OSCAR? Da mo' che ce l'abbiamo! |
La storia de I Gatti di Monte Malbe, due bande di felini semirandagi che hanno adottato un umano in cambio della loro sussistenza giornaliera. (Vai a Presentazione)
lunedì 29 febbraio 2016
sabato 27 febbraio 2016
IL SOLARIUM LETTERARIO
LE MALEDETTE
di Catus Silvestris
16a puntata
Pioggia, pioggia e ancora pioggia! Non ne possiamo più!
Poi… dal soffitto della casetta comincia a scendere qualche
goccia di acqua; il Capo lo sa che questa estate ci deve rifare la guaina al
tetto.
Per l’occasione abbiamo già approntato la nostra squadra di
aiutanti volontari: ORFEO Capomastro, ARIES Responsabile alla sicurezza della
scala, ARCHIMEDE Direttore dei lavori, ATTILA Addetta allo smaltimento dei
materiali rimossi, TARANTOLA Incaricata alla sussistenza alimentare della
squadra di volontari e ARTU’ Controllore dei dispositivi antinfortunistici.
Considerando la fama di porta sfiga che ha guadagnato il
piccoletto ARTU’ ho dato incarico al Professore PALLUCCHINO, Dirigente
amministrativo, di stipulare una vantaggiosa polizza antinfortunistica per il
Capo: la meno costosa ma più remunerativa.
ORTICHINO ha proposto di farlo fuori comunque e goderci il
meritato vitalizio.
16
La mattina decido per la soluzione più ovvia: informare Carla. Vado alla
stazione della Forestale a Paese entro e trovo troppo affollamento per
raccontarle quello che ho scoperto.
- Che succede? – mi domanda preoccupata.
- Vieni a prendere un caffè – le rispondo.
Capisce subito che ho qualcosa da dirle, ma lontano da orecchie
indiscrete.
Mette via dei fogli che stava leggendo e chiude a chiave il suo ufficio.
- Due – le dico, mentre stiamo assaporando il caffè seduti a un tavolino
defilato anche se con gli schiamazzi dei quattro pensionati che stanno giocando
a scopa non ci sarebbe problema a parlare vicino al bancone.
- Due, cosa?
- Due ‘scheletri morti’. Ne ho trovato un altro alle Corone.
- Oh, cazzo… dovrò richiamare i Carabinieri.
- Aspetta. Prima di smuovere le acque leggi questo quaderno – glielo
passo insieme al documento di Felice Ambrosetti.
- Anche questo è morto col documento vicino? – fa perplessa.
Annuisco - Sembra proprio che ci
tengano a far scrivere il nome giusto sulla lapide.
- Cosa dobbiamo fare?
- Tu leggi, poi decideremo insieme.
Lei legge, ed è pure più veloce di me. Il pomeriggio successivo me la
vedo comparire a casa, stavolta in completo grigioverde, con zia che va subito
in fibrillazione perché non era preparata alla visita e non ha nulla da offrire
che non sia il solito torcolo (peraltro squisito) che prepara per la colazione.
- E’ un bel inghippo – commenta – Facciamoci una scappata e fammi vedere
un poco.
- Ora è troppo tardi, tra poco sarà buio. Rimandiamo a domani. Che ti è
sembrato?
- Mmm… ho passato i dati alla mia amica poliziotta. Ha detto che
controllerà la veridicità di quanto scritto dall’Ambrosetti.
- E’ possibile, anzi decisamente probabile, ma qualcosa non torna.
- Cosa?
- Il nome del bandito, per esempio. Ambrosetti ha scritto che si
chiamava Pietro Paolo. Poi non l’ha corretto, eppure quando l’altro bandito
catturato ha deciso di parlare tutti sapevano la sua vera identità.
- Chi era?
- Salvatore Esposito, un pregiudicato in trasferta per fare la rapina.
Del basista non si è mai saputo nulla, non lo conosceva neppure Tullio Franchi.
- Chi è Tullio Franchi?
- Il bandito catturato, ora l’unico superstite della banda.
- Come mai sei così informato? – indaga sospettosa.
- Qua non succede mai un cazzo, un fatto del genere è stato sulla bocca
di tutti per mesi.
- Dove è avvenuta la rapina?
- Poco dopo il distributore sulla statale che va a Paese. Doveva essere
l’itinerario di sicurezza, ma qualcuno ne era a conoscenza.
- Cosa hanno rapinato?
- Una consegna speciale di denaro dalla Zecca alla Banca d’Italia a
Città. Un miliardo e duecento milioni di lire.
- Fischia!!! E quello se li è portati tutti dietro dentro al borsone?
- Ma… non credo che tutti quei soldi potessero stare dentro ad un unico
borsone. Forse li aveva divisi e un altro sacco, o altri, li aveva nascosti
chissà dove.
- E… sei sicuro che dentro al modulo del primo cadavere non ci fosse
questo famoso borsone?
- Io non l’ho visto, poi sei venuta anche tu.
- Neppure io l’ho visto. Ci conviene aspettare notizie da Roma.
Domattina, però, facciamo un salto su.
- Va bene. Passo a prenderti alle 8.
Saliamo su da zia che ha avuto il tempo di apparecchiare tavola con
caffè, the, torcolo, una scatola di biscotti scovata chissà dove, alcuni
beveraggi e si è pure cambiata e pettinata.
Quattro complimenti melensi alla vecchia – Uh! Ma com’è buono questo
dolce! Ma l’ha fatto davvero lei? Mi da la ricetta, vero? - Comincio a rompermi
i coglioni di questa pantomima; sembra che si siano messe d’accordo per
mettermi a disagio e in minoranza (silenziosa).
Bevo il caffè e faccio il maleducato – Scusate ma ho un lavoro urgente
da finire.
Le lascio sole, così imparano tutte e due a smettere di spaccare i
marroni.
Torno alla manutenzione delle motoseghe: smonta, pulisci dalla segatura
incollata con l’olio della catena, soffia e lava il filtro dell’aria, una
controllatina alla candela, quattro belle limate per affilare la catena e i
gioielli sono di nuovo pronti per le prossime stragi di lecci.
Comunque passano quasi due ore e la Bellona non si vede.
Che si sia incazzata e andata via senza salutarmi? penso, un poco in
colpa.
Invece è ancora con zia, in cucina, che stanno preparando per la cena.
?
- Carla si ferma a cena. Così stiamo tutti qua da me.
Annuisco, per niente entusiasta. A pranzo mi fa piacere –e comodo-
mangiare con zia, ma la sera preferisco sempre starmene per gli affari miei e
cucinare qualcosa, se mi va di cucinare, o razzolare tra gli avanzi di cui zia
mi riempie il frigorifero. Poi, spesso, a cena c’è la partita. Vuoi mettere una
frittatina sul divano davanti alla tv?
Vado a farmi la doccia. Già che ci sono mi rado la barba di due giorni: non si sa mai…
Vado a farmi la doccia. Già che ci sono mi rado la barba di due giorni: non si sa mai…
ORTICHINO medita l'eliminazione fisica del Capo |
LE NOSTRE FOTO (segnaletiche)
QUESTURA DI PERUGIA
NOME - RUDY
SESSO - M (sterilizzato)
ETA' - Classe 2011 o 2012 (Scomparso maggio 2018)
RESIDENZA - Reggia di Monte Malbe
PROFESSIONE - Aspirante attore
MANTELLO - Bianco e nero a pelo lungo
OCCHI - Due (gialli)
ZAMPE - Quattro (bianche e nere)
CODA - Sì (nera)
CARATTERE - Impossibile
INTERESSI - Le lunghe escursioni solitarie a Monte Malbe (avvistato anche nei pressi della Colonia Nuova)
SEGNI PARTICOLARI - Da profugo e immigrato mantiene uno spiccato accento folignate nel suo miagolio
venerdì 26 febbraio 2016
giovedì 25 febbraio 2016
ARRIVI & PARTENZE
OFELIA
Se n'è andata anche la decana della Colonia, la vecchietta OFELIA.
Stamattina l'ho accompagnata all'ultimo viaggio dai veterinari, purtroppo la sua insufficienza renale l'aveva oramai asciugata e cominciavano le prime sofferenze. Dalla primavera del 2007 ci ha tenuto compagnia, prima alla Colonia Vecchia poi a quella Nuova, insieme alla sua probabile madre SCIRE', scomparsa anni fa. Abbandonata insieme alla madre e ai due fratellini più piccoli, quasi svezzati e malaticci, PAPERINO e PAPERONE. Del quartetto rimane in vita solo PAPERINO, trasferitosi sua sponte dalla vicina "di sotto", ma che non manca di fare una visita al suo ex Capo e ai suoi ex colleghi almeno una volta ogni quindici giorni. Quando verrà dovrò darle la brutta notizia.
OFELIA (detta Spatolona per la sua coda) alla Colonia Nuova - Aprile 2013 Così la vogliamo ricordare |
mercoledì 24 febbraio 2016
martedì 23 febbraio 2016
VECCHI INDIMENTICATI AMICI
lunedì 22 febbraio 2016
CHEESE! Scatti felini a Monte Malbe
sabato 20 febbraio 2016
IL SOLARIUM LETTERARIO
LE MALEDETTE
di Catus Silvestris
15a puntata
Finalmente sono tornati i nostri due ricoverati: OSCAR e
PUNTINO.
Il primo continua a mangiare come una betoniera, per la
gioia del Capo che deve somministrargli la vitamina K, il secondo si è subito
preso qualche giorno di ferie per smaltire la brutta avventura e i quindici
giorni di degenza.
Ma stamattina sono qua, puntuali come le rate del mutuo, ad
ascoltare il nuovo capitolo del polpettone.
15
Ha inizio la stagione delle piogge, per tre settimane si susseguono
perturbazioni e ho solo un paio di giorni utili per uscire a tagliare. La
pioggia e la neve, come il vento forte, non sono amiche del taglialegna; già di
se è un mestiere abbastanza pericoloso, meglio evitare di svolgerlo in
condizioni non ottimali. Babbo, che utilizzava un’altra tecnica di lavorazione
della legna facendola stagionare accatastata alla bellemeglio nella macchia (e
gliene fregavano un buon terzo), ebbe l’incidente mortale proprio mentre se ne
stava portando via un carico su un sentiero scosceso e fangoso. Con l’Unimog
non dovrei avere di questi problemi, ma la mia filosofia dice che è inutile
andarseli a cercare, i problemi ti trovano da soli. Sfrutto il tempo lavorando
nel capannone, riempiendolo di nuovo fino all’inverosimile di legna tagliata e
per fare una manutenzione accurata a tutti i macchinari, motoseghe comprese.
Ancora mi brucia il culo per la perdita della Stihl. Faccio una revisione
completa anche al mio organismo: le analisi confermano che sono in ottima
salute, come dimostrano le battaglie di letto con la Bellona. Carla continua la
spola tra Paese e Roma mentre io ho cessato di elargire le cinquantamila alla
bionda popputa.
Quando riesco a tornare alle Corone è già stagione di funghi. Decido di
far riposare ulteriormente le motoseghe e mi dedico alla micologia (solo quella
commestibile). Oltre al capannone riempito di legna riempio pure il frigorifero
e il congelatore di spinelli, gavitelli, roscioli (o lardelli) rossi e bianchi
e bigette. Pochi i porcini, poi del tipo invernale, duri e poco saporiti e profumati.
L’apoteosi la raggiungo una mattina, seguendo un vecchio sentiero a mezzacosta
che dalla radura dovrebbe arrivare alla cava. Mi imbatto in una prateria di
ordinali (chiamati anche brumai). Profumatissimi ed alquanto indigesti ma
pregiati come le ovole e i porcini estivi. L’altro passatempo della zona è la
caccia, ma a me non piace sparare e uccidere per divertimento. Una volta dissi
a babbo che la caccia era lo sport dei vigliacchi; rimediai un ceffone.
E’ zia che mi stoppa un pomeriggio: - Fosco, basta funghi! Non so più
dove metterli! O ne regali un po’ oppure è meglio che ti rimetti a tagliare.
- I funghi raccolti non si regalano, lo sai bene, zia. Poi… a chi? Qui
ogni famiglia ha qualcuno che va a funghi in stagione, ci prendono le ferie!
Concludo l’eccezionale annata di raccolta ignorando completamente una
nuova distesa di bianchi orelloni che mi si para davanti sopra la radura.
Decido di riaprire il sentiero a mezzacosta, diventa quasi una
camionabile. Più sopra, infatti ci sono i primi manufatti incompiuti della
progettata polveriera. Decido di sprecarci un’oretta per una visita turistica.
E’ un monumento al cemento abbandonato e stritolato dalla vegetazione
che si riappropria dei suoi spazi. Il posto è comodo per tagliare e caricare,
comincio a segnare delle piante da abbattere. E’ vicino a un grosso leccio
storto e penduto che il mio piede destro scivola su qualcosa che gli si muove
sotto e si spezza. Allontano le foglie e scopro un osso, completamente
spolpato, lungo e spezzato in due. Penso subito ad un femore umano. Non può
essere di un animale, a meno che ci siano oranghi liberi alle Corone. Un
brivido mi percorre dai piedi ai capelli e mi fa spuntare la pelle d’oca. Con
un bastone smuovo le foglie tutto intorno e, ad una decina di metri di
distanza, scopro una vertebra. Sembra umana pure quella (o del solito orango).
Un bacino ammuffito e annerito che sporge dalle radici di un corbezzolo mi
conferma che quelli sono resti umani; qualcuno è morto pure qua e le bestie se
lo sono mangiato. Mi accorgo di essere vicino all’ingresso delle struttura di
un bunker, ma mi rifiuto di entrarci per verificare.
Lasciamo perdere, decido, è bastato il cadavere del modulo.
Non faccio parola del nuovo, macabro, ritrovamento: evito grane e
rotture di coglioni.
Per una decina di giorni ignoro quella zona e faccio strage di
corbezzoli sopra la radura.
Poi, quell’incomprensibile desiderio di autodistruzione, il volersi del
male a tutti i costi, misto all’insana curiosità mi riporta all’ingresso del
bunker armato di torcia elettrica e bastone in robusto frassino, per darmi il
coraggio necessario ad entrare. Mando avanti Picche, come gli arditi della
prima guerra mondiale. Picche entra e non succede nulla: niente leoni che lo
sbranano o oranghi che lo catturano. Faccio il decisivo passo pure io. Il
bunker è vuoto, a parte il terriccio e le radici accumulatesi con le piogge. A
terra comincio a scorgere piccole ossa spolpate di ogni tessuto organico. Trovo un braccio intero, mancano solo poche
falangi delle dita. Altre vertebre e una porzione di cassa toracica. Infine
vedo il cranio, la mandibola è mezzo metro indietro. Era un umano, non c’è
dubbio. Sposto il cranio con il bastone e noto un buco, quasi un foro,
lateralmente. Mi chino per osservarlo meglio e noto un altro particolare che mi
fa balzare all’indietro.
Poveraccio! Penso tra me. Forse sarebbe il caso di…
Non termino il pensiero che la torcia illumina un contenitore appoggiato
sopra un grosso sasso. Lo osservo, è chiuso. Lo prendo in mano, sembra una
valigetta metallica da pronto soccorso militare. La apro, rompendone le
cerniere oramai arrugginite dalle intemperie, e dentro scopro degli effetti
personali: un paio di scarpe da ginnastica e degli indumenti ammuffiti, un
dentifricio con lo spazzolino, alcune buste di plastica con dentro soldi,
pochi, posate, un bicchiere, e l’ultima busta contiene un quaderno, delle penne
e un coltello a serramanico.
Richiudo la valigetta e la porto via. Torno con la motosega, taglio
alcuni piccoli alberi nelle vicinanze e ci occulto l’ingresso del bunker.
Nel capannone ricontrollo tutto il contenuto della cassetta. Apro il
quaderno e scopro che è scritto con caratteri a stampatello, maiuscolo e
minuscolo. E’ umido e alcune pagine tendono ad incollarsi tra loro. Le asciugo
con un phon. In fondo al quaderno trovo un documento: una carta di identità,
ancora in buono stato.
- Felice Ambrosetti, nato a Ferrara il 24 giugno 1946. Libero
professionista. Residente a Ferrara, Via dei Gigli, 19. Che cazzo ci faceva là?
Continuo a spulciarla, è stata rilasciata dal Comune di Ferrara il 11
gennaio 1979, sarebbe scaduta.
Osservo il quaderno e capisco che ho solo una direzione da seguire per
cercare di capirci qualcosa: leggere quello che ci sta scritto.
Ci dedico l’intera serata. Appena finito di cenare mi siedo sul divano e
comincio la lettura. Alcune parole sono sbiadite dall’umidità e si comprendono
a malapena. Altre frasi non si leggono affatto. E’ la biografia di questo
Felice Ambrosetti, da adulto. Uno psicologo affermato distrutto da un
matrimonio infelice con una donna che lo rovina economicamente. Ci mette del
suo facendosi l’amante che gli succhia anche i rimanenti quattrini. Poi il
matrimonio esplode, la moglie si tiene il figlio che comincia a disprezzare il
padre e ottiene una somma spropositata per gli alimenti di entrambi.
L’Ambrosetti va in crisi, economica e psichica. Da di matto e comincia a
perdere i suoi clienti e le sue prezzolate consulenze. In breve tempo è sul
lastrico e deve vendersi pure lo studio dove vive e lavora. La villa già era
stata preda della ex-moglie. Comincia ad attaccarsi alla bottiglia e decide di
mettersi in viaggio per il mondo, a piedi, come un barbone. Dopo due ore sono cotto dalla stanchezza e
dalla tensione accumulata nella giornata. Sospendo la lettura.
Ma la mattina dopo sono pronto a riprenderla; piove, e di brutto. Scendo
nel capannone per non insospettire zia e riapro il quaderno dall’ultima pagina
letta. Quando, alle 9,30, salgo in casa per un altro caffè zia mi blocca.
-Non ho sentito rumori nel capannone. Stai mettendo un po’ in ordine?
- Esatto.
- Rimanda. Accompagnami a fare spesa a Città: hanno aperto un nuovo
centro commerciale.
- A Città? – faccio inorridito – In un centro commerciale?
- Ehhh… mica ti ho chiesto di andare a Messa? A Città. Al nuovo centro
commerciale che ci stanno le offerte. Abbiamo la dispensa vuota. E… è ora che
ti compri qualcosa di più elegante da metterti.
- Quando mi sposo…
Volente o nolente devo accompagnare zia. Prendo il documento del Felice
Ambrosetti e me lo metto in tasca.
Girare tra gli scaffali del supermercato è un’immane rottura di
coglioni, ne approfitto per fare un salto al Briko Center là davanti per
comprare delle corde e dare un’occhiata a dei manici per le accette da spacco.
Esco spendendo una cifra spropositata approfittando dell’offerta per
l’olio per la catena delle motoseghe. Ne compro otto taniche.
Poi accompagno zia in Piazza della Resistenza e le dico di farsi una
passeggiata guardando le vetrine dei negozi; devo fare una breve commissione.
Vado dal libraio che mi saluta cordialmente. Gli chiedo se mi può fare
un’altra ricerca col computer.
- Un caffè – risponde.
Andiamo al bar e ce lo prendiamo insieme.
- Felice Ambrosetti… eccolo qua! Un altro scomparso? Fa concorrenza a
‘Chi l’ha visto’?
- Faccia vedere.
Il vecchio stampa le varie notizie trovate sulla scomparsa
dell’Ambrosetti e me le porge.
- Oggi non acquistiamo nulla? – chiede.
Esco con un altro paio di libri che mi consiglia caldamente.
Zia, invece, ha adocchiato un orrendo maglioncino a rombi multicolore
che vorrebbe mi comprassi.
Non la mando a vaffanculo solo per rispetto dell’anzianità.
Si torna a Cima carichi di sporte della spesa, taniche di olio per
catena di motosega e alcune notizie da verificare.
Le verifico dopo il pisolo pomeridiano, continua a piovere: non ho altro
da fare.
Quanto scritto sul quaderno coincide con le notizie delle stampate. Lo
scritto è, però, più dettagliato e più motivato. Sono convinto che quel
quaderno l’abbia scritto veramente Felice Ambrosetti.
Dopo cena continuo la lettura che trovo faticosa, ma interessante.
Scrive di come sia giunto, quasi per caso, alle Corone e ne abbia subito
il fascino. Saputo della credenza popolare che voleva maledette quelle colline,
per cui tutti le evitavano, decise di stabilircisi definitivamente. La
sistemazione, poi, era piuttosto facile: gli americani avevano lasciato diversi
moduli in ottime condizioni. Ne aveva scelto uno e lo aveva arredato con i vari
pezzi trovati negli altri. Aveva pure il riscaldamento: prima una stufa a
kerosene poi, terminato il combustibile, era passato a quella a legna. Lì, di
materia prima ce n’era in abbondanza. L’unico problema era la distanza dal
primo centro abitato (Borgo). Aveva risolto pure quello acquistando un vecchio
motorino a prezzo vantaggioso. I soldi per le piccole spese non erano un
problema: malgrado i debiti lasciati a casa aveva con se una piccola scorta e,
quando andava a Città accattonava alla stazione ferroviaria o fuori dal Duomo.
Alle Corone era quasi autosufficiente. Aveva legna, acqua da una piccola
sorgente sotto la cava, e i frutti del bosco per cibarsi. Non mangiava carne,
neppure a Ferrara: era vegetariano. E’ andato avanti così per diversi anni,
recandosi una volta ogni sette, dieci giorni a Città per acquistare i generi di
prima necessità. Scansava accuratamente Borgo e Paese in quanto piccole
comunità dagli abitanti troppo curiosi nei suoi confronti.
Ma un giorno, circa sei anni fa (non riporta la data esatta) subisce
l’invasione del ‘suo’ territorio da un tipo strano. Non è il classico
bracconiere che ogni tanto viene a cacciare di frodo e da cui sta ben alla
larga, pur controllandolo, è un giovane, alquanto sprovveduto per il tipo di
vita che richiedono Le Corone e che si presenta al vecchio baraccamento degli
americani sporco, stanco, spaventato e con un grande borsone di nylon nero. Si
chiama Pietro Paolo ed è in fuga. Ha commesso una rapina e nel borsone nero c’è
il bottino: un mucchio di carte da 100.000 lire nuove di pacca. Deve
nascondersi; gli stanno dando la caccia. E’ armato, gli mostra una pistola. Lo
costringe ad una scelta: o accetta la sua presenza fino a quando le acque non
si saranno calmate e collabora a nasconderlo o lo uccide. Nel primo caso
promette pure una parte dal bottino. Ma, considerando che è un bandito e che,
probabilmente, ha anche ucciso per rubare quei soldi l’Ambrosetti sa che non
manterrà la promessa e, comunque vada, lo ucciderà per non lasciare inutili
testimoni. Certo, scrive ancora, potrebbe denunciarlo quando va a Città per
fare la spesa ma, automaticamente, verrebbe sfrattato dalle Corone e dovrebbe
subire le conseguenze dei danni fatti in passato. Preferisce assecondare il
bandito, con la tenue speranza che se ne vada senza fargli del male.
Il bandito rimane alle Corone per quasi sei mesi, Ambrosetti, grazie
alle visite a Città riesce a scoprire che è uno dei quattro malviventi che
hanno assaltato un furgone portavalori e fatto una strage. Due di loro, però,
sono morti nella sparatoria, il terzo è in carcere e solo lui è libero, ma
braccato.
Mi blocco su quanto letto e la mente corre a quei giorni; Salvatore
Esposito…
Riprendo la lettura dopo un robusto caffè e una salutare sigaretta. Devo
arrivare in fondo a questa storia assurda.
Riprendo la lettura: Ambrosetti ripensa seriamente a denunciarlo
barattando l’informazione con la remissione dei debiti non saldati negli anni
precedenti. Ed è ad un passo dalla delazione, quando…
Smette di scrivere sul quaderno: il bandito ha avuto il sospetto e lo dovrebbe
aver ucciso.
- Bel romanzo! – commento a voce alta.
Non riesco a prendere sonno, malgrado siano le due di notte. Cerco di
elaborare una strategia per districare questa fasulla matassa.
PUNTINO è tornato tra noi |
venerdì 19 febbraio 2016
COME ERAVAMO..
giovedì 18 febbraio 2016
ANNUNCI & DEDICHE
L'IMPLACABILE SCURE DELLA GIUSTIZIA
A MONTE MALBE!
La scure della giustizia è calata implacabile a Monte Malbe dopo l'anonima delazione che ha permesso di smascherare l'autore del furto con destrezza del bancomat del signor Capo.
(tutti i particolari in cronaca)
BAIOCCO incarcerato - Vorrei sapere chi è quel fetente che ha fatto la spia! |
lunedì 15 febbraio 2016
NON PREOCCUPATEVI !
DIARIO DI BORDO
- RINGAAAAA!!!!
E’ l’urlo belluino che scuote le Sacre Selve di Monte Malbe.
Nulla di preoccupante, è solo il Capo che ha scoperto la graziosa micetta mentre gioca sulle scale col suo spazzolino da denti.
Ultimamente lo vediamo un poco stressato, forse anche
stanco; per questo abbiamo deciso di concedergli qualche giorno di ferie
(lavorative). Quindi lo spediamo in Altitalia a procacciare denaro fresco per
il nostro mantenimento.
Non vi preoccupate per noi, il Capo sa organizzare bene i
suoi (scarsi) impegni lavorativi con la nostra cruda sopravvivenza poi… dove ha
qualche falla rimediamo direttamente noi.
Quindi per alcuni giorni saremo assenti (giustificati) dal
web, ma non state in ansia, noi continueremo la nostra solita vita di gatti
semirandagi fatta di stenti e umiliazioni.
BAIOCCO ha provveduto a sfilare dal portafogli del Capo il
suo bancomat e alla Reggia i nostri colleghi hanno trovato il pin per accedere
al prelievo.
Quindi, per il momento i nostri fabbisogni alimentari sono
assicurati: stasera fiorentina alla Brasserie, domani pesce fresco al mare,
dopodomani specialità a base di cacciagione (ma non diteglielo, da buon
vegetariano e anticaccia potrebbe inquietarsi e la sua pressione salire).
Ci rivediamo prossimamente (purtroppo ce lo rimanderanno)!
Capo, per favore chiudi la porta che entra freddo! |
domenica 14 febbraio 2016
sabato 13 febbraio 2016
IL SOLARIUM LETTERARIO
LE MALEDETTE
di Catus Silvestris
14a puntata
- Semo rimasti quattro gatti… - il lapidario pensiero di
CERES all’adunata mattutin-domenicale per la consueta lettura del solito
polpettone.
- Se continua così ci tolgono pure lo status di Colonia
felina registrata all’ASL – aggiunge con voce cupa EMILIA.
- Perderemo tutti i diritti acquisiti e torneremo ad essere
gatti di nessuno! – la lamentazione di TOPAZIO.
- Non bastavano gli assenteisti, la sfiga, il Capo con la sua apprensione e i
rimorsi di coscienza ora ci si è messo
pure SKA a complicarci la vita! – fa eco TARANTOLA.
E sì! tra assenti cronici (CINQUINA, PRIMULA e CORNIOLA),
assenti frequenti (CREMINO, SAETTA, BARTOLOMEO e BERETTA), ricoverati di turno
(OSCAR e PUNTINO), colleghi che il Capo ha deciso di trasferire alla Reggia in
maniera del tutto arbitraria e illegale (chiamata diretta e non seguendo le graduatorie
dei numerosi e inutili concorsi, con la scusa che sono gatti più bisognosi di
attenzioni) cioè NINNI, TOSCO e AMELIA, ora anche SKA ha dato di matto e per
protesta si è incatenato alle grate delle finestre della Colonia Vecchia.
Dobbiamo portargli un pugno di crocchette per sfamarlo; per l’acqua, quando
nessuno lo vede, apre il lucchetto e va direttamente alla fontanella.
Comunque, uno in più o in meno, come dice il Capo “Andiamo
avanti lo stesso!”
14
Quando torno alle Corone mi avvicino al modulo del morto, come oramai lo
chiamo. Supero la zona delimitata dal nastro dei Carabinieri e mi avvicino alla
porta. Avrei una piccola curiosità da togliermi. Ma alla porta del modulo hanno
apposto i sigilli e un foglio dice che il locale è sotto sequestro. Se aprissi
la porta strapperei sigilli e foglio. Meglio evitare questa cazzata. La
curiosità di sapere se tra i libri riposti nell’armadio ci fosse anche quello
scritto dal libraio rimane tale. Poi, pensandoci, forse i Carabinieri hanno
svuotato e portato via tutto. Lascio perdere e vado a rivolgere qualche dolce
parola ai sei lecci che ho adocchiato e voglio tirare giù.
Dopo tre ore, finita la mattanza verde e caricato tutti i pezzi di legna
utili sul cassone dell’Unimog, mi concedo una pausa ristoratrice: caffè del
thermos e sigaretta. E continuo a pensare a quanto successo il giorno prima.
Decido di scacciare quest’ansia e rivolgo le mie attenzioni morbose alla
Bellona e a quell’altra sul letto matrimoniale che scopano come dannate. Chi fa
l’uomo? E chi farà fa donna? Un po’ per uno a seconda dei desideri?
Rimorchieranno pure altre lesbiche per una notte di sesso aggrovigliato? A Roma
sarebbe possibile; è una grande città, mica come qua che nel raggio di cento
chilometri facciamo meno abitanti di un suo quartiere!
Mi torna duro, ed è solo giovedì e domani la Bellona viaggia verso Roma.
Invece, nel pomeriggio di venerdì, ricevo la sua inaspettata visita al
capannone. Zia si mette subito in preallarme ma il motivo della visita è
strettamente riservato.
- Ma che cazzo hai combinato? – domanda con una punta di
disapprovazione.
- L’ho picchiato solamente. Come l’hai saputo? – replico stupito.
- Ma almeno i giornali, li leggi?
- Qualche volta al bar, se ci capito a prendere un caffè.
- Immagino che sono due giorni che non ne prendi…
- Perché?
- Cristo santo! Ma è su tutti i giornali! ‘Regolamento di conti tra
spacciatori: un morto per pestaggio’.
- Morto? – domando rimanendo a bocca aperta.
- Certo, gli hai spappolato la milza e perforato i polmoni a furia di
calci, cosa mai doveva fare?
- Beh, un rompicoglioni in meno in giro.
- Era uno dei picchiatori?
- No, quello che ha tentato di ammazzare Picche. L’altro era uno di
quelli che mi hanno picchiato.
- L’altro?
- Erano in due.
- E l’altro che fine ha fatto?
- Che ne so… fuggito via.
- Spiegami cosa è successo.
Mi accendo una sigaretta e le racconto del pomeriggio di sangue
concludendo con – Non credevo proprio di averlo ammazzato. Comunque non me ne
frega un cazzo.
Poi è lei a raccontarmi la versione dei quotidiani. Versione sicuramente
rimaneggiata dai Carabinieri che conducono le indagini; sempre meglio dare la
colpa agli spacciatori che mettere in mezzo il clan dei macedoni.
- Ora devi stare veramente attento – continua Carla – Loro sanno che sei
stato tu e il conto da pagare aumenta.
- Credi che gli interessi tanto la morte di un loro lavorante?
- Gliene frega meno di te, il problema è che lo vedranno come un
ulteriore sgarbo.
- Comincerò a tenere un fucile carico in cabina.
- Sarebbe meglio – poi conclude – Tieni anche questo – passandomi un
altro pugnale, più piccolo del precedente – con le stesse raccomandazioni.
- Grazie. Ma dove sta il fegato?
- Il fegato sta all’altezza delle ultime costole, a destra, ricordalo.
Saliamo in casa per il caffè, che zia ha subito preparato, poi ci
salutiamo. Per il fine settimana: ognun per se.
La sera, al Covo, comunico ad Antonio la cessazione della società a
delinquere recentemente formatasi – Non voglio grane, Carla mi ha avvertito.
- Come vuoi - risponde – tanto, credo, ci sia rimasto poco di
appetibile.
Antonio evita ogni riferimento a quanto accaduto al macedone, ma capisco
lo stesso che pensa che ne sia coinvolto.
Dopo la solita passeggiatina sulla statale per la sigaretta e la
pisciata torniamo al locale e vado dalla ruota di scorta, la bionda popputa.
Contrattiamo per una serata a casa sua, lontani da occhi indiscreti, e
le allungo cinquantamila per le spese generali. Ho scoperto che se le sgancio
qualche lira è più bendisposta a giochi particolari (che mi ha insegnato la
Bellona).
Dopo il primo degli amplessi le faccio la domanda che mi sta a cuore –
Sei mai stata con una donna?
Ci pensa, troppo, concedendomi già la risposta. Poi dice – Un paio di
volte, ma era una coppia. Che ti sei messo in mente?
- Nulla, ma la mia amica, quella alta magra, hai presente?, avrebbe il
desiderio di provare con una donna. Con me presente, naturalmente! Mi domandavo
se…
- Beh, che quella è lesbica si vede da un miglio distante – risponde – E
mi fa pure gli occhi dolci, se lo vuoi sapere. Vi siete messi d’accordo e tu
fai il guardone?
- Sarà anche lesbica, ma scopa da dio, se lo vuoi sapere. Poi… no! Era
solo mia l’idea di coinvolgerti.
- Sarà… - commenta – comunque si potrebbe fare. Centomila, però.
Le do un altro paio di colpi e me ne torno a casa pensieroso. Mi sono
complicato la vita e non ho gustato in pieno la scopata con la bionda. Un
venerdì da dimenticare.
Il lunedì, invece, è da incorniciare. Becco un altro appalto, stavolta
dalla Provincia ,per ripulire le rive del Rio Freddo da Casalalta a Castelmoro.
Venti chilometri, comodi e ricchi di robinie e pioppi, che renderanno altri
tremilioni di lire, più la legna.
Devo terminare pure dei lavori per un appalto delle ferrovie, credo che
un po’ di tempo latiterò dalle Corone, e la cosa non è che mi dispiaccia;
eviterei anche ogni possibile contatto con i macedoni.
L’azione di volantinaggio a Città produce qualche piccolo frutto,
raccatto tre nuovi clienti, tutti privati, con pochi consumi ma contenti del
prezzo che pratico, della qualità della materia prima e del fatto che a Città
consegno la legna pezzata 25 e 33 centimetri affardellata dentro dei sacchi,
simili a quelli delle patate. Sono comodi da stivare e trasportare e,
soprattutto, non sporcano la casa di detriti di legno e segatura. Poi possono
venire pesati per controllare se frego sulla quantità, come sono soliti fare i
miei concorrenti lasciandoti una catasta di legna sfusa. Ogni sacco sono 20 chili
di legna ed è compreso nel prezzo.
E’ un venerdì sera al Covo che affronto l’argomento bionda popputa con
Carla. La Bellona si accorge che la sto guardando e domanda – Sono forse di
impiccio stasera?
- Cosa?
- Ti stai mangiando con gli occhi la solita biondona. Devo sgombrarle il
campo?
- No. Riflettevo solamente.
- Su cosa?
- Che se fosse vero che alla bionda piacciono anche le donne, sarei
curioso di vedere se…
- Se… cosa? – assumendo un tono feroce.
- Niente, niente. Era solo un’idea…
- Pensavi forse di infilarla tra noi e magari stare a guardare quello
che combinava con me? Bello! Non mi coglionare, non sono nata ieri. Poi… con
quella vacca che avrà più di cinquant’anni? Sono abituata meglio, io!
Discorso chiuso e figura di merda.
Quando la accompagno a casa, Carla mi fa salire e commenta – Se la
bionda te la vuoi scopare, fallo pure. Non sono gelosa, ma non credo riesca a
fare quello che ho in mente stasera per te.
Torno a casa stremato, mortificato e umiliato.
La mattina dopo sono ancora stremato e decisamente dolorante.
Abbandono ogni velleità di condurre qualsiasi gioco di sesso con la
Bellona, lei è troppo avanti, anche per me.
Quello che non riesco a decifrare e spiegarmi è la frase ‘Sono abituata
meglio, io!’ che lascia ampi spazi alla mia immaginazione.
Oppure sono vittima di uno stupido scherzo di Antonio che si è inventato
di sana pianta le sue tendenze sessuali.
In una settimana taglio tutta la legna stagionata che ho sul piazzale e
riempio all’inverosimile il capannone. Picche è triste perché non lo porto per
boschi, zia preoccupata perché è la prima volta che non mi vede andare per
macchie per sette giorni consecutivi.
- Hai qualche problema? – mi chiede un giorno, a pranzo.
- Perché?
- Sono cinque giorni che non esci e non vai neppure a tagliare.
- Ho il piazzale troppo pieno, zia. E’inutile che taglio e poi non so
dove metterla. Faccio solo un po’ di
spazio.
- Sicuro di non avere problemi con Carla?
- Certo, perché?
- Beh, non sei mai uscito, lei non ha mai telefonato, posso pensare che…
- Fammi un piacere, non pensare.
- Allora c’è un problema sul serio!
- Non c’è. Stasera esco e ci vediamo al Covo.
- Ma sempre a quel brutto locale la devi portare?
- Uffa…
Il pomeriggio succede l’impensabile: Carla chiama al telefono e parla
con zia.
- Sono più tranquilla, ora – mi dice raggiungendomi nel capannone.
- Perché?
- Ha chiamato Carla per sapere se eri ammalato, considerando che questa
settimana nessuno ti ha visto né a Borgo né a Paese.
- Ha chiamato? E perché non mi hai avvertito?
- Ma… abbiamo parlato una mezz’oretta e si è tranquillizzata, poi lei
aveva da fare e ci siamo salutate.
Carla che chiama per sapere se sono ancora vivo, penso tra me appena zia
se n’è andata. Allora ha ancora qualcosa di umano…
Tra le robinie e i pioppi del Rio Freddo e della linea ferroviaria
riempio di nuovo il piazzale di stanghe di legna. Sono costretto a tenere
all’aperto pure il pioppo, e non si dovrebbe, perché anche nel capannone non ho
più spazio; è stracolmo di legna tagliata nelle abituali pezzature 25, 33 e 50
centimetri.
Voglio, comunque, utilizzare al meglio il mio tempo lavorativo: torno
alle Corone e riapro la vecchia strada che parte dal cancello fatto rimettere
da Carla e arriva a una radura sulla collina a Ovest. Ho deciso che per qualche
tempo non tornerò alla cava e nelle sue immediate vicinanze; la notte mi sogno
ancora quel morto sul letto.
Una decina di giorni di lavoro e raggiungo la radura che dove trovo dei
materiali da costruzione, forse abbandonati ai tempi della irrealizzata
polveriera. Niente di appetibile: sacchi di cemento e altro materiale oramai
rovinato dal tempo, barre di tondini di ferro mangiati dalla ruggine, qualche
pila di mattoni su cui la vegetazione è cresciuta rigogliosa e cumuli di sabbia
dilavata dalle piogge. I boschi intorno sono un tripudio di lecci, corbezzoli,
carpini e roverelle. Ma non posso cominciare a diradare; ho di nuovo il
piazzale pieno di legna da stagionare.
Fortunatamente l’effetto volantino continua la sua opera, altri due
piccoli clienti di Città richiedono i miei servizi. Per la fottutissima legge
della compensazione ne perdo altri due, purtroppo buoni.
Il convento delle Clarisse di Santa Chiara dove un pomeriggio, mentre
scarico il solito rifornimento di legna da 50, un fardello mi sfugge dalle mani
e mi acciacca un piede. Mi lascio sfuggire un
bestemmione proprio davanti alla madre superiora. Sarà la mia ultima
consegna alle suore.
Il secondo è una pizzeria dopo Città, vecchio cliente che non naviga
economicamente il buone acque. Mi paga una consegna con il solito assegno ma si
prende un poco di tempo, postdatandolo di un mese. Quando lo porto in banca
l’assegno è scoperto, il cliente ha chiuso i battenti e io, con quel pezzo di
carta, mi ci posso pulire il culo. Cornuto e bastonato.
Forse aveva ragione il vecchio libraio, rimugino tra me, col suo
consiglio di rallentare il ritmo di lavoro.
Chi non rallenta è la Bellona, forse per eliminare ogni possibile
concorrenza da il meglio di se a letto , e talvolta anche fuori dal letto,
inventandosi giochi erotici al limite dell’infarto (del sottoscritto). Ma non
ne sono particolarmente dispiaciuto.
SKA fa l'incatenato per protesta |
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