTU’ è stato abbandonato qualche mese fa in Colonia insieme ad ASTERIX (suo probabile fratello) e ad AMELIA.
Prima AMELIA si è beccata un brutto graffio all’occhio sinistro che ha necessitato di cure e lungo ricovero alla Reggia per la sua guarigione, tanto lunga la degenza che il Capo non se l’è sentito di riportarla in Colonia considerandola, oramai, una suppellettile della stanzetta dei ricoveri.
ASTERIX, purtroppo, è morto di FIP.
Poco dopo il Capo ha recuperato un altro cucciolo vagante, PUNTINO, che è arrivato in Colonia a tenere compagnia ad ARTU’, rimasto solo.
Dopo appena dieci giorni PUNTINO è stato ricoverato d’urgenza per la torsione di un testicolo e prontamente operato. Ancora è in degenza dai veterinari ma. probabilmente, domani tornerà in Colonia tra gli altri colleghi abbandonati.
Ora, come propone ZORRO – Perché non impacchettiamo ARTU’ e lo spediamo in Groenlandia prima che decimi tutta la Colonia?
Ma noi non siamo superstiziosi e continuiamo ad accogliere ARTU’ in Colonia, almeno fino a quando non succederà qualcosa di spiacevole al Capo…

13
Continuo il mio lavoro di diradamento alle Corone, interrotto da un paio di contratti con le ferrovie. Torno dal Professore per un nuovo carico di legna.
- Non sapevo che lavorassi alla Corona, Fosco – mi dice – Tempo fa ho letto sui giornali del tuo macabro ritrovamento.
- Una brutta esperienza – commento – Avrei preferito far diventare famoso qualcun altro.
- Era l’eremita, poi?
Rimango stupito dalla sua domanda.
- Non lo so, a me hanno detto che, forse, era un pastore. Ma non ho trovato tracce di pecore o recinti. Come sapeva dell’eremita?
- Avevo sentito delle voci a Paese e mi ero incuriosito. Poteva essere lo spunto per scriverci un romanzo.
- Mmm… una brutta storia.
- Forse anche bella, tutto sarebbe dipeso dal finale.
Dopo alcuni giorni, all’ora di pranzo, ricevo la telefonata di Carla – Sei al capannone nel pomeriggio?
- Certo! Vieni per un ‘ispezione o cosa?
- Cosa. Devo parlarti.
Finisco di mangiare senza gustarmi l’amatriciana preparata da zia, che se ne accorge.
- Una grana? – domanda.
- Oggi pomeriggio viene la nuova forestale di Paese, quello dello stipendio sicuro.
- Ufficializzate il fidanzamento?
Rimango ancora una volta di stucco.
- Ma su… - prosegue – Lo sanno tutti di voi due. E’ giusto che mettiate le carte in tavola e regolarizzate l’unione.
- Che unione? – Non posso dire a zia che scopiamo e basta.
- Va bene, va bene. Poi falla salire che vi faccio il caffè e la conosco.
Anche il pisolo pomeridiano va a puttane. Carla ha lo strano potere di mettermi l’ansia addosso. Prima non ero così.
Arriva con la sua Golf, in borghese. Elegante, ma non appariscente.
Viene a chiedere la mia mano alla zia? penso preoccupato.
La accolgo e le faccio visitare la mia azienda, con zia che sbircia da dietro le persiane.
Le spiego tutto il ciclo di lavorazione che eseguo per la legna e rimane incantata alla vista del piazzale pieno di cataste di stanghe impilate su bancali e messe lì a stagionare.
- Quanta legna è? – domanda meravigliata.
- Quasi trecento bancali, quasi trecento tonnellate. Il fabbisogno per un paio di anni.
- Tantissima!
Le spiego della stagionatura dei vari tipi di essenze, del perché alcuni bancali di stanghe stagionano al coperto e il motivo per cui il castagno non è metrato e impilato in verticale, anziché in orizzontale. Dentro al capannone, vicino al banco con la sega circolare le chiedo del motivo della sua visita.
- Parliamo in casa, ti va? – risponde.
- In casa c’è zia che ci aspetta. Vuole conoscerti, offrirti il caffè e stabilire la data del matrimonio.
Si mette a ridere.
- Ho una rivelazione da farti – dice, poi, seria – Ma promettimi che terrai tutto per te.
- Promesso – ci siamo, penso tra me.
- A Roma ho una carissima amica…
Appunto, sorrido mentalmente.
- E’ un pezzo grosso della Polizia.
- Ma và! – mi lascio scappare e Carla mi guarda sospettosa.
- Riguarda il cadavere che hai trovato – prosegue – Il morto non è Pietro Paolo Floris.
Rimango con la faccia da baccalà.
- Che significa? Li hai visti pure tu i suoi documenti!
- Il fatto che fossero là non giustifica che fossero i suoi – spiega – Probabilmente sono falsi. Pietro Paolo Floris è morto nel novembre del 1989  a Roma.
- Significa che ora ci sarà un’indagine e avrò i Carabinieri sempre tra i piedi.
- No. Questo è il segreto che devi custodire, il Floris è stato ucciso a botte in una stazione dei Carabinieri alla periferia di Roma e fatto sparire in tutta fretta. Per l’Arma il ritrovamento di un cadavere con i suoi documenti è stata la manna dal cielo. Ora Pietro Paolo Floris è morto legalmente.
- Capito. Ma tu, come fai a sapere…
- La mia amica ha accesso a notizie molto riservate. Poi, Pietro Paolo Floris era alto un metro e settantacinque, il cadavere che hai trovato superava di poco il metro e cinquanta.
- Ma non capisco ancora cosa significa. Perché fare trovare i documenti di un altro vicino ad un cadavere?
- Falla meglio questa domanda, perché uno gira con un documento falso intestato ad una persona ufficialmente scomparsa?
- Già, perché?
- E’ quello che dobbiamo scoprire, secondo la mia amica.
- Noi? E perché non se lo scopre lei, che è della Polizia?
- Non ci può essere un’indagine ufficiale, vedi di capire. I Carabinieri hanno chiuso la pratica, solo loro la possono riaprire, ma non ne hanno nessun interesse.
- Ma a noi che ce ne frega se quello è o non è Pietropaolo?
- Nulla. Ma se troviamo qualche indizio utile lo devo comunicare alla mia amica.
- Va bene – chiudo il discorso – Te l’avevo detto che le Corone portano sfiga!
- Comincio a crederci.
Saliamo in casa per il caffè e faccio le presentazioni.
- Zia, lei è lo stipendio sicuro!
Carla mi guarda meravigliata.
- Zia vuole che sposi la tua busta paga.
Si mette a ridere, zia no.
Passiamo un inutile e noioso pomeriggio di chiacchiere futili ed evitabili, mentre ho un carico da trenta quintali da preparare.
Il momento drammatico arriva quando Perla e Zaffiro decidono di fare il loro ingresso nel salone per annusare la novità umana.
Carla li riempie di complimenti e li accarezza, loro (i ruffiani) ci stanno senza ritegno. Zia è in estasi, l’accettazione dei suoi due felini è quasi più importante della busta paga elargita dallo Stato.
- Adoro i gatti – puttaneggia Carla.
Alé! Preparate le pubblicazioni, penso scosso da un brivido.
Finisce come temevo; la sera sono nel capannone a caricare l’Unimog mentre Van Basten segna una doppietta.
Prima di addormentarmi ripenso alle parole della Bellona e va a finire che stento a prendere sonno.
La mattina ho sempre lo stesso pensiero nella mente annebbiata dalla carenza di sano riposo.
Carla ha ragione, la legna è ‘Tantissima’, troppa: devo trovare una soluzione.
Dopo il caffè vado a fumare la sigaretta sul piazzale, tra le cataste, e studio la possibilità di ingrandirlo di altri 1000, 2000 metriquadri. Ma la spesa tra ruspa, preparazione del fondo, asfaltatura e un muro di contenimento sarebbe… tantissima.
Devo allargare il giro della clientela! La soluzione più logica (ed economica). Privati e famiglie che non hanno bisogno di ricevuta fiscale e puoi consegnare tutto in nero. Altre risorse per il prepensionamento.
Vado a scaricare l’Unimog a Città e ne approfitto per andare dal laido libraio e chiedergli un consiglio.
Stavolta il vigile non c’è, e neppure un posto vuoto per parcheggiare il mezzo. Mi arrangio sopra un marciapiede.
- Vorrei un consiglio da lei – faccio al libraio – Dovrei far stampare dei volantini e distribuirli in città, saprebbe a chi potrei rivolgermi?
- Come mai?
- Ho un mucchio di legna nel piazzale, non ci si entra più. Voglio trovare più clienti.
- Non farebbe prima a tagliarne di meno? – osserva.
- Ma è il mio lavoro!
- Così lavorerebbe di meno e avrebbe più tempo libero per dedicarsi alla lettura – la sua filosofia spicciola, e non credo disinteressata.
Cambio argomento facendogli i complimenti per il libro che ha scritto, lo rendo felice.
- Lo sa? – commenta – Una copia ne avevo regalata anche all’eremita delle Corone, pure lui mi ha fatto i complimenti!
Esco dal puzzolente scantinato con un consiglio e un altro paio di libri usati, ma in buone condizioni, consigliatimi dal vecchio.
Mentre appoggio i libri dentro l’Unimog mi accorgo di essere osservato. Non lo do a vedere ma scorgo il macedone/montenegrino che aveva cercato di accoppare Picche con un altro, uno dei tre picchiatori.
Un’occasione unica! penso tra me, tastando il pugnale regalatomi da Carla.
Sono seduti ad un tavolino esterno del bar della piazza in compagnia di diverse bottiglie di birra vuote.
Mi avvicino lentamente ai due, li osservo e sputo ai loro piedi. Poi mi incammino di nuovo verso il buco del libraio. Controllando con la coda dell’occhio vedo che si sono alzati dal tavolino e stanno lasciando dei soldi, poi cominciano a seguirmi parlottando tra loro. Supero il vicoletto del locale del libraio e mi infilo in un altro, ancora più stretto e puzzolente che sbuca in una piazzetta che sembra il chiostro di un piccolo convento. A destra e a sinistra ci sono grosse colonne che reggono il fabbricato superiore e delimitano il portico. Mi infilo a destra e mi nascondo dietro la quarta colonna. Dopo pochi istanti arrivano i due, li vedo riflessi sul vetro di una finestra. Guardano in giro e parlottano tra loro poi, come speravo, si dividono: uno a destra e uno a sinistra. E’ solo una questione di attesa. Una manciata di secondi e uno dei due, l’omicida tentato di Picche supera la colonna. Esco fuori e gli rifilo un cazzotto in pieno viso, facendolo crollare a terra. Poi afferro il pugnale ma mi blocco: non posso rischiare di diventare un omicida poi… dove cazzo sta il fegato? Mentre lui rantola e prova a rialzarsi gli assesto un violento calcio tra le costole, poi uno sul bacino, facendomi pure male. Un altro sempre tra le costole mentre scorgo il collega che se la da a gambe in tutta fretta. Ancora un paio di calci, più forte che posso e gli pesto la mano destra stretta a pugno fino a che sento lo scrocchiare delle ossa che si frantumano. Tranquillamente torno all’Unimog, controllando che l’altro macedone non mi stia seguendo. Ripulisco la mano insanguinata e dolorante del primo pugno con dei fazzolettini che getto in un cestino. Dirigo verso la tipografia con un senso di spossatezza addosso unico, manco fossi stato io a prenderle.
Mi reco alla tipografia indicata ed espongo la mia richiesta. Non c’è problema, risponde il proprietario, pensano a tutto loro: testo, stampa e distribuzione. Io devo solo preoccuparmi di pagare centotrentamila lire.
A pranzo zia esterna i suoi pensieri su Carla.
- E’ veramente una gran brava ragazza!
- Una ragazza di quarantadue anni – replico.
- Si nota che è più responsabile di te! Basta vedere che lavoro fa!
- Non ti credere, naviga tutto il giorno in mezzo alle scartoffie. Sto meglio io con Picche nei boschi.
- Appunto! Un bel lavoro d’ufficio, comodo, caldo e non faticoso e pericoloso come il tuo.
Aggiungo del romanesco agli spaghetti cacio e pepe.
- Poi guadagna bene – continua imperterrita – Hai visto come era vestita elegante?
Guardo zia e ho il flash di Carla in body di pizzo nero e mutandina con cazzo di silicone che si prepara a trombarsi la sua amica romana. Mi si fa duro. Forse è il pepe.
- Sì, ma al lavoro sta in mimetica. Quando lavoro sono più elegante io – replico.
- Ha l’espressione dolcissima, una vera donna capace di regalare la felicità ad un uomo.
Un altro flash mi attraversa la mente mentre addento una salsiccia secca. Carla che aspetta vogliosa di essere penetrata dalla poliziotta, anche lei dotata di cazzo artificiale, ma nero.
Poi mi estraneo dalla discussione e cerco di immaginarmi fisicamente la poliziotta.
Per la legge della compensazione dovrebbe essere bassa, rotondetta e con due tette da paura.
Passo alle spinaci saltate in padella e mi approprio dei due spicchi di aglio rimasti nel tegame.
Sai che coppia! Medito ancora. Ma, sicuramente, la romana sarà un rospo da laghetto artificiale.
Comunque ce l’ho ancora duro e decido che alla prossima trombata sarò più audace con la Bellona. Le voglio far scoprire le carte in tavola per magari, perché no!, partecipare a una partita a tre.
- Secondo me è quella giusta – conclude zia, preparando il piatto degli avanzi per Picche – Si vede proprio che state bene insieme!
Vado a fare un pisolo meravigliandomi di non essere per niente scosso da quanto successo in mattinata. L’unica preoccupazione riguarda una possibile denuncia; chissà cosa avranno raccontato all’ospedale, quei due.
Sto diventando un giustiziere… l’ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi.


ZORRO è il solito maldicente

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